Marchio o simbolo?
Il Cane a sei zampe è tutte e due le cose. Un marchio perché è riferito ad un prodotto e con lo slogan “Supercortemaggiore la potente benzina italiana” risuscitò l’immagine dell’Agip avviandone il grande successo commerciale.
Un simbolo astratto che evoca la straordinarietà della nascita e della avventura dell’Eni come fosse un mito: cos’altro è se non un mito un cane che sputa fuoco e che ha sei zampe? Nel mito la Natura non viene copiata ma produce forme fantastiche, o sublimi o mostruose, e il nostro cane è l’uno e l’altro.
Un’immagine di potenza che non ha eguali nelle razze canine e assieme la percezione che si tratta di una forza speciale al servizio dell’uomo, due qualità che trovarono geniale sintesi nello slogan di Ettore Scola “il cane a sei zampe il migliore amico dell’uomo a quattro ruote”.
La mostra al Vittoriano.
Ed è questo carattere simbolico che ha fatto del Cane a sei zampe una sorta di sigillo impresso sulla straordinaria impresa di Mattei.
Bene ha fatto quindi l’Eni a ricordarne la nascita in una mostra al Vittoriano a Roma inaugurata il 25 marzo e che durerà fino a domani. Lungo un breve e ordinato tragitto una sequenza di foto, documenti e audiovisivi ricorda gli anni pionieristici della resurrezione dell’Agip e della nascita dell’Eni quando la volontà di Enrico Mattei si scontrò duramente con la resistenza e gli attacchi di petrolieri, giornalisti e politici che ostacolarono con ogni mezzo il suo progetto, senza riuscirci.
E’ emozionante all’ingresso il video con la famosa intervista a Mattei che racconta la storia nota dei due bracchi che mangiano voraci e che con un colpo di zampa uccidono un gattino affamato che s’avvicina allo scodella dando così il senso dei pericoli e delle fatiche che l’Eni dovette sopportare per sedersi alla mensa dei grandi petrolieri.
E sotto lo schermo ci sono la scrivania, la sedia e l’armadio dell’ufficio di Mattei che nella loro semplicità e modestia danno ancora un’idea di quanto valesse la dignità di Mattei che badava alla sostanza delle cose, privo di ogni formalismo e ostentazione nell’esercizio del suo potere.
Le cose più interessanti sono le foto del lavoro dei tecnici dell’Eni in Italia e in giro per il mondo, le più numerose in Iran e in Egitto dove per la prima volta l‘Eni aveva intaccato il dominio delle Sette Sorelle, e i documenti originali della gara tra i maggiori pubblicitari dell’epoca che portò alla scelta del Cane a sei zampe.
Le foto restituiscono lo spirito del tempo di un Paese appena uscito da una guerra disastrosa e che nel duro lavoro ritrovava dignità e futuro: le facce, il modo di vestire, la presenza davanti alla macchina da presa ci dicono tanto dell’orgoglio e dell’impegno di quei pionieri del primo Eni.
I documenti da parte loro testimoniano lo scrupolo con cui l’Eni organizzò e segui il concorso e di quale livello erano tutti i concorrenti; colpisce anche lo stile delle comunicazioni per la forma dei rapporti contrattuali e per il contenuto professionale e la qualità di scrittura delle lettere: niente di sciatto, niente di improvvisato.
Nell’insieme la percezione di chi visita la Mostra è di rianimare il ricordo di chi c’era e di incuriosire chi non c’era e chi non ne sapeva niente alla più grande avventura imprenditoriale del dopoguerra.
Detto tutto il bene di questa iniziativa va però criticata la sua brevità: un mese è troppo poco per allargare la partecipazione ai tanti che possono essere interessati a visitarla; anzi, per un’iniziativa così importante sarebbe persino giustificata una mostra permanente alimentata continuamente dall’aggiornamento dell’imponente Archivio Storico organizzato dall’Eni.