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Dalla scoperta del fuoco al calore prodotto per combustione, alla pila di Volta e le lampadine di Edison. Un viaggio tra passato, presente e ... futuro dell'energia.

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Il progetto Iter - Ludovica Manusardi Carlesi -

Tra le nuove forme di energia una soluzione pulita e non inquinante è suggerita dalla fusione termonucleare controllata, reazione che utilizza elementi leggeri, (gli isotopi1 dell'idrogeno), per fonderne insieme i nuclei, a temperature e pressioni elevatissime, e formare nuclei di elementi più pesanti come l'elio, trasformando in energia il cosiddetto "difetto di massa", ossia la differenza di peso tra i nuclei che prendono parte alla reazione e il peso del nucleo di elio risultante secondo la ben nota equazione di Einstein E=m.c^2.

Tra il 1970 e il 1990 sono state realizzate macchine piccole e grandi per studiare la fusione; la più grande e la più importante è certamente Jet- Joint european torus- realizzata nel 1983 a Culham, in Inghilterra cui l’Italia ha partecipato con contributi importanti; unica macchina fino ad ora ad aver ottenuto nel 1997  un picco di potenza di 16 milioni di watt  della durata di due secondi ricavato dalla fusione deuterio-trizio, anche se per un tempo troppo breve e con un guadagno molto basso, lontanissimo dal valore minimo indispensabile per passare dalla fase sperimentale a quella operativa di fornire energia elettrica.

L’esperimento più importante attualmente in corso è ITER, International Thermonuclear Experimental Reactor, una grande impresa messa in piedi da sette potenze: Unione Europea, Russia, USA, Cina, Giappone, più Sud Corea e India entrate nel gruppo in tempi più recenti: la più rilevante azione di ricerca a livello mondiale per l’utilizzazione dell’energia da FUSIONE NUCLEARE il cui scopo è  produrre un plasma2 di deuterio e trizio che si avvicini il più possibile allo stato di sostentamento della reazione. Scopo di Iter è acquisire elementi decisivi per la dimostrazione della fattibilità scientifica e tecnologica della fusione deuterio-trizio in una grande macchina di tipo tokamak3, e il conseguimento di un rapporto tra  potenza generata nel processo di fusione e potenza di riscaldamento ausiliaria in grado di garantire la produzione di energia elettrica. Per dare un’idea della quantità di energia che potrebbe scaturire da questa impresa basta citare un dato: un solo kilogrammo di miscela deuterio trizio  portato a fusione completa  genererebbe energia termica pari a quella prodotta da 8200 tonnellate di petrolio! 

La storia di Iter risale ai primi anni della fine della guerra fredda quando, nel 1985,  si incontrarono a Ginevra Michail Gorbaciov e Ronald Reagan. Voleva essere un segnale di distensione, una testimonianza del disgelo tra Est e Ovest. Ma, una volta caduta l’Urss, il progetto perse parte del suo fascino originario, anche se  restò il sostegno dell’Euratom, convinto che una macchina  a partecipazione internazionale fosse la scelta giusta per produrre l’energia del futuro. Dopo una gara tra Giappone, Italia e   Francia, come  sede per la realizzazione di ITER  fu scelto  il sito francese di Cadarache. Il costo del progetto venne stimato nel 2000 in cinque miliardi di euro. Oggi questa cifra è stata rivalutata arrivando ufficialmente a 12 miliardi di euro così ripartita: all'Unione Europea il 45,46%, al Giappone  il 30%; poi Stati Uniti (15%), Russia (5%), altri (5%). In Europa il maggior impegno è sostenuto da Germania, seguita da  Gran Bretagna, Francia e Italia più o meno appaiate. Il valore dei componenti che l'Europa dovrà fornire per la costruzione di ITER è stato stimato (nel 2001) in circa 1750 milioni di euro, di cui l’industria italiana potrebbe aggiudicarsi un buon 20%. L’impegno italiano per Iter è pari a circa 7-8 % del totale europeo. Nell’ambito dell’Associazione bilaterale  per la fusione stipulata tra Euratom e Italia, l’Enea è diventato il coordinatore nazionale.

Valutando le grandi difficoltà di realizzare un’opera così complessa  si confrontarono fin dall’inizio due posizioni contrapposte: da un lato coloro che sostenevano la necessità di procedere subito con  un unico grande esperimento che affrontasse  globalmente gli aspetti salienti e le problematiche della reazione di fusione su scala reale, così come poi si sarebbero configurati in un reattore vero e proprio per scopi commerciali; dall’altra chi sosteneva, invece, l’opzione di un esperimento più contenuto e meno costoso ( circa dieci volte meno),  per capire prima se la fusione era fattibile con le modalità richieste dal progetto, con quale EFFICIENZA e affidabilità,  arrivando quindi  alla piena comprensione della fisica del plasma; solo in una fase successiva passare alla costruzione di un reattore di dimensioni maggiori. A favore dei sostenitori dell’opzione globale, la convinzione che Iter è uno di quei casi in cui il fattore di scala non è premiante, poiché  lo svolgimento dei fenomeni e i risultati conseguiti non si ripresentano identici quando si cambia la dimensione dell’esperimento; a favore della soluzione che consigliava di procedere per gradi,  si schierarono invece alcuni fisici italiani tra cui  Riccardo Giacconi, premio Nobel  per la fisica nel 2002, Ernesto Mazzucato, fisico sperimentale del plasma che  lavora a Princeton, e soprattutto  Bruno Coppi, che divide la sua attività tra Torino e Boston  dove è professore di fisica dei plasmi al prestigioso MIT, Massachusetts Institute of Technology.

Coppi, verso la fine degli anni settanta propose un reattore sperimentale per lo studio della fusione, per esplorare regimi fisici noti solo a livello teorico e verificare la bontà di alcune ipotesi: Ignitor, una macchina piccola, poco costosa, fattibile in dieci anni. Una volta avute le conferme, passare alla fabbricazione del reattore vero e proprio.  L’idea di Coppi, fortemente sostenuta nel 1988 da Umberto Colombo allora presidente dell’Enea, ebbe un certo seguito, e, tra gli anni 1994 e 2001, il governo italiano stanziò complessivamente e direttamente all’Enea in favore di Ignitor oltre 60 milioni di euro in diverse riprese,  anche se solo in parte realmente erogati. Sull’effettivo impiego delle risorse destinate a Ignitor è però mancato un rendiconto  preciso e puntuale; non solo, ma a causa degli ostacoli frapposti dalla burocrazia e da un sovrapporsi di competenze tra Ministero dell’industria, Ministero della ricerca e Gestore della rete elettrica, nel 2006 il progetto Ignitor venne alla fine definitivamente abbandonato in favore del  progetto Iter, fortemente sostenuto dall’ Unione Europea.

Ma di questa decisione l’Italia ha pagato ancora una volta un prezzo. Infatti nella primavera del 2010 c’è stata la ratifica  dell’accordo tra Italia e Russia per fare Ignitor presso la sede Trozk dell’Istituto di ricerca Kurchatov vicino a Mosca. All’impresa parteciperanno  anche gli Stati Uniti. Un’occasione perduta per il nostro Paese anche per le sicure ricadute nell’indotto in un momento in cui  il rilancio di opere importanti avrebbe potuto dar fiato alla nostra economia.

Per tornare a Iter, in un recente convegno promosso dal Senato Italiano è stato fatto un esame dettagliato della cosiddetta Road Map da percorrere per arrivare a un utilizzo dell’energia da FUSIONE NUCLEARE. Dall’indagine conoscitiva sono emersi alcuni elementi interessanti. Dal 2006, anno in cui  Iter è ufficialmente partito le cose sono parecchio mutate. Il rifacimento del preventivo, approvato nel 2008, ha portato  i costi da 5 a 12 miliardi di euro e forse a 15: in tal modo la quota europea sale da  2,7 a 6 miliardi; la data di fine costruzione  slitta dal 2016 al 2018, ma in realtà viene mantenuta per ragioni squisitamente politiche perché è da ritenersi del tutto irrealistica. La sensazione che emerge da alcuni commenti è che su Iter, come su tutti i temi connessi alle problematiche di tipo  energetico, si sono intersecati inevitabilmente grossi interessi di  tipo economico e politico, prevalenti sull’aspetto puramente scientifico, soprattutto da parte di Bruxelles, che ritiene Iter un elemento vitale della strategia a lungo termine europea verso sorgenti di energia sostenibili e la sicurezza dell’approvigionamento (..), e  ha interesse a mantenere fisse alcune scadenze per non venir meno alle aspettative dei governi e dell’intera comunità scientifica.

Non tutti però nella comunità scientifica ne sono convinti fino in fondo, e proprio la dilatazione dei costi e dei tempi inducono gli addetti ai lavori ad alcune riflessioni. C’è il timore, in parte fondato, che il progetto Iter comporti  un azzeramento di tutti i  programmi nazionali, definiti di seconda priorità, e sottragga mezzi a ricerche decisive in campo energetico, come le energie integrative e soprattutto la fissione, i reattori veloci e gli studi per lo smaltimento delle scorie. A questo si aggiungono controversie di tipo organizzativo riconducibili alle decisioni delle agenzie nazionali deputate a costruire parti di Iter, inevitabili quando, come in questo caso, bisogna mettere d’accordo sette partner diversi.  Emergono poi problemi  sul piano tecnico ancora non affrontati, primo fra tutti la ricerca, indispensabile, per valutare i danni subiti dai materiali sottoposti  per tempi lunghi a flussi di neutroni di alta energia. In un reattore a fusione i flussi termici sono, come densità di potenza, da sei a sette volte superiori a quello di un reattore a fissione. Che cosa succede a un materiale sollecitato in modo così violento? Per capirlo occorre realizzare un ACCELERATORE speciale- non si è ancora deciso dove e a spese di chi – con un costo previsto di un miliardo di euro e tempi abbastanza lunghi. C’è poi il problema del trizio. Il trizio, indispensabile per la reazione di fusione, non esiste in natura, va prodotto, è pericoloso e danneggia la parete del reattore i cui pezzi vanno ogni tanto sostituti. Finora, l’unica macchina che ha prodotto trizio necessario per la fusione è Jet, ma allora non si capisce come mai prima di passare a Iter non si sia insistito a utilizzare l’esperimento Jet,  che ha acquisito sulla fusione competenze importanti, per esempio espandendolo.  Si assiste pertanto a una strana situazione: due macchine Jet e Iter che  procedono quasi in parallelo con un evidente dispendio di risorse. Infine, il gigantesco problema dell’amplificazione del processo di reazione, cioè il rapporto tra potenza generata nel processo  di fusione e potenza ausiliaria immessa dall’esterno: se una macchina produce meno di quanto consuma non è più redditizia, e questo è proprio il nocciolo del problema. Insomma non sono pochi coloro che  ritengono il progetto ITER  incapace di venire alla luce nella sua interezza nei tempi stabiliti. Del resto, molto recentemente è stato emesso un comunicato ufficiale che parla di un ulteriore slittamento del programma di dieci mesi rispetto al termine  stabilito, cosicché la data del 2019, indicata come scadenza per le prime esperienze con plasma ad alta temperatura, è di fatto già stata smentita; mentre la sola fase di sperimentazione sull’ impianto è prevista richiedere una durata di 20-25 anni.

Quindi tempi incerti e soprattutto costi in aumento rispetto alle ipotesi di partenza, il che comporta anche per l’Italia oneri aggiuntivi non previsti. Pertanto da più parti emerge l’esigenza di aprire un dibattito serio e trasparente sull’avventura di Iter, dibattito che interessa tutti, ma che invece nessuno in Italia, né tantomeno a Bruxelles, sembra volere affrontare.

Box 1. Per riassumere,  il cammino per arrivare alla realizzazione del reattore a fusione prevede il raggiungimento, in sequenza, di alcuni obbiettivi fondamentali:

1. il breakeven in cui l’energia generata dalla fusione eguaglia quella immessa dall’esterno per mantenere il plasma a temperatura termonucleare. Il breakeven dimostra la fattibilità scientifica del reattore a fusione.

2. l’ignizione, in cui si ha l’autosostentamento della reazione di fusione, per il riscaldamento del plasma da parte degli stessi nuclei di elio prodotti; facendo un paragone classico - nel campo della fissione questo stadio di reazione autosostenentesi fu raggiunto con la pila di Fermi , nel lontano 1942, a Chicago.

3. la fattibilità tecnologica per affermare che il rendimento netto di tutto l’impianto è positivo.

Nel futuro reattore a fusione la reazione dovrà innanzitutto autosostenersi. Si suppone che le particelle alfa (ossia i nuclei di elio), intrappolate nel volume di plasma, cedano ad esso parte della loro energia, in modo da mantenerlo caldo dopo l'iniziale riscaldamento ottenuto con mezzi esterni. I neutroni trasferiscono la loro energia al MANTELLO del reattore, che contiene una grande quantità di litio. Si genera così il trizio che sostiene  la reazione e l'energia generata è trasformata in calore, utilizzabile per produrre energia elettrica.

Box 2. Caratteristiche di Iter. Qui sono indicate  le tappe principali.

 Step n° 1: ITER; le prime esperienze sono previste iniziare nel 2019;la durata della sperimentazione su questo grande impianto sarà di almeno 25 anni;
 Step n° 2: IFMIF ACCELERATORE per lo studio dei materiali, (non ancora deciso e finanziato) e decisione tempestiva per la sua realizzazione;
 Step n° 3: DEMO; la sua progettazione e costruzione  richiederà almeno 10 anni e non potrà iniziare prima del 2030;
 Le conoscenze necessarie per la progettazione e la costruzione della prima centrale di produzione di energia elettrica da fusione dovrebbero essere disponibili a partire dal 2055-2060.


Note:
1 isotopi:  si definiscono isotopi  elementi che hanno stesso numero atomico e differente peso atomico. L’idrogeno ha due isotopi: deuterio- nucleo formato da un neutrone e un protone; trizio- nucleo formato da un protone e due neutroni
2 plasma: detto anche quarto stato della materia è un gas di particelle cariche alla temperatura dell’ordine di cento milioni di gradi
isotopi:  si definiscono isotopi  elementi che hanno stesso numero atomico e differente peso atomico. L’idrogeno ha due isotopi: deuterio- nucleo formato da un neutrone e un protone; trizio- nucleo formato da un protone e due neutroni
3 tokamak: acronimo del nome russo di torodolnaya camera maknitnaya: cella toroidale con bobine magnetiche. E’ una macchina a forma di ciambella  che, attraverso il confinamento magnetico di isotopi dell’idrogeno, crea le condizioni perché si verifichi al suo interno la fusione. L’altra via per confinare il plasma è il confinamento inerziale che consiste nel bombardare il plasma con impulsi laser di elevatissima potenza per provocare l’implosione e quindi la fusione dei nuclei.