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Dalla scoperta del fuoco al calore prodotto per combustione, alla pila di Volta e le lampadine di Edison. Un viaggio tra passato, presente e ... futuro dell'energia.

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La transizione energetica in Europa dal 1700 a oggi - Paolo Malanima -

Premessa
I cambiamenti decisivi avvenuti nell’economia europea degli ultimi due secoli vengono spesso indicati dagli storici con le espressioni di crescita moderna o di modernizzazione dell’economia. Alcuni elementi centrali di questa trasformazione possono essere riassunti con poche cifre essenziali:

- aumento della popolazione: da meno di 200 milioni di abitanti nell’intero continente nel 1800 a 730 nel 2000, con una crescita di 3,5-4 volte;

- aumento del prodotto pro capite: da circa 1.000 dollari interna-zionali del 1990 all’inizio dell’Ottocento a 16.000 nel 2000, con un aumento di circa 16 volte1

- aumento del prodotto aggregato: nell’insieme del continente, in due secoli, la capacità di produrre è aumentata di 50-60 volte.

Crescita e energia. Un presupposto indispensabile della modernizzazione economica è stato il progresso delle conoscenze tecniche e in particolare di quelle nel settore dello sfruttamento delle risorse energetiche. Se definiamo l’energia, sotto il profilo economico, come la capacità di compiere lavoro utile per soddisfare i bisogni e i desideri degli uomini, questa capacità è aumentata decisamente. Per quanto il cambiamento nel sistema energetico non costituisca, da solo, una condizione sufficiente della crescita economica, esso costituisce, tuttavia, una condizione necessaria, nel senso che, senza di esso, il processo della crescita moderna, che ancora continua, non avrebbe potuto aver luogo. In altri termini: il forte aumento del numero degli uomini e del loro potere d’acquisto non avrebbe potuto essere sostenuto senza un aumento nella capacità di trasformare i materiali dell’ambiente in beni e servizi; e questa capacità è, appunto, fornita dal sistema energetico.

La modernizzazione dell’economia è iniziata in Europa e dall’Europa si è diffusa in altre parti del mondo. Il cambiamento nel sistema energetico ha accompagnato questa diffusione negli ultimi due secoli. Possiamo farci un’idea dell’entità del cambiamento avvenuto nel campo dell’energia con un semplice calcolo. Si stima che circa 90-100 miliardi di uomini siano vissuti sulla Terra da 5 milioni di anni fa ad oggi. Gli ultimi 200 anni rappresentano solo lo 0,004 per cento nella storia dell’umanità dalle origini. Ebbene, in questi ultimi due secoli, in cui è vissuto circa il 20 per cento dell’umanità, è stata consumata una quantità di energia 3-5 volte superiore a quella consumata dai 70-80 miliardi di uomini vissuti in precedenza, e cioè nel 99,996 per cento della storia della specie uomo2.

L’obiettivo delle pagine seguenti è quello di delineare i cambiamenti essenziali avvenuti negli ultimi due secoli, durante la transizione energetica; un’espressione, questa, che comprende sia la trasformazione nell’entità dei consumi, che nelle fonti sfruttate, che anche nei modi dello sfruttamento. Si concluderà questa ricostruzione con le prospettive del cambiamento energetico nel prossimo futuro.

1.  Prima della transizione
Le fonti. Alla vigilia della crescita moderna, e cioè nelle economie agrarie europee prima dell’Ottocento, i bisogni fondamentali di movimento, calore, ILLUMINAZIONE, venivano soddisfatti da tre fonti fondamentali3.  La prima, quella originaria, era costituita dal cibo, che apportava una quantità di calorie4  - fra le 1.500 e le 2.500 al giorno - non molto diversa da quella disponibile oggi. Con consumi stabilmente inferiori alle 1500 calorie, la popolazione non avrebbe potuto sopravvivere e riprodursi. Consumi superiori alle 2500 calorie non erano consentiti dalle conoscenze tecniche in agricoltura.

La fonte più importante in termini quantitativi, era rappresentata dalla legna, e, in misura trascurabile, guardando all’Europa nel suo insieme, da altri combustibili come la torba e il carbon FOSSILE. Lo sfruttamento della legna col fuoco aveva costituito un cambiamento decisivo nella storia dell’umanità, che, con questa conoscenza tecnica, aveva superato decisamente le capacità degli altri animali. La conoscenza del fuoco si era sviluppata fra 1 milione e mezzo milione di anni fa. Dal momento che la legna secca fornisce circa 3.000 calorie al chilo e che nell’Europa medievale e moderna si consumavano in media 3 kg al giorno per persona, includendo gli usi industriali, il consumo pro capite derivante da questa fonte era di 9.000 calorie. Le differenze nei consumi fra il Nord e il Sud erano, ovviamente, assai forti a causa delle differenze di temperatura. Mentre in Scandinavia il consumo medio al giorno poteva arrivare a poco meno di 10 kg, nel Mezzogiorno d’Italia o nel Sud della Spagna, si superava di poco 1 kg.

La terza fonte di energia, sviluppatasi su ampia scala soltanto a partire dal millennio fra il 4000 e il 3000 a.C., era costituita dal cibo per gli animali usati in agricoltura e nei trasporti. Lo sfruttamento della forza animale si diffuse con la nascita delle grandi civiltà agrarie del Vicino Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’India, della Cina. Un animale da lavoro o da trasporto come il bue, il cavallo, l’asino, più piccoli di dimensioni di quelli attuali, consumava sulle 20.000 calorie al giorno. Quanti fossero gli animali da lavoro in rapporto con la popolazione non è dato di sapere per le epoche antiche. Se si accetta, per l’Europa in Età Moderna, il rapporto di un animale ogni 4-5 persone e suddividiamo, dunque, il cibo consumato da ogni animale per 4 o 5, come se si trattasse del combustibile per una macchina, arriviamo a un consumo per persona di 5.000 o 4.000 calorie al giorno.

Due fonti affermatesi più tardi, quella del vento per le vele - già sfruttata nel tardo Mesolitico - e poi per i mulini - dal VII secolo d.C. - e quella dell’acqua - usata per i mulini già dal III secolo a.C., a quanto sembra da recenti studi5 -  costituirono sempre, in termini quantitativi, un apporto molto modesto. Raramente fu superato l’1-2 per cento nel totale dei consumi. Le macchine usate per sfruttare queste fonti di energia costituirono un contributo tecnico assai rilevante, per quanto il loro sfruttamento non consentisse di superare i limiti delle economie agrarie tradizionali.

Il livello dei consumi. E’ possibile precisare quale fosse il livello dei consumi di energia delle popolazioni europee di antico regime e quali fossero le differenze fra le diverse regioni del continente? Qual era la composizione del BILANCIO ENERGETICO? Qual era la differenza fra il livello dei consumi in Europa e nelle altre civiltà agrarie?

Abbiamo dati meno incerti per la vigilia della transizione energetica; vale a dire attorno al 1800 (Tabella 1). Considerando soltanto le fonti tradizionali6,  il ventaglio dei valori del consumo era molto vario e andava da 15 GigaJOULE a persona all’anno nei paesi mediterranei (più o meno 10.000 calorie al giorno), fino a 50 in Scandinavia (30.000 calorie al giorno). Al giorno d’oggi, il consumo annuo nei paesi dell’Europa occidentale è di 170 GigaJOULE all’anno. Questo ampio ventaglio dipendeva soprattutto dalle differenze di temperatura fra le di-verse regioni d’Europa e, di conseguenza, dal consumo di legna. Nel 1800 la media del consumo energetico in Europa occidentale, con l’esclusione del car-bon FOSSILE, che cominciava ad essere utilizzato, era di 20 GigaJOULE all’anno; che corrisponde a 13.000 calorie per persona al giorno.

Tabella 1. Consumo pro capite di energia in sei paesi europei nel 1800
(in Gj all’anno e kcal al giorno).

  • Nota: 10.000.000 kcal= 42 GigaJOULE.
    Fonti: questi dati e gli altri citati in queste pagine sono basati su una ricerca in corso del gruppo Long-term Energy Growth (LEG). In particolare, i dati per la Svezia sono stati elaborati da A. Kander, per l’Inghilterra da P. Warde, per i Paesi Bassi e Francia da B. Gales, per l’Italia da P. Malanima, per la Spagna da M. Rubio, per il Portogallo da S. Enriques. I criteri seguiti nella preparazione di queste serie, che includono sempre le energie tradizionali, sono spiegati nei lavori di P. Malanima, Energia e crescita, cit. e Energy Consumption in Italy in the 19th and 20 th Centuries, Napoli, ISSM-CNR, 2006, di A. Kander, Economic Growth, Energy Consumption and CO2 Emissions in Sweden 1800-2000, Lund, Lund University, 2002, e P. Warde, Energy Consumption in England and Wales 1560-2000, Napoli, ISSM-CNR, 2007.

Per quanto riguarda la composizione del BILANCIO ENERGETICO, al primo posto si trovavano i combustibili, rappresentati quasi esclusivamente dalla legna da ardere, che costituiva più del 50 per cento del consumo totale di energia nei paesi del sud e arrivava a più del 70 per cento nelle regioni fredde dell’Europa del nord. La seconda fonte era rappresentata dal cibo degli animali da lavoro (considerato come il combustibile di una macchina suddiviso fra la popolazione che li adoperava) e la terza dagli alimenti per gli uomini. Il vento, per le vele e i mulini, e l’acqua, per i mulini da frumento e per i congegni utilizzati nell’industria, rappresentavano meno del 2 per cento. Un’eccezione era costituita dai Paesi Bassi dove lo sfruttamento del vento corrispondeva al 20 per cento del totale7.  Questa composizione risulta confermata dai dati relativi alla metà del secolo; quando cioè, la transizione energetica era già cominciata (Tabella 2).

Tabella 2. Composizione del consumo di energia nel 1850 in Svezia, Paesi Bassi, Italia* e Spagna (%).

  • * 1861.
    Fonte: B. Gales, A. Kander, P. Malanima, M. Rubio, North versus South. Energy Transition and Energy Intensity in Europe over 200 Years, in ‘’European Review of Economic Histo-ry’’, 11, 2007, pp. 215-49.

L’Europa e le altre civiltà. Quanto alla differenza fra il consumo energetico dell’Europa e quello delle altre civiltà agrarie della stessa epoca, è possibile avanzare l’ipotesi che in Europa esso fosse superiore per due ragioni8:

1. la civiltà agraria europea era più settentrionale rispetto alle altre (cinese, indiana, quelle del Sudamerica….) e di conseguenza il consumo di legna era in media più elevato;

2. l’agricoltura secca europea (non basata, cioè, sull’irrigazione) utilizzava gli animali da lavoro molto più delle altre civiltà agrarie (sappiamo che, nelle altre regioni del mondo, tutto il lavoro agricolo veniva compiuto ben più dagli uomini che dagli animali).
Tutto considerato, la civiltà agraria europea era caratterizzata da un’intensità energetica relativamente elevata.

2. I caratteri del sistema energetico tradizionale
Il sistema energetico di antico regime era contraddistinto da:

1. utilizzo di fonti vegetali, e quindi RINNOVABILI;
2. sfruttamento di convertitori principalmente biologici;
3. rendimento modesto.

Esaminiamo questi tre caratteri.
Fonti RINNOVABILI. Tutte le fonti tradizionali di energia erano RINNOVABILI. Ad esclusione dell’acqua e del vento, esse erano di tipo vegetale e dipendevano dalla luce del Sole e dalla capacità fotosintetica dei vegetali. Rappresentavano, per questo motivo, una riserva illimitata di energia. La conseguenza negativa del carattere vegetale delle civiltà agrarie di antico regime è che esse dipendevano fortemente dai cambiamenti climatici di breve e lungo periodo, che potevano ridurre drasticamente o accrescere la base energetica. Inoltre, era difficile e laborioso ampliare in modo considerevole questa base, date le conoscenze tecniche e dato che essa dipendeva dalla disponibilità di terra, che è limitata. Per questa ragione le civiltà agrarie del passato erano povere di energia.

Convertitori biologici. Un’altra caratteristica di questo sistema energetico è che esso si fondava su convertitori biologici di energia molto più che su convertitori meccanici. Alla base del sistema vi era, infatti, l’ossidazione dei composti del CARBONIO attraverso il metabolismo degli uomini e degli animali e attraverso il fuoco (che è una forma di ossidazione rapida del CARBONIO contenuto nella legna). Questo sistema energetico non era in grado di trasformare il calore del fuoco in movimento ordinato o lavoro9.  Queste civiltà erano prive della “forza motrice del fuoco”, di cui scrisse Sadi Carnot nel 1824, riflettendo sulla macchina a vapore che si andava diffondendo in Europa10.

Rendimento e potenza. Una conseguenza importante della presenza di convertitori esclusivamente biologici dell’energia era il rendimento ridotto (vale a dire, un basso rapporto tra l’energia utile risultante da una trasformazione e l’energia totale impiegata). Per tutti gli esseri animali, gran parte dell’energia utilizzata come nutrimento viene impiegata per la sopravvivenza e trasformata in calore. Solo una piccola parte dell’energia introdotta è trasformata in lavoro meccanico e usata, di conseguenza, per fini economici. Nel caso dell’uomo il rendimento è del 20 per cento, mentre per gli animali adoperati in agricoltura non oltrepassa abitualmente il 10 per cento.  Per quanto riguarda la legna, il calore utilizzato dagli uomini era una parte molto ridotta del calore prodotto durante la combustione. Esso  poteva variare, ma di solito non oltrepassava il 25 per cento ed era, nella maggior parte dei casi, di gran lunga inferiore. Il rendimento dei mulini ad acqua e a vento era più elevato, come in tutti i casi in cui non si deve produrre lavoro attraverso una conversione preliminare in calore. Questo rendimento, tuttavia, non andava oltre il 35-40 per cento. Considerando che l’efficienza maggiore veniva ottenuta dalla forma di conversione – dell’acqua e del vento - che era d’importanza trascurabile all’interno del sistema energetico del passato, la conclusione alla quale giungiamo è che il rendimento era attorno al 20 per cento11
Anche la potenza, ovvero la quantità massima d’energia che può essere liberata in un secondo da una macchina (biologica o meccanica), era molto ridotta. Un mulino ad acqua aveva in media la potenza di 3-5 cavalli-vapore. Un mulino a vento poteva raggiungere i 10-15. Oggi, con una centrale nucleare, si può arrivare ad una potenza di 2 milioni di cavalli-vapore12.

3. Alle origini della transizione
La crescita della popolazione. Il sistema di energia delle civiltà agricole tradizionali, fondato, come si è visto, sull’impiego di fonti vegetali e sulla conversione biologica, si poteva adattare con molta difficoltà e lentezza all’aumento della domanda. Il passaggio da questo sistema a un sistema energetico diverso, fra Sette e Ottocento, dipese, prima di tutto, dall’aumento della domanda di fonti energetiche, che derivò dalla crescita della popolazione a partire dalla fine del XVII secolo. Attorno al 1650, la popolazione dell’Europa non era molto superiore a quella del 1300: poco più di 100 milioni. Essa raggiunse, tuttavia, circa 190 milioni nel 1800 e 314 milioni nel 1870. Malgrado l’estensione delle superfici coltivate e l’introduzione del mais e della patata, che avevano un rendimento ben superiore a quello del frumento e permettevano di nutrire un numero assai maggiore di individui, la prima fase di questa crescita fu caratterizzata da un aumento dei prezzi, in particolar modo dei prodotti agricoli. Seguì un peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, ovvero dei ceti sociali inferiori, che formavano il 90 per cento della popolazione, come risulta evidente dalla diminuzione dei salari reali nella seconda metà del XVIII secolo13
Questo peggioramento nella disponibilità di fonti energetiche si manifestò anche attraverso l’abbassamento della statura di qualche centimetro per le persone nate tra il 1750 e il 1820-30. Come conseguenza del dissodamento delle foreste per aumentare le superfici coltivate, la crescita dei prezzi agricoli fu più forte nel caso della legna. La pressione della popolazione sulla terra, che era la base del sistema energetico, ha spinto gli storici a parlare di una “crisi ecologica” della civiltà agraria europea14,  così come di quelle di altre parti del mondo e in particolare di quella cinese del medesimo periodo. Il sistema energetico tradizionale si rivelava incapace di sostenere la crescita demografica, come mostra chiaramente la diminuzione, pressoché in tutti i paesi d’Europa, della produzione agricola pro capite, che rappresenta bene la quantità delle fonti energetiche tradizionali15.

Bisogni e tecniche. La crescita dei bisogni, tuttavia, sebbene importante come stimolo per l’innovazione, può anche non essere seguita da un cambiamento tecnico. Perché si verifichi un cambiamento tecnico, è necessario che essa si combini con la conoscenza di nuovi processi, fatto che, in molti casi, è semplicemente accidentale. Nel caso dell’Europa, la carenza di fonti di energia tradizionali per abitante si combinò con la conoscenza di un combustibile, il carbon FOSSILE, che veniva utilizzato già nell’Antichità e nel Medioevo e il cui impiego si era particolarmente diffuso in Inghilterra a partire dal XVI secolo. Esso rappresentava il 15 per cento del consumo totale di energia dell’isola nel 1600, era il 32 per cento nel 1650, quasi la metà nel 1750 e il 77 per cento nel 180016.  Era conosciuto nelle altre regioni d’Europa del centro e del nord, ma poco utilizzato.

4. Le fonti fossili di energia e il macchinismo
Carbone, petrolio, gas. Il carbon FOSSILE era anch’esso un composto del CARBONIO e, per questo motivo, organico come la legna e gli alimenti. Si trattava, tuttavia, di un composto che si era mineralizzato 300 milioni di anni addietro, nell’Era Carbonifera. I depositi di questo minerale rappresentavano una sorta di Sylva subterranea, come vennero definiti dal giurista tedesco Johan Philipp Bunting17.  Il vantaggio maggiore era il prezzo molto più basso di quello della legna o del carbone di legna, a parità di potere calorico. Con la diffusione del carbon FOSSILE in Inghilterra, e successivamente in Belgio, Francia, Germania e negli altri paesi del continente, cominciò l’era dei combustibili minerali e non riproducibili. L’utilizzo delle fonti vegetali e RINNOVABILI di energia, nel loro insieme, andò diminuendo, inizialmente in termini relativi e successivamente anche in termini assoluti (Figura 1).
Aveva inizio la fase FOSSILE del sistema d’energia, che continua a dominare ancora oggi. All’utilizzo del carbon FOSSILE, si aggiunse, alla fine del XIX secolo, l’uso del petrolio e, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, quello del GAS NATURALE (il METANO). In realtà, la transizione energetica comportò non il passaggio da un’economia organica a un’economia non organica, come ha suggerito A. Wrigley in numerosi suoi studi18,  ma quello da un’economia organica vegetale a un’economia organica minerale.


 
Figura 1. Il consumo di fonti moderne e di fonti tradizionali di energia in Europa occidentale dal 1800 al 2000 (in nero l’area delle fonti moderne).

Con il passaggio al carbon FOSSILE, l’Europa poteva contare, per l’approvvigionamento di fonti energetiche, sui giacimenti esistenti nel continente (soprattutto al Nord), mentre col petrolio e col GAS NATURALE non fu più possibile per la popolazione europea basarsi sulla produzione interna. Alla fase dell’indipendenza energetica seguì la fase della dipendenza.

 
Figura 2. Prezzo internazionale del petrolio in dollari del 1999 al BARILE
dal 1861 al 2000.

I prezzi dell’energia. Il passaggio all’impiego su vasta scala dei combustibili fossili di energia fu la conseguenza della crescita dei prezzi delle fonti energetiche tradizionali. Il passaggio dal carbon FOSSILE al petrolio e dal petrolio al GAS NATURALE dipese anch’esso dalla ricerca di fonti di energia meno costose. Tutte queste fonti fossili di energia erano assai meno care di quelle tradizionali. Se consideriamo i movimenti dei prezzi delle fonti energetiche nel lungo periodo, scopriamo, infatti, che mai nella storia dell’umanità le fonti di energia sono state così a basso prezzo come nel XIX e XX secolo (almeno fino alle crisi del petrolio negli anni Settanta del Novecento). Lo si vede bene, se assumiamo il prezzo del petrolio come indicativo del prezzo delle fonti energetiche moderne (Figura 2)19.  In particolare, si nota come un livello assai basso sia stato raggiunto fra il 1950 e il 1973, che sono anni di crescita assai sostenuta dell’economia europea. La disponibilità di risorse energetiche a buon mercato ha costi-tuito uno dei fondamenti della crescita moderna.

Il macchinismo. La transizione energetica è dunque caratterizzata dalla grande quantità disponibile di nuove fonti di energia. Se il carbone e gli altri combustibili fossili fossero stati ancora utilizzati nei modi tradizionali, vale a dire per il riscaldamento domestico e per la fusione dei metalli, o nelle numerose industrie che li usavano solo come fonti di calore, la transizione energetica, con la crescita economica ad essa associata, non avrebbe avuto luogo. Ancor più importante della disponibilità di combustibili diversi dalla legna, fu il passaggio dai convertitori biologici di energia alle macchine termiche, ovvero alle macchine capaci di convertire la potenza termica dei combustibili in movimento ordinato.
La transizione energetica segnò il passaggio al macchinismo. La capacità di lavoro, in senso economico, della specie umana veniva enormemente accresciuta e, con essa, la capacità di soddisfare i bisogni e i desideri. La storia della macchina a vapore si sviluppa a partire dagli esperimenti di Auguste Papin nel XVII secolo, passando per la macchina di Thomas Newcomen del 1712, fino ad arrivare alla macchina a vapore di James WATT posteriore al 1775, che aprì l’impiego del vapore all’industria e ai trasporti via mare e via terra. Un progresso importante fu, in seguito, rappresentato dalla macchina a combustione interna, progettata dall’inventore belga Jean Joseph Étienne Lenoir nel 1860 e perfezionata da Nikolaus Otto nel 1876. Un notevole sviluppo tecnico nel settore dell’energia fu costituito più tardi, alla fine del XIX secolo, dall’invenzione e diffusione dell’elettricità. L’elettricità non costituiva la scoperta di una nuova fonte. Essa è infatti una fonte secondaria di energia e non primaria, poiché non produce direttamente lavoro, ma è soltanto un’intermediaria tra una fonte di energia (del carbon FOSSILE, del petrolio, del gas, dell’acqua, del vento, dell’ATOMO) e i consumatori di energia utile. Essa rappresentò, tuttavia, un elemento essenziale per la diffusione capillare delle nuove fonti primarie di energia nelle industrie, nei trasporti e nelle abitazioni.

La geografia dell’energia. Mentre nell’Ottocento i paesi che erano cresciuti di più erano quelli che avevano carbone, nel Novecento le cose sono cambiate e si è rotta la relazione fra disponibilità di energia e crescita. Su scala mondiale, poco meno del 50 per cento del petrolio prodotto nell’ultimo decennio del XX secolo era concentrato, in ordine d’importanza, in Arabia Saudita, negli USA, negli stati della federazione russa, in Iran e in Messico. Non tutti questi paesi erano sviluppati sotto il profilo economico. Nello stesso periodo, facendo uguale a 100 il consumo di energia dei paesi avanzati, quello dei paesi in via di sviluppo era pari a 38, quello dell’Africa subsahariana a 20 e quello dei paesi meno avanzati a 5. Alla fine del Novecento, il 25 per cento della popolazione mondiale consumava il 75 per cento del totale dell’energia impiegata ogni anno. L’abitante di un paese avanzato consumava 10 volte più energia dell’abitante di un paese povero.

5. Il trend dei consumi
I consumi. Da un punto di vista quantitativo, il consumo pro capite di energia nel 1800 era di 23 GigaJOULE in Europa occidentale (includendo il carbon FOSSILE). Esso si mantenne a questi livelli fino al 1840; raggiunse  67 GigaJOULE nel 1900, 76 nel 1950 ed era di 170 nel 2000 (includendo sempre anche le fonti tradizionali).
La crescita è stata considerevole (Figura 3). Si possono cogliere le seguenti 4 epoche:
1800-1914: crescita sensibile (soprattutto dal 1840 in poi);
1920-1940: dopo la caduta durante la  Prima Guerra Mondiale si ha una ripresa, ma nel corso della crisi economica degli anni ’30 si ha una nuova ridu-zione, seguita da una caduta negli anni della  Seconda Guerra Mondiale. Nel complesso, in questo periodo, si ha stabilità;
1950-1973: fortissima crescita dal 1950 al 1973. La crescita è interrotta dal 1973 al 1980 e viene seguita da una ripresa che è, comunque, meno forte di quella dei due decenni seguiti alla Guerra Mondiale.

Figura 3. Il consumo di energia pro capite in Europa occidentale dal 1800 al 2000
(in Gj all’anno). 



Figura 4. Consumo pro capite di energia in Inghilterra e in Italia dal 1700 al 2000 (in Gj).

Due percorsi della transizione. I valori medi nascondono, tuttavia, le diverse strade seguite dalle economie europee. Queste diverse strade sono ben esemplificate dall’Inghilterra e dall’Italia, un paese ricco di fonti fossili di energia e un paese povero di fonti moderne (Figura 4)20.  Tutti gli altri paesi europei si trovano in una posizione intermedia fra i due estremi dell’Inghilterra e dell’Italia, con un andamento dei consumi più simile a quello dell’Italia che a quello dell’Inghilterra (che rappresenta l’eccezione piuttosto che la norma).
Le differenze fra i consumi di energia pro capite in Inghilterra e Italia sono ancora modeste all’inizio del Settecento. Si approfondiscono durante il Settecento e l’Ottocento, all’epoca dell’industrializzazione. L’Italia, pur importando carbon FOSSILE già almeno dal 1820, accresce i suoi consumi solo dall’epoca del suo sviluppo moderno, che comincia intorno al 1880. Solo, però, dopo la II Guerra Mondiale, compie il salto a un livello decisamente superiore, avvicinandosi di nuovo all’Inghilterra. La differenza sensibile, che ancor oggi permane rispetto all’Inghilterra, dipende dalle differenze di temperatura e dalla minore intensità energetica dell’industria italiana; che, anche in conseguenza della povertà di fonti moderne di energia, ha sempre puntato sull’industria leggera, anziché su quella pesante.

La produttività dell’energia. La crescita dei consumi di energia negli ultimi due secoli risulta ancora più considerevole se esaminiamo la crescita dell’energia utile della quale hanno potuto disporre gli Europei. Il macchinismo ha determinato, infatti, un aumento nel rendimento energetico dal 20 al 30-40 per cento. Per produrre una unità di prodotto lordo, nell’anno 2000 veniva impiegata la metà dell’energia che era necessaria nel 1800 (Figura 5). La produttività dell’energia, che è costituita dal rapporto fra il prodotto in termini reali e l’energia consumata21,  rivela una lieve caduta nella prima fase: sino alla fine dell’Ottocento. Essa è causata dall’utilizzazione, soprattutto in Inghilterra, di macchine a vapore ancora poco efficienti. Si ha, in seguito, dall’inizio del Novecento, un aumento della produttività, che s’interrompe negli anni Sessanta a causa dei prezzi molto bassi delle fonti energetiche (che non inducevano al risparmio) e alla diffusione dell’automobile e di tanti elettrodomestici nelle case degli Europei, oltre che di macchine ad alto consumo nell’industria. La produttività dell’energia aumenta di nuovo quando i prezzi crescenti delle fonti fossili, dopo il 1973, inducono a un consumo più efficiente. La tendenza all’aumento della produttività dell’energia continua ancor oggi. 

Figura 5. La produttività dell’energia in Europa occidentale dal 1820 al 2000
(dollari int. 1990 pro capite divisi per consumo pro capite di energia in Gj).

6. L’energia d’ieri e di domani
Si è visto come la transizione abbia comportato cambiamenti decisivi: dalle fonti tradizionali alle fonti moderne, dalla conversione biologica alla conversione meccanica, dall’indipendenza energetica alla dipendenza, da fonti costose a fonti a buon mercato… Vi è tuttavia un aspetto comune ai sistemi energetici prima e dopo la transizione al quale di solito non si presta attenzione: sebbene diverse, le fonti energetiche moderne sono tutte fonti organiche, ovvero composti del CARBONIO, così come le fonti utilizzate nel passato. Dalle sue origini, l’umanità è vissuta grazie a fonti organiche di energia; ha legato il suo destino agli atomi di CARBONIO. Possiamo dunque dire che l’economia dalle origini dell’uomo fino al presente è stata un’economia organica. La transizione avvenuta negli ultimi due secoli ha solo comportato, come si è visto, il passaggio da un sistema di energia organico di tipo vegetale a un sistema di energia organico di tipo minerale. Fra le fonti oggi sfruttate, solo quelle del vento, dell’acqua, del Sole, e quella nucleare, sono fonti di energia non organiche22.  Nel consumo mondiale di energia esse rappresentano, nel complesso, meno del 10 per cento. Secondo le proiezioni, nel 2030 esse costituiranno ancora meno del 10 per cento.  L’energia nucleare, sfruttata per produrre energia per scopi pacifici da circa mezzo secolo, sarebbe, secondo le stesse proiezioni, in aumento in termini assoluti, ma in diminuzione, dal 6,3 per cento del 2005 al 4,8 del 203023.
Le prospettive sul futuro dell’energia nei prossimi decenni non sono rosee. Al giorno d’oggi gli Europei, così come gli altri abitanti del Mondo, si trovano costretti a cambiare la loro base energetica organica. Da un lato il consumo crescente di combustibili organici comporta, infatti, una crescita dell’emissione nell’atmosfera di CO2 tale che sta cominciando a manifestare effetti pericolosi sull’evoluzione del clima. Dall’altro lato, i combustibili organici di tipo minerale non sono riproducibili e verranno esauriti; come un tesoro trovato per caso sotto terra e che stiamo sperperando in fretta. Ci sono dubbi su quando questo tesoro si esaurirà, ma nessuno ha dubbi sul fatto che esso si esaurirà. Ciò significa che le civiltà future non potranno essere ancora civiltà organiche come quelle del passato. Si dovrà intraprendere una transizione ben più decisiva di quella cominciata due secoli fa, se si vorrà mantenere il livello di vita ormai raggiunto. Essa dovrà consistere nel passaggio da un sistema energetico organico a uno inorganico (non basato, cioè, sui composti del CARBONIO). Al momento nessuno può prevedere con certezza quale strada verrà imboccata. Una possibilità è la fine della crescita. L’altra possibilità è quella di una nuova transizione energetica, su basi assai diverse da quella del passato.


1 In dollari internazionali del 1990 a parità di potere d’acquisto (PPA) sono espresse le serie elaborate da A. Maddison nei suoi lavori: The World Economy. A Millennial Perspective, Paris, OECD, 2001, e The World Economy. Historical Statistics, Paris, OECD, 2003, da cui sono ripre-se le cifre citate. A queste opere rimando per le spiegazioni sulla moneta usata per le comparazioni internazionali. 
2 Il calcolo è basato sulla stima di una speranza di vita di 20 anni (data l’elevata mortalità infantile), per gli 80 miliardi d’individui dalle origini dell’umanità al 1800 e su un loro consumo medio di energia di 6.000 kcal al giorno. Per i 20 miliardi di abitanti vissuti dal 1800 a oggi ho assunto una speranza di vita di 40 anni e un consumo medio di 40.000 kcal al giorno. E’ evidente che si tratta di una stima grossolana; ma utile per definire un ordine di grandezza.
3 Per i calcoli successivi, rimando a P. Malanima, Energia e crescita nell’Europa preindustriale, Roma, NIS, 1996.
4 Qui e in seguito per caloria s’intende la chilocaloria, abbreviata in Cal o kcal (che corrisponde a 1000 piccole calorie). La piccola caloria è la quantità di calore necessaria ad elevare da 14,5°C a 15,5°C 1 grammo d’acqua alla pressione normale. 10.000.000 di kcal corrispondono a 42 GigaJOULE.
5 A. Wilson, Machines, Power and the Ancient Economy, in “Journal of Roman Studies”, 2002, 92, pp. 1-32. L’opinione prevalente fino a qualche anno fa era che il mulino fosse stato inventato nel I secolo a.C.
6 Si esclude, cioè, il consumo di carbon FOSSILE dell’Inghilterra, che, invece, è incluso nel dato presentato nella Tabella 1.
7 Come si vede nella Tabella 2, tuttavia, alla metà dell’Ottocento, in seguito all’aumento del consumo di energia in Olanda e all’introduzione massiccia del carbon FOSSILE, la composizione del BILANCIO ENERGETICO era cambiata e il peso relativo del vento era minore che mezzo secolo prima.
8 P. Malanima, Energy Crisis and Growth 1650-1850. The European Deviation in a Comparative Perspective, in “Journal of Global History”, I, pp. 101-21.
9 Lavoro ha qui il significato economico e non quello della fisica.
10 S. Carnot, Réflexions sur la puissance motrice du feu, Paris, Vrin, 1978 (I ed. 1824).
11 P. Malanima, Energia e crescita, cit.
12 E. Cook, Man, Energy, Society, San Francisco, W.H. Freeman, 1976, p. 29.
13 Si veda sul tema R.C. Allen, The Great Divergence in European Wages and Prices from the Middle Ages to the First World War, in “Explorations in Economic History”, 2001, 38, pp. 411-47.
14 K. Pomeranz, The Great Divergence. Europe, China, and the Making of the Modern World Economy, Princeton, Princeton University Press,  2000.
15 R.C. Allen, Economic Structure and Agricultural Productivity in Europe, 1300-1800, in “Euro-pean Review of Economic History”, 2000, 4, pp. 1-26.
16 P. Warde, Energy Consumption, cit.
17 R.P. Sieferle, The Subterranean Forest. Energy Systems and the Industrial Revolution, Cam-bridge, The White Horse Press, 2001.
18 Rimando soprattutto a E.A. Wrigley, Continuity, Chance and Change. The Character of the In-dustrial Revolution in England, Cambridge, Cambridge University Press, 1988.
19 La fonte del grafico è costituita  dalla serie presentata in www.eia.doe.gov/ emeu/ interna-tional/ petroleum.htm.
20 La Figura 4 è basata su P. Malanima, Energy Consumption, cit. e su P. Warde, Energy Con-sumption, cit.
21 La produttività dell’energia è rappresentata dal reciproco dell’intensità energetica (energia consumata divisa per il prodotto), che viene spesso adoperata nelle ricerche sul tema dell’energia.
22 Anche le biomasse, di cui oggi si parla spesso, sono naturalmente fonti organiche.
23 Queste stime e proiezioni sono riprese da AIE, World Energy Outlook, Paris, AIE, 2007. Si ve-da, sulle proiezioni dei consumi di energia, il volume di A. Clô, Il rebus energetico, Bologna, Il Mulino, 2008.