Ripercorrendo l’ultra trentennale storia dei Summit dei G6, poi G7, poi G8 emerge con tutta evidenza il ruolo fondamentale che il “fattore energia” ha avuto in questi decenni nel condizionare i punti di svolta dei cicli economici; nel generare mutamenti, talora dirompenti, degli equilibri politici internazionali; nel condizionare i rapporti di forza tra le nazioni, più nuovi attori si affacciavano sulla scena energetica.
Non ultimo, nel formarsi di una comune consapevolezza sugli effetti nocivi dell’energia sugli equilibri ambientali del pianeta.
È dalla difficoltà a governare questo intreccio di fenomeni a dimensione vieppiù globale che nacque l’esigenza nei maggiori paesi industrializzati di individuare nuove forme di confronto e di coordinamento delle loro politiche.
Fu, in particolare, il traumatico e inatteso esplodere della prima crisi petrolifera dell’ottobre 1973 – che evidenziava, al contempo, la centralità dell’energia nello sviluppo delle società moderne e la loro vulnerabilità nel dipendere da aree petrolifere instabili e ostili al mondo occidentale – che spinse i sei maggiori paesi industrializzati a organizzare il primo vertice di Rambouillet in Francia nel 1975, sotto la Presidenza di Valery Giscard d’Estaing.
Finalità di quell’incontro e di quelli che seguiranno a Tokyo nel 1979 e a Venezia nel 1980, all’apice della seconda crisi petrolifera era quello di individuare convergenti linee di azione nelle politiche nazionali, in uno scenario recessivo mai vissuto dal secondo dopoguerra, indotto da un aumento dei prezzi del petrolio di circa 15 volte in termini nominali, dai 2,5 dollari al BARILE del 1972 ai poco meno di 36,0 del 1980 (prossimi ai 100 attuali).
Ricordando quegli incontri, il presidente Giscard d’Estaing scriverà nelle sue memorie: “Un filo sottile ci legava: la sensazione di dover vivere la fine di un’epoca, intravedendone una prossima che avevamo il compito di preparare”.
Una situazione e una missione non dissimili da quella che i governi del mondo si trovano oggi ad affrontare. Fu ancora l’energia, e in particolare il nucleare, ad aggiungere il Canada nel secondo Summit a 6 paesi del giugno 1976 a San Juan (Puerto Rico), ospitato dal Presidente americano Gerald Ford e dal Segretario di Stato Henry Kissinger.
Così come sarebbe accaduto per la Russia del Presidente Boris Eltsin, che prese a parteciparvi nel vertice G7 di Napoli del 1994 e che avrebbe ospitato nel 1996 a Mosca il Summit straordinario The Nuclear Safety & Security e nel 1998 a Mosca il secondo G8 ministeriale sull’energia che ormai non si ripeteva più dal 1979.
In 15 dei 34 Summit generali tenutisi dal 1975 allo scorso anno, la questione energetica ha rappresentato un argomento centrale all’agenda dei governi, contando mediamente per un quinto dei paragrafi in cui si articolavano le dichiarazioni finali.
A questo interesse, rafforzato dai Summit ministeriali su energia (nel 1979 e con più FREQUENZA dal 1998) e ambiente (dal 1992), non hanno, tuttavia, corrisposto risultati confortanti nell’edificazione di una qualche architettura di governance globale dell’energia, con la tendenza semmai degli Stati a rivendicare in materia una loro piena sovranità; nei risultati congiuntamente raggiunti e, come vedremo, nella capacità di anticipare e fronteggiare le tensioni che col nuovo Millennio sarebbero riemerse sui mercati energetici.
Sintetizzabili in un aumento dei prezzi del petrolio di 10 volte: da valori medi di 15,0 dollari al BARILE del periodo 1985-2000 a punte prossime ai 150,0 dollari del luglio 2008.
Che i maggiori governi del mondo si siano interrogati e divisi su questi aumenti – tra chi la riconduceva ai fondamentali dei mercati e chi alla speculazione finanziaria – solo nel Summit di Hokkaido in Giappone del luglio 2008, proprio nei giorni in cui si raggiungeva il loro apice, dà conto della colpevole inerzia dei governi. Ben diversamente da quel che era accaduto in passato.
Ove si escluda il primo ciclo di vertici, quelli tra 1975 e 1981, in cui si è avuta, in risposta agli shocks petroliferi di allora, una fattiva e positiva convergenza delle politiche nazionali verso gli obiettivi condivisi – minori importazioni petrolifere, sviluppo del nucleare, sostegno alla R&S di nuove tecnologie, uso razionale dell’energia – nei venti e più anni a venire l’interesse dei Summit verso l’energia sarebbe, infatti, risultato del tutto episodico, in risposta a fatti del tutto momentanei, o avrebbe segnato forti divergenze politiche, come nel vertice di Versailles del 1982 quando si consumò un duro, quanto profetico, scontro Ronald Reagan e Francois Mitterand sui rischi che sarebbero potuti derivare all’Europa da un’eccessiva dipendenza dal METANO russo.
Da allora, di fatto, l’energia esce dall’agenda dei governi nel diffuso convincimento che di essa gli Stati non avessero più motivo di interessarsi, se non per le implicazioni ambientali.
Paradossalmente, vi fu più comunanza di intenti e convergenza d’azione quando minore era l’interdipendenza tra gli Stati, che da quando essa ha preso a palesarsi con crescente intensità.
La realtà dei fatti ha evidenziato i costi di queste errate politiche. I governi del mondo sono ora chiamati a porvi rimedio. I prossimi vertici saranno, a tal fine, di straordinaria importanza.
Per tre convincimenti. Il fatto, in primo luogo, che l’attuale crisi economica – di cui l’energia, non dimentichiamolo, è stata una delle principali concause – venendo a interrompere i processi di aggiustamento della domanda e dell’offerta di energia ai passati alti prezzi, così da favorire il conseguimento di nuove condizioni di equilibrio strutturale dei mercati energetici, non sposta di un millimetro le criticità, le sfide, le tensioni che li hanno attraversati sino a poco fa.
Le allontana illusoriamente nel tempo, ma non ne elimina la latente permanenza. Se non riusciremo a rimuoverle, vi è il fondato rischio che l’uscita dalla crisi – con la ripresa della domanda di energia – possa trovare proprio nell’energia un fattore di rallentamento: con una ripresa dei prezzi del petrolio, oggi crollati a un terzo dei livelli di un anno fa.
Il secondo convincimento è che l’industria energetica possa, invece, costituire uno dei principali terreni da cui imprimere un rapido e consistente impulso alla ripresa economica: per le ampie risorse finanziarie di cui ancora dispone; per la vastità degli interessi che muove; per la sua pervasività nei tessuti produttivi; per l’ampia proiezione geografica in cui opera; per i grandi piani di investimenti che le corporations internazionali intendono realizzare.
Il terzo convincimento è che tutto ciò rischi di non verificarsi se non si avvierà una più fattiva, convinta, duratura cooperazione internazionale.
È nella stabilità, nella collaborazione, nel dialogo e, nella pace, che sta la soluzione alle sfide che energia e ambiente pongono al mondo moderno.
La crisi che va attanagliando tutti i paesi del mondo costituisce forse un’occasione irripetibile: nella misura in cui lega i destini degli uni a quelli degli altri in modi mai osservati, accrescendo per tutti la convenienza di un comune agire.
Vi è da augurarsi che di ciò vi sia piena consapevolezza nei grandi del mondo che vanno a incontrarsi, rinverdendo – con l’adozione di azioni concrete e non solo di pur condivisibili auspici – i positivi risultati che seppero in passato conseguire in condizioni non meno critiche di quelle attuali.
Tratto da Agi Energia