Il XX passerà alla storia come il secolo delle impressionanti scoperte nella fisica, astronomia e biologia. È giustificatamente esaltante realizzare che noi, la famiglia umana, con il solo aiuto della nostro intelletto, abbiamo superato la barriera dell'infinitamente piccolo con le nuove leggi della meccanica quantistica, abbiamo svelato il segreto del DNA ed, onde evitare problemi con i vicini, abbiamo incaricato un avvocato (di preparazione ma non di vocazione), E.P. Hubble, di scoprire che l'Universo si sta espandendo. Cosa che Hubble puntualmente fece.
Gli anni sessanta furono testimoni del primo timido passo fuori dal nostro pianeta e la partecipazione emotiva che accompagnò quella notte magica del luglio del 1969 passerà alla storia quale esempio indelebile di coesione umana.
Questi grandiosi successi sono una nobile riposta ai principi dell'etica Giudeo-Cristiana che invita l'uomo ad ammirare le bellezze della natura ma al tempo stesso lo sfida anche a capire i meccanismi su cui è basata.
Dio è sottile ma non malizioso, diceva uno che della struttura dell'Universo ne capiva qualcosa, A. Einstein. Ma il "Su Libiamo" durò poco, "gli arredi festivi già caddero infranti", come dice il Nabucco, poiché arrivò una pessima notizia: "L'umanità sta portando a termine un esperimento perverso ed incontrollato", si disse alla Conferenza di Toronto del 1988.
L'EFFETTO SERRA e tutte i suoi tristi corollari, (aumento dell'intensità e FREQUENZA di alluvioni, uragani, siccità etc), sono in gran parte dovuti al consumo di combustibili fossili.
Tanto per quantificare le idee, l'umanità brucia annualmente un ammontare di COMBUSTIBILE FOSSILE pari a quello che la natura impiegò un milione di anni a produrre! Sarà forse a causa di questa nostra sinistra EFFICIENZA che ci autodefiniamo così immodestamente Homo Habilis Habilis?
È stato proposto che dovremmo concepire l'ambiente come una Banca che appartiene all'umanità: il capitale è la capacità di assorbimento dell'atmosfera.
Dall'inizio della rivoluzione industriale, le emissioni di un numero assai ridotto di nazioni hanno consumato più di undici volte (di tale capitale) di quanto abbia consumato il resto del mondo.
Vengono alla mente le parole del poeta indiano R. Tagore: "il mondo sa che i pochi sono più dei molti".
Le alterazioni climatiche che causiamo con le nostre azioni sono tanto più preoccupanti in quanto avvengono a distanza: le attività di una nazione in un punto del pianeta possono ripercuotersi su un paese dall'altra parte del globo, paese dal quale si è divisi non solo dalla distanza fisica, ma da tradizioni, costumi, cultura, sviluppo sociale, religione etc.
È forse questo il modo di finire questo secolo di successi, con un esperimento definito "perverso"? Chi poteva immaginare che bruciare carbone in Europa può rischiare di far sparire le Isole Maldive sotto un Oceano Indiano gonfiato dall'espansione termica causata dall'EFFETTO SERRA antropogenico?
Ma allora, poiché abbiamo individuato il nemico ed il nemico siamo noi, chi ci salverà da noi stessi? Poiché un Governo mondiale, che Dante nel De Monarchia chiamò "necessario", che ci obbligherebbe ad agire nell'interesse di tutti, non sembra una soluzione agibile, date le ben documentate litigiosità e diffidenza umane, sarà forse la cruda inospitabililtà del nostro pianeta, prevista da molti studi, ad obbligarci, come dice il filosofo americano M.J. Mortimer, "a fare in ginocchio, strisciando in disperazione, quello che dovremmo fare su una base razionale, a fronte alta e con speranza, attraverso l'uso delle nostre facoltà mentali?”
I biologi canadesi A. Gordon e D. Suzuki ci ricordano che anche se non siamo in grado di percepire la radiazione ultravioletta come fanno le api, anche se la nostra vista non è come quella delle aquile, abbiamo un’altra strategia di sopravvivenza.
Lo sviluppo di un cervello capace di formulare concetti complessi che si sono poi cristallizzati nell'edificio delle scienze in generale, che fra le altre cose, ci insegnano che i sistemi fisici e biologici sono finiti.
Ma l'illuminismo delle scienze, da solo, non basta. Non dobbiamo cadere vittime della separazione baconiana tra i valori scientifici e quelli etici. Abbiamo bisogno di entrambi.
Scienza e tecnologia facilitano il nostro compito, ma non motivano le nostre attività. A tal fine, abbiamo bisogno di un bagaglio etico, l'espressione più famosa essendo ancora quella del capo indiano Chief Seattle al Presidente Americano F. Pierce: "La terra non appartiene all'uomo, l'uomo appartiene alla terra".
Aveva pienamente ragione il Chief, l'ambiente non è nostro, l'abbiamo ricevuto in dotazione dalle generazioni passate con il tacito impegno che l'avremmo trasmesso alle generazioni future se non migliorato, quantomeno nelle stesse condizioni in cui lo abbiamo ricevuto.
Abbiamo fallito, perché abbiamo già deprezzato la nostra aliquota di capitale ecologico. La scusa canonica che le ingiurie all'ambiente dei decenni passati furono inconsapevolmente causate dal giustificato desiderio di un miglioramento generale della società, non è più valida.
Sono finite quelle che Sir S. Ramphal ha caritatevolmente chiamato "azioni non corrotte da malizia". Le scuse sono finite perche è finita l'ignoranza.
Oggi conosciamo in dettaglio le conseguenze delle nostre azioni perché le quantifichiamo dallo spazio. Viene alla mente il Giulio Cesare di Shakespeare,"La colpa, caro Bruto, non è nelle stelle ma in noi stessi".
Ghandi disse che la terra ha abbastanza risorse per i bisogni dell'uomo ma non abbastanza per la sua cupidigia. Abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare, di una nuova etica, di un'etica della terra, come disse M. Strong, Segretario della Conferenza Mondiale di Rio del 1992.
Dobbiamo abbandonare il punto di vista kantiano secondo cui la natura è una collezione di forze irrazionali che dobbiamo soggiogare, poiché le conseguenza di tali azioni sono anche troppo evidenti.
Il problema, non lo dimentichiamo, è profondamente umanitario. Parafrasando J.P. Sartre, l'umanità non è la somma dei suoi abitanti ma la somma dei suoi bisogni collettivi. Il sessanta per cento della popolazione della terra vive in aeree remote dove le fonti energetiche, a cui noi siamo abituati, non arriverà forse mai.
Tali popolazioni, è prudente assumere, aumenteranno. Quale sarà il loro destino se i popoli, le nazioni industriali non vengono loro incontro?
Useranno l'unica risorsa a loro disposizione, la BIOMASSA, il che significa la distruzione delle foreste tropicali, lo scrigno in cui si conserva la più grande diversità biologica della terra, forse 20 milioni di specie, da cui deriviamo più del 40% di tutti i nostri medicinali.
Il biologo di Harvard, E.O. Wilson, ha commentato con amarezza che distruggere tali foreste, queste cattedrali verdi, è come se bruciassimo un quadro del rinascimento per scaldarci la cena.
Se preserviamo con giusto orgoglio le piramidi di tremila anni fa, a maggior ragione dovremmo preservare cattedrali come le foreste tropicali che hanno un milione di anni.
Abbiamo bisogno di una nuova persona, un "geo-tologo", un tutt'uno fra un geologo ed un teologo, che ci insegni etica ed igiene planetaria.