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Darwin Cosmologo? - Vittorio Caunto -

L'Arca di Noè, una fascination che dura da millenni e che spero continui a durare perché l'umanità ha bisogno di sognare e di credere, oggi forse più mai, che un tempo il mondo era semplice.
L’Arca ha sempre suscitato un grande interesse scientifico.
Per esempio: qual'era la sua stazza?
Leggiamo la Bibbia: lunga 300, larga 50 ed alta 30 cubiti.
Poiché quest'ultimo è circa 46 cm (la misura dal gomito alle dita), si arriva ad una stazza di 43,000 metri cubici, un cubo alto 35m. Strettina quest'Arca per i 10-20 milioni di specie di cui ci parlano i biologici di oggi.
O forse le specie sono mutate nel tempo ed ai tempi di Noè ce n'erano molte meno, tutte ragionevolmente comode nell'Arca?
Poiché fino al secolo scorso il dogma dominante era che il numero delle specie non fosse mutato dal momento della creazione, un Gesuita tedesco, Athanasius Kircher nel 1675 suggerì che il cubito della Bibbia non è quello usato da noi comuni mortali ma quello geometrico, ben sei volte più lungo, il che ci regala un fattore 216 portando la stazza dell'Arca a circa un milione di metri cubici, assai più comoda.
Soluzione ingegnosa ma che ha il sapore di un ricamo tolemaico.
Cosa dice la tassonomia, la disciplina che si interessa di catalogare le specie?
Carol Linnaeus, il grande botanico svedese dotato di un profonda fede luterana e di un ego di proporzioni bibliche (si definì modestamente il secondo Adamo), credeva fermamente nell'assoluta immutabilità temporale delle specie:
Natura non facit saltus, scrisse nel 1750 ma pochi anni dopo cancellò la frase di suo pugno poiché gli erano venuti dei dubbi: infatti, aveva visto ibridi (risultato di due individui di specie differenti) e mutazioni (organismi geneticamente diversi dai loro genitori).
Linneo morì nel 1778 senza poter conciliare la sua fede nell'immutabilità delle specie a questi nuovi fatti.
Nel 1837, il filosofo inglese W. Whewell reiterava il dogma Linneano "Le specie hanno una esistenza reale in natura e, una transizione da una all'altra, è impossibile".
Solo 22 anni dopo, sic transit gloria mundi, veniva alla luce L'Origine delle Specie in cui Charles Darwin distruggeva una volta per tutte la nozione delle specie quali entità immutabili.
Lo dovette fare per suggerire una tesi di assai più grandi proporzioni: che la vita ha evoluto, che tutti gli organismi terrestri provengono da un progenitore comune.
Darwin propose la più grande rivoluzione intellettuale dopo Copernico, ribaltò un edificio che, come quella di Tolomeo, si reggeva su dei puntelli artificiali creati per turare le falle logiche che continuavano ad evidenziarsi.
Dal mondo artificiosamente statico di Linneo ad una visione dinamica in cui la stabilità è un'illusione momentanea.
Ci insegnò Darwin che, poiché col passare del tempo, l'habitat cambia, il processo della "Selezione Naturale" muta in modo inevitabile quelle variazioni dentro una specie che possono essere ereditate.
Le specie non hanno altra scelta che evolvere col tempo.
Quando sia passato un tempo sufficientemente lungo, le variazioni così accumulatesi possono essere tali da farci concludere che abbiamo a che fare con un'altra specie.
Stranamente, la prima prova a favore della visione darwiniana venne dal grande geologo svizzero Louis Agassiz, un accanito oppositore delle idee evolutive di Darwin.
Egli infatti dimostrò che l'Europa aveva subito una serie di imponenti glaciazioni, grandi, spesse lastre di ghiaccio erano scese dalle regioni polari per poi ritirarsi al Nord e poi ancora ritornare, un 'oscillazione che sinora è successa ben quattro volte.
I biologi ci insegnano che a causa di questi cambiamenti climatici, le specie preferiscono cambiare di habitat piuttosto che cambiare di anatomia, "l'habitat tracking", proprio l'opposto del noto "Vulpes pilum mutat, non mores".
Creature come l'opossum e l'armadillo sono molto sensibili ai cambi di temperatura ed hanno, nel corso del tempo, cambiato habitat.
Centoventimila anni fa, il traffico a Trafalgar Square nel cuore di Londra era forse tanto congestionato come oggi, solo che allora c'erano leoni ed ippopotami, testimonianza quanto mai chiara che il clima è cambiato e che le specie si sono adattate.
Cosa impariamo da tutto ciò? Se l'umanità continua insensatamente e ciecamente ad distruggere habitat naturali, cosa ne sarà di tutte quelle specie che dovendo seguire le leggi di Darwin cercano un nuovo habitat? Ho sentito una volta una soluzione tanto curiosa quanto errata.
Si potrebbero creare dei parchi nazionali, degli ospizi forestali dove collocare le specie in pericolo.
Arca di Noè, edizione XX Secolo. Sbagliato? Perchè? Nel 1962, F.W. Preston, un inglese trapiantato negli USA, pubblicò un articolo nel giornale Ecology che fece epoca.
Dimostrò che se N denota il numero di specie in un'area di superficie A, N ed A sono legati dalla semplice relazione, con x=0.3. Si può provare tale legge?
Si prende un 'isola, si eliminano tutte le specie viventi e poi si aspetta a vedere se ne ritornano esattamente lo stesso numero di prima.
Concettualmente il problema è risolto.
Il biologo E.O. Wilson (Harvard) ed un suo ex-studente, D.S. Simberloff (Florida) usarono metodi meno drastici e, in una serie accurata di esperimenti, verificarono la validità della legge di Preston. Facciamo ora un esempio: supponiamo che un'isola venga divisa in due (non chiedetevi come). Poiché il numero delle specie è rimasto inalterato (assumiamo una DISTRIBUZIONE omogenea), l'equazione di Preston non è più rispettata, è sbilanciata.
Per portarla in bilancio, bisogna ridurre il numero delle specie di circa il 20%, cioe’un quinto delle specie devono sparire.
Un esempio triste di biogeografia.
In vista del preoccupante fenomeno della DEFORESTAZIONE (la FAO calcola un tasso annuale di 168,000 km quadrati, più o meno le dimensioni della Florida), Simberloff ha calcolato che se il tasso di DEFORESTAZIONE di oggi dovesse continuare, metà delle foreste tropicali sparirebbero nell'anno 2000, il che implica (conservativamente) che si perderanno il 12% degli uccelli e il 15% delle piante.
Perdiamo la diversità biologica, una perdita irreversibile, se pensiamo che circa il 50% dei medicinali di oggi vengono estratti dalle foreste (si pensi alle pillole per abbassare la pressione estratte dai serpenti).
Un esempio: leucemia.
Nel 1960, c'era una probabilità del 20% di salvarsi, oggi è del 80% grazie alla potente droga derivata da un alcaloide ricavato dalla Rosy Periwinkle (dal latino pervinca), che si trova solo in Madagascar.
Immaginate le conseguenze della DEFORESTAZIONE di tale Isola!
Darwin, ci ha insegnato molto, ma molto rimane da imparare se lo sappiamo leggere fino in fondo. Fu il primo ad intuire che l'età della terra doveva essere di gran lunga superiore a quella stimata dai fisici di allora (Lord Kelvin calcolò un 'età di 100 milioni di anni, in realtà sono 4,5 miliardi e se avesse dato retta a Darwin forse si sarebbe chiesto quale altro meccanismo poteva allungare l'età della terra aprendo le porte ad una nuova cosmogonia).
Darwin ci diede una visione dinamica soppiantando la staticità dei suoi predecessori.
La rivoluzione Darwinina è appena cominciata come il grande dibattito fra gli ultra-Darwiniani ed i paleontologi di oggi ci insegna.
Un'ultima domanda: quanta influenza ebbe il mondo dinamico, evolutivo di Darwin sulla cosmologia?
Su Einstein che scoprì che le sue equazioni gli proponevano un Universo in espansione a cui però non volle credere (ah, se avesse letto Darwin!), su Hubble che alle fine degli anni venti finalmente provò che l'universo non è alla Linneo, statico, immutabile e noioso, ma evolve?
Darwin cosmologo?
Fu tanto grande che non ha bisogno di altri allori, anche se pienamente meritati.