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L’energia elettrica: storia di un successo italiano - Piero Gnudi -

Il 17 marzo si celebrano i centocinquanta anni dell’Unità d’Italia. Ho voluto cogliere l’occasione per ripercorrere, seppur in modo molto sintetico, la storia dell’energia elettrica del nostro Paese.
L’energia elettrica è stata una delle scoperte scientifiche che più ha modificato il nostro vivere quotidiano.
La rivoluzione elettrica ha avuto inizio alla fine del 1800, esattamente nel 1882 quando a New York viene messa in funzione la prima centrale elettrica in  Pearl Street Station su progetto di Thomas Edison e con il finanziamento del banchiere  J. P. Morgan. Nel 1883, un anno dopo l’impianto di New York, a Milano in via Santa Radegonda a due passi dal Duomo,  in uno stabile precedentemente usato come teatro,  veniva costruito il primo impianto in Europa continentale, il secondo al Mondo. La centrale distribuiva l’energia nel raggio di un chilometro e illuminava i portici di Piazza del Duomo. Questa centrale è stata costruita sotto l’egida di un comitato promosso dall’Ingegner Giuseppe Colombo che è stato uno degli iniziatori  del Politecnico di Milano.
I costi del carbone spingevano le aziende elettriche della penisola alla ricerca di fonti di alimentazione alternative.
La manifattura italiana aveva una tradizione plurisecolare nell’uso dell’acqua come forza motrice, che aveva condizionato, prima dell’avvento dell’elettricità, anche la localizzazione delle attività produttive. Ciò favorì certamente le prime concrete applicazioni di generazione idroelettrica, che trovarono non solo nell’ILLUMINAZIONE ma anche nell’elettrificazione degli stabilimenti industriali un possibile mercato per l’energia prodotta, e quindi uno stimolo alla realizzazione degli investimenti necessari. Nel biennio 1898-1900 si costruirono  i primi due grandi impianti idroelettrici italiani, all’epoca i maggiori d’Europa: Paderno sull’Adda e Vizzola sul Ticino.
La tecnologia idroelettrica nel nostro Paese da allora è sempre stata all’avanguardia e le nostre imprese hanno costruito impianti in tutto il Mondo. L’acqua rimase la fonte principale per la generazione elettrica fino agli anni sessanta.
Altro primato italiano è stato nella geotermia, settore in cui tutt’oggi il nostro Paese è leader mondiale, nel 1904 infatti il Principe Ginori Conti riuscì in Toscana a trasformare i getti di vapore in energia elettrica.


In quegli anni il nostro PIL pro capite era pari a meno della metà di quello Inglese  e inferiore del 20% a quello di Francia e Germania, e il tasso di alfabetizzazione era al di sotto del  50% della popolazione contro l’80% della Germania, il 70% dell’Inghilterra e 60% della Francia. La nostra struttura industriale era molto ridotta rispetto a quella di altri Paesi con una popolazione impegnata per la gran parte in agricoltura. Un settore  per altro  povero come dimostrano fra l’altro i dati della raccolta di frumento fra le più basse d’Europa nel 1880.    C’è da chiedersi allora come mai in questa situazione il nostro Paese sia riuscito a essere all’avanguardia nello sviluppo di  questa nuova tecnologia che avrebbe cambiato oltre che il vivere quotidiano anche il modo di produrre. Certamente i fattori che hanno concorso a questa storia di successo sono stati molti, ma io ritengo che sia stato fondamentale oltre alla presenza in quei decenni di grandi scienziati, l’aver coltivato dei centri di assoluta eccellenza quali i Politecnici di Torino, fondato nel 1862, e quello di Milano, fondato nel 1863, che a seguito dell’introduzione dell’energia elettrica attivarono i primi insegnamenti di elettrotecnica e vennero progressivamente potenziati.  Ricordo fra tutti  la donazione di 400.000 lire di Carlo Erba al Politecnico di Milano destinata alla creazione della scuola speciale di elettricità. Una cifra importante se comparata alla capitalizzazione delle società elettriche nel 1886 pari a 6.650.000 lire. La Fiat fu costituita con 800.000 lire di Capitale Sociale.
I Politecnici, forti del supporto dell’Industria dell’epoca, seppero formare scienziati e tecnici in grado di raccogliere e vincere questa nuova sfida tecnologica.


Qualcosa di simile è successo nel dopoguerra quando si cominciò a studiare l’impiego del nucleare per usi pacifici. In un Paese distrutto dal conflitto, con molti Italiani che avevano da risolvere ancora il problema della quotidianità, già si aveva la capacità di guardare avanti al futuro.  Nel novembre del 1945 ci fu un convegno a Como da cui derivò  il rapporto sulla Fisica in Italia. Nel 1946 grazie al  contributo di importanti realtà industriali dell’epoca quali Edison e SADE, Fiat, Montecatini e la Finelettrica dell’IRI, viene creato a Milano il Centro informazione studi esperienze CISE con il compito di formare i tecnici in vista dello sviluppo dell’energia nucleare e progettare un reattore da 10 megawatt. Sul fronte internazionale nel 1953 si consolidò l’idea che fosse necessario condividere le conoscenze per l’uso pacifico del nucleare, e nel 1957 venne istituita  l’EurAtom che insieme alla CECA, istituita nel 1951, furono certamente i primi pilastri su cui è stata costruita l’Unione Europea. 
Intanto in Italia si avviava la costruzione dei primi reattori, il primo reattore fu costruito dall’ENI a Latina, seguirono poi i reattori promossi da Edison, a Trino Vercellese e nel Garigliano dalla SENN, società partecipata dalle Società IRI: Società Meridionale di elettricità, SME e  SIP, e dalla Società romana di elettricità. Pur essendo partiti in ritardo rispetto ad altri Paesi, alla conferenza di Ginevra del 1964 il nostro Paese era, per potenza elettronucleare in esercizio, il terzo del blocco occidentale con 642 Megawatt, una produzione di 3.5 Giga wattora pari al 4.2% della produzione nazionale.  Questo promettente inizio dell’era nucleare in Italia però presto si ridimensionò. Certamente, influì in maniera negativa, la vicenda giudiziaria che nel 1963 coinvolse il Segretario Generale del Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare Felice Ippolito, indiscusso motore di tutta l’industria atomica in Italia. Il caso Ippolito è un esempio dei danni di lungo periodo che possono derivare dalla conflittualità politica di basso profilo.  In quei mesi ci fu la tragica morte di Enrico Mattei che dell’indipendenza energetica del nostro Paese  aveva fatto il fondamento di tutta la sua  vita imprenditoriale.
Il nucleare era stato uno straordinario volano di ricerca e sviluppo in molti campi, anche in campo agricolo con la sperimentazione di nuove varietà cerealicole. Questi successi furono raggiunti grazie al lavoro di un grande scienziato, membro dell’Accademia dei Lincei, Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, purtroppo mancato in questi giorni.
La creazione dell’ENEL, del resto, ancorché avesse sbloccato l’approvazione della legge sugli usi pacifici del nucleare, non portò grande slancio all’industria nucleare negli anni successivi, essendo il colosso nazionale gravato dal debito contratto per il  pagamento degli indennizzi agli ex industriali elettrici e impegnato finanziariamente nel sostenere l’integrazione dei sistemi produttivi e l’espansione della TRASMISSIONE e DISTRIBUZIONE su scala nazionale.
Dopo la crisi del Kippur del 1973, fu rilanciato un ambizioso programma nucleare che prevedeva la costruzione di ben otto centrali nucleari su tutto il territorio nazionale  Concretamente però negli anni successivi si terminò la costruzione di Caorso e si avviò  il cantiere di Montalto.
Il programma nucleare italiano fu definitivamente approvato nel marzo del 1986, ma nell’aprile dello stesso anno ci fu l’incidente di Cernobyl che portò al referendum del 1987.
Il risultato referendario impediva la costruzione di nuove centrali nucleari ma si poteva continuare a gestire le centrali esistenti e ultimare le centrali in costruzione. La chiusura fu una scelta politica che il nostro Paese è stato l’unico a fare, e che ci è costata molte migliaia di miliardi di lire e molti squilibri industriali nel settore elettromeccanico.  
Indubbiamente un altro passaggio importante della storia dell’industria elettrica italiana è stato quello della nazionalizzazione.
La nazionalizzazione dell’industria elettrica, che era stato preceduto da un acceso dibattito durato molti anni, fu il frutto degli accordi presi per l’ingresso dei socialisti nel Governo.
Nel 1962 circa la metà dell’industria elettrica era già in possesso dello Stato tramite l’IRI, e le  Società private erano sostanzialmente l’Edison e la SADE.   Il dibattito tra irizzare l’industria elettrica o procedere alla nazionalizzazione, fu intenso e alla fine prevalse questa seconda tesi che in realtà forse fu molto più onerosa per le finanze pubbliche rispetto all’irizzazione, che era stata già sperimentata positivamente nel settore della telefonia.  La nazionalizzazione certamente ha avuto aspetti negativi e positivi, però io ritengo che prevalgano gli aspetti positivi perché con la nazionalizzazione l’Italia è riuscita a completare l’elettrificazione del Paese, facendo si che in tutto  il territorio nazionale l’energia elettrica fosse disponibile.  Al momento della nazionalizzazione 1.700.000 persone vivevano in case prive di energia, potrebbe sembrare una porzione abbastanza ridotta ma se l’andiamo ad esaminare regione per regione vediamo che il fenomeno era concentrato in alcune parti del Paese, ad esempio in Sicilia dove vivevano oltre 455.000 persone non raggiunte dal servizio elettrico.
La realizzazione di questa rete capillare di DISTRIBUZIONE di energia è stato un fattore determinante per la nascita di quel tessuto di piccole e medie aziende che è la ricchezza del nostro Paese.
Come dicevo, oltre alla diffusione del servizio in ogni punto del Paese, i tecnici di Enel lavorarono con successo su altri due fronti:  la standardizzazione e l’interconnessione. Sul primo fronte si trovarono ad affrontare una realtà frammentata: impianti di generazione con taglie dissimili: nel 1962 erano in cantiere 5.158 MW termici per 26 gruppi,  con ben otto taglie diverse . Ci fu un grande sforzo di standardizzazione e di aumento delle dimensioni degli impianti. L’ENEL è stata la prima in Europa nel costruire impianti termoelettrici da 320 MW nel ’64 e 640 nel ’69. 
Grazie a questa lungimiranza il costo dell’energia si ridusse di oltre il 20% nel decennio dal 63 al 73. 
Sul fronte della rete si lavorò alacremente per potenziare la TRASMISSIONE nel territorio nazionale, le interconnessioni con l’estero e permettere una diffusione capillare del servizio.
La grande esperienza acquisita nella costruzione di queste reti unitamente al continuo sforzo di ricerca e perfezionamento ci ha permesso di avere in Italia una delle reti più efficienti al mondo con uno dei costi più bassi di TRASMISSIONE e DISTRIBUZIONE di energia elettrica. Oggi l’Enel  è il secondo operatore mondiale nella DISTRIBUZIONE e uno dei più efficienti in Europa. Questa  leadership è stata riconosciuta anche recentemente dall’Unione Europea.
Enel guida il gruppo di lavoro europeo incaricato di progettare le reti del futuro, le smart grid, grazie allo sviluppo tecnologico dei suoi contatori digitali.
L’Italia è il primo paese al Mondo in cui sono stati installati, in modo diffuso, i contatori digitali. L’Enel ne ha istallati 32 milioni creando una componente importante dell’infrastruttura di base per le smart grid, le reti del futuro: un nuovo paradigma per il sistema elettrico, una rete intelligente che integri la generazione diffusa da fonti RINNOVABILI, favorisca la mobilità elettrica e faciliti consumi razionali ed intelligenti. Questo apparecchio  permette anche di differenziare le tariffe (giorno/notte, week-end ) consentendo un consumo più razionale dell’energia elettrica.

Ma veniamo ai tempi nostri.
In Italia negli ultimi dieci anni sono state costruite o stanno per essere ultimate nuove centrali per circa 30 mila MW. Siamo uno dei Paesi che ha costruito al Mondo più centrali dopo la Cina e purtroppo quasi tutte alimentate dal gas, con poche eccezioni quali la centrale Enel a carbone ultrasupercritico di Civitavecchia.
La scelta del “tutto gas” ci ha portato al paradosso italiano: abbiamo un margine di riserva elevatissimo e per contro siamo uno dei Paesi al mondo che importa più energia. Oggi l’energia termoelettrica, che rappresenta il 75% dell’intera produzione nazionale, è prodotta a gas per il 51%, a carbone per il 13% e a petrolio per l’11%. La dipendenza dall’import per il gas è elevata, intorno al 90% nel 2009 e con una previsione di aumento al 95% nel 2030. L’85% del gas arriva dai gasdotti, con due Paesi la Russia, con 22.9 miliardi di metri cubi,  e l’Algeria, con 22.7 miliardi di metri cubi,  a rappresentare due terzi dell’import totale che nel 2009 è stato di circa 70 miliardi di metri cubi.
Una situazione che ci deve far riflettere considerando quello che sta accadendo oggi nella Sponda sud del Mediterraneo ci deve far riflettere. 
La scelta del “tutto gas” forse non è stata una scelta saggia. Il nostro Paese ha una dipendenza dall’estero per le fonti energetiche per oltre l’80%. Oltre che un problema di sicurezza negli approvvigionamenti, ciò comporta un costo enorme.
La IEA stima che il costo della nostra BOLLETTA ENERGETICA per il 2011 sarà circa il 3,5% del PIL, pari a circa il 13% delle nostre importazioni.
Cosa si può fare ?
Innanzitutto nel settore gas, per differenziare i fornitori, oltre ai gasdotti esistenti e in programma, occorre disporre di una sufficiente rete di rigassificatori per diversificare i Paesi da cui approvvigionarsi. 
Dobbiamo puntare sul RISPARMIO ENERGETICO, come peraltro si fece negli anni 70 dopo la crisi del Kippur. Ma il nostro Paese  ha già un basso consumo energetico - in termini di kg di petrolio equivalente per abitante consumiamo  il 15% in meno rispetto alla media UE -  e anche il consumo energetico per unità di prodotto è assieme alla Danimarca fra i  più basse d’Europa.
E occorre diversificazione le fonti partendo dalle RINNOVABILI: in questo campo  in Italia siamo partiti forse tardi, creando un sistema di incentivi che purtroppo sta portando a delle storture. Nel corso del 2010  sono stati istallati 3.700 MW di nuovi impianti che impiegano fonti RINNOVABILI, portando la capacità italiana a oltre 30.000 MW – con 9.445 MW di eolico e solare. 
Le richieste di ALLACCIAMENTO per  nuovi impianti di produzione da fonti RINNOVABILI ammontano a 99.000 MW  : cifra impressionante se si pensa che l’intero parco di generazione italiana è pari a poco più di 100.000 MW di potenza installata.  Questa corsa alle RINNOVABILI è spinta dagli incentivi troppo generosi, incentivi, che sono stati posti a carico dei consumatori e non dell’erario come per esempio in Germania. Si tratta di un onere rilevante, pari nel solo 2010 a 3,4 miliardi di euro, stimati dall’Autorità per l’energia elettrica in 5,7 miliardi al 2011,  per generare il 3.48% della produzione netta totale di elettricità del Paese.
Credo che sia giusto incentivare le nuove tecnologie, ma forse sarebbe stato meglio, come in altri Paesi, mettere dei limiti annuali per la costruzione degli impianti.
Il Ministro dello Sviluppo economico si è fatto carico di questo problema e sta  cercando di porre in essere dei provvedimenti che riducano quest’onere.  Già oggi diverse tecnologie RINNOVABILI, dall’idroelettrico all’eolico passando per la geotermia, possono esser considerate mature, con costi di produzione comparabili al costo di produzione da fonti tradizionali.
Purtroppo l’Italia non è un Paese ventoso come le zone atlantiche e quindi non si potranno ottenere dall’eolico i risultati di  Spagna e Germania. 
Altre tecnologie, quali il solare FOTOVOLTAICO, hanno visto ridurre i propri costi del  30 % negli ultimi anni con una previsione di raggiunge l’economicità oltre il  2020; è un cammino ancora lungo che quindi sarebbe più saggio sostenere con gradualità, modulando gli incentivi sull’evoluzione delle tecnologie, per non disperdere troppe risorse.


Ma se si vuole diversificare e rendere più sicuro e affidabile il nostro sistema elettrico, non si può prescindere dal nucleare. 
Per vent’anni non sono state costruite al mondo centrali nucleari. Certamente è stato determinante l’incidente di Cernobyl però molta influenza ha avuto il fatto che il petrolio per molti anni aveva un costo molto basso, alla fine degli anni Novanta il BARILE era sceso a dieci dollari al BARILE
L’era dell’energia poco costosa è finita, tutti gli scenari prevedono per il futuro un BRENT intorno agli 80-110 dollari al BARILE. Il caro petrolio ha spianato la strada alla rinascita del nucleare. Ai  441 reattori in esercizio in 30 diversi Paesi con una capacità istallata di circa 375.000 MW sono da aggiungere 65  reattori in costruzione per una capacità aggiuntiva di quasi 60 mila MW.
Enel con le acquisizioni in Slovacchia, in Spagna e con l’accordo con la francese Edf per lo sviluppo congiunto delle centrali di ultima generazione, è rientrata nel nucleare e ha ricostituito al proprio interno il know-how per gestire questa tecnologia. Siamo impegnati nella realizzazione di due dei tre impianti nucleari attualmente in corso di costruzione in Europa, Flamanville 3, in Francia, e Mochovce 3&4 in Slovacchia.
Contiamo su circa 5.760 MW di capacità istallata che derivano dall’esercizio dei reattori slovacchi e spagnoli.
Oggi, in Enel, lavorano 3.800 persone nell’esercizio degli impianti nucleari e 160 specialisti nell’ingegneria e nello sviluppo dei nuovi progetti.
Il nostro Paese ha imboccato la strada del nucleare, una strada abbastanza lunga e complessa. Occorre ricostruire il quadro normativo che consenta la costruzione di nuove centrali. Occorre anche ricostituire quel patrimonio di conoscenze che era diffuso nelle nostre università e che si è ridotto enormemente.  
L’Enel sta già lavorando in tal senso. Abbiamo stipulato convenzioni per l’istituzione di borse di studio e premi di laurea con i cinque Atenei del Consorzio Interuniversitario per la ricerca tecnologica nucleare ovvero Pisa, Palermo, Politecnici di Milano e Torino, Roma La Sapienza con la previsione di estendere la collaborazione alle università di Bologna, Genova e Padova, inoltre, abbiamo già incontrato centinaia di imprese per ricostruire la filiera industriale.
Mi auguro che tutto questo processo non venga fermato dal Referendum che sarà indetto per l’abrogazione della norma per la "realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare", norma che ha avviato il ritorno del nucleare in Italia. 


L’energia è una delle grandi sfide che l’Umanità deve affrontare nei prossimi anni. Milioni di persone nel Mondo stanno uscendo dalla soglia della povertà: questo straordinario progresso economico e sociale cammina però sulle gambe dell’energia.  Occorre allora trovare fonti di energia sostenibili che possano supportare questa crescita.
La IEA stima che dal 2008 al 2035 la domanda di energia primaria mondiale crescerà del 36%, con consumi crescenti dei Paesi non OCSE. Questi Paesi rappresenteranno infatti oltre l’80% dell’incremento di domanda elettrica, con la Cina che arriverà ad una richiesta di energia elettrica pari alla somma dei consumi Statunitensi ed Europei.
Certamente c’è un problema di sostenibilità, se non riusciamo a fare un grande sforzo tecnologico questi Paesi aumenteranno la produzione di energia da fonti fossili, con enormi problemi ambientali. 
Gli obiettivi di riduzione della CO2 che l’Europa si è impegnata di ottenere nel periodo 2008-2012 per rispettare il PROTOCOLLO DI KYOTO  sono vanificati dall’incremento di un solo anno delle emissioni cinesi.
La Cina del resto, nel solo 2010, ha avviato la costruzione di una centrale a carbone alla settimana.
Gli impegni europei definiti dal pacchetto 20/20/20- e cioè al 2020 ridurre del 20% le emissioni di GAS SERRA rispetto ai livelli del 1990, aumentare l’EFFICIENZA ENERGETICA del 20%, e assicurare la copertura del 20% dei consumi energetici finali con generazione da fonti RINNOVABILI - rischiano di essere vanificati se non si punta su impegni globali.
Si tratta,  infatti, per l’Europa di impegni onerosi, soprattutto per Paesi con un mix energetico come il nostro privo a oggi di nucleare. Questo enorme e costoso sforzo però non avrà un  effetto significativo se gli altri Paesi, quali la Cina, l’India, il Brasile, gli Stati Uniti e i Paesi in via di sviluppo non dovessero assumersi impegni vincolanti  in termini di riduzione delle emissioni di CO2. 
Nonostante il fallimento della conferenza sul Clima di Copenaghen, e il risultato non molto significativo della conferenza di Cancun, nel Mondo vi è un forte impegno per lo sviluppo delle RINNOVABILI.
L’investimento nell’energia rinnovabile è stato visto in molti Paesi come un volano per  rilanciare l’economia.
Occorre trovare il modo di fornire all’Umanità, soprattutto ai Paesi più poveri quell’energia necessaria per il loro progresso economico, e dobbiamo riuscire a farlo in modo ambientalmente sostenibile.
Non possiamo rischiare di lasciare alle prossime generazioni un Mondo che sia invivibile.
In questi anni in molti Paesi  c’è un fiorire di progetti e ricerche per trovare nuove soluzioni nella produzione di  energia.
Vorrei ricordare fra tutti un progetto che si chiama Desertec, nato inizialmente sotto l’impulso di importati società tedesche, a cui si sono aggiunte numerose società delle due sponde del Mediterraneo, tra le quali Enel Green Power. E’ un progetto che si  propone di promuovere nella sponda Sud del Mediterraneo investimenti per produrre energia da fonti RINNOVABILI.
La sponda Sud del Mediterraneo è il posto ideale per le energie RINNOVABILI , ci sono tutte le condizioni migliori: vento, sole e enormi spazi desertici.
Si parla di investimenti consistenti, stimati in quattrocento miliardi.
Io penso che se  riuscissimo a portare avanti questo progetto otterremmo vari risultati: primo, contribuiremmo a risolvere il problema europeo di raggiungere più facilmente i target di riduzione delle emissioni che ci siamo imposti. Secondo, e certamente più importante riusciremmo a dare un concreto aiuto alle economie di questi Paesi, stabilizzando un’area, che in questi giorni stiamo toccando con mano quanto sia importante.


I problemi della Sponda Sud del Mediterraneo sono anche nostri problemi. Bisogna però evitare gli errori del passato, quando sono stati fatti grandi progetti che non sono mai decollati come a Barcellona nel 1995 e a Marsiglia tre anni fa.
Desertec ma anche il Piano Solare del Mediterraneo promosso dall’Unione Europea, sono due progetti concreti che possono esser varati rapidamente e costituire un volano per la ripresa di questi Paesi. 
Con l’energia, tramite l’Euratom e la Ceca, è iniziato  un partenariato proficuo per i Paesi europei, l’energia può essere l’inizio di un partenariato con i Paesi della sponda Sud, basato su collaborazioni concrete.  
Nell’economia verde si stima che saranno investiti nei prossimi dieci anni nel Mondo 2000 miliardi di dollari.
Nel 2010 le RINNOVABILI a livello mondiale, diversamente dalle previsioni,  si sono ancora una volta dimostrate un’industria in espansione con una crescita del 6,8% rispetto al 2009 con 175 miliardi di euro investiti. Ancora una volta con la Cina che pur non avendo preso alcun impegno in sede di negoziati internazionali sul clima, rappresenta il leader di settore grazie ad una capacità istallata di oltre 50 GW, un tasso di crescita nell’ultimo quinquennio del 79% contro il 20/30% europeo,  e investimenti per quasi 35 miliardi di dollari.


Ci sono anche molti progetti che cercano di rendere l’energia termoelettrica ambientalmente compatibile. L’Enel è all’avanguardia in questo filone di ricerca, proprio la scorsa settimana è stato inaugurato a Brindisi un impianto pilota per la cattura e lo STOCCAGGIO della CO2.

Come alla fine dell’Ottocento occorre una sorta di rivoluzione tecnologica per vincere questa sfida che cambierà il modo di vivere di milioni di persone. Occorre una strategia di lungo periodo e dobbiamo avere chiaro che ,anche nei momenti di crisi come quelli che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, non va perso il senso del futuro. Dalla storia dell’industria elettrica del nostro  Paese si possono cogliere utili esempi.