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Il bacino del Tevere, il suo ambiente idrico e l’impatto antropico - Giorgio Cesari -

Il bacino del Tevere

Il Tevere è il principale fiume dell'Italia centrale e peninsulare. Scorre in una vasta area, compresa tra 43°47’ e 41°40’ di latitudine nord e 11°37’ e 13°26’ di longitudine est rispetto a Greenwich ed è situato, approssimativamente, nel centro della Ecoregione 3, come individuata dalla Direttiva 2000/60/CE (allegato XI, mappa A).
È, con 409 km di corso, il terzo fiume italiano per lunghezza dopo il Po e l'Adige ed in assoluto il secondo, dopo il Po, per ampiezza (circa 17.375 kmq, equivalenti ad 1/20 dell’intero territorio nazionale) del bacino idrografico. Il Tevere è anche il terzo fiume italiano per volume di acque, dopo Po e Ticino, con una portata media annua alla foce pari a quasi 240 m³/sec.
L’altitudine media del bacino idrografico è pari a 524 metri, mentre la cima più elevata è il monte Velino (altitudine 2.487 metri s.l.m.). Numerosi i laghi naturali, tra i quali i più estesi: Trasimeno, Vico, Albano, Martignano e Piediluco.
Il percorso del fiume si snoda attraverso un territorio che ricade in 6 regioni: nasce in Emilia-Romagna, attraversa la porzione centro orientale della Toscana, passa per l'Umbria e, dopo aver ricevuto il contributo dalle Marche e dall’Abruzzo, percorre il Lazio e, attraversata Roma, sfocia nel Tirreno. Ben 335 sono i Comuni il cui territorio ricade, in tutto o in parte, all’interno del bacino, cui va aggiunto lo Stato della Città del Vaticano; ulteriori 34 Comuni interessano il bacino idrografico (aree di intesa e limiti di costa).

Il fiume Tevere, conosciuto nei secoli scorsi anche come Fumaiolo per le numerose sorgenti che sgorgano dalle pendici dell’omonimo monte, nasce proprio da due di queste sorgenti, molto vicine tra loro, denominate "le Vene", ad un’altezza di 1.268 m s.l.m. fra un bosco di faggi, sul lato che volge verso la Toscana.
I confini tra questa Regione e l’Emilia furono fatti modificare da Mussolini nel 1923 così da fare in modo che le sorgenti del Tevere fossero nella sua provincia natale (Forlì). La sorgente del Tevere è segnalata dagli anni ‘30 da una colonna di marmo, sovrastata da un'aquila reale.
A pochi chilometri dalla sorgente, il Tevere lascia la Romagna ed entra in Toscana (provincia di Arezzo), attraversandola per un tratto breve ma importante in relazione ai luoghi (come Pieve Santo Stefano e Sansepolcro) e per l’invaso di MontedEoglio.
Il corso d’acqua passa in Umbria nella così detta Alta valle tiberina dove, al termine del tratto collinare del percorso, insistono altri due bacini artificiali, il Lago di Corbara, direttamente a monte della diga, ed il successivo piccolo lago di Alviano, 500 ettari di ambiente umido che ospitano un'oasi naturalistica.
Giunto nel Lazio ad Orte, il Tevere riceve più a sud le acque dell'Aniene ed attraversa Roma; infine, dopo altri 30 km, sfocia nel Mar Tirreno, non più solo ad Ostia come un tempo, ma anche a Fiumicino, in un delta di due bracci, uno naturale detto Fiumara grande e l'altro artificiale (il Canale di Traiano), che delimitano l'Isola Sacra.
L’antico nome del Tevere è Albula, per il riferimento al colore chiaro delle sue acque ancora più note come “bionde”. Un altro antico nome del Tevere è stato Rumon, di origine etrusca, mentre l’attuale nome è fatto risalire, secondo la tradizione, al re latino Tiberino Silvio, che vi sarebbe annegato.

  
La Sorgente                                                                                                 Il percorso del Fiume Tevere

Il corso d’acqua, storicamente individuato come il “Fiume”, è rappresentato nell’iconografia come una divinità semipianeggiante, sdraiata su un fianco, munita della cornucopia (segno dell’abbondanza), con, a fianco, la Lupa e i due gemelli (l’origine storica) e, dettaglio importante anche se sovente trascurato, con il remo (poiché navigabile). A questo ultimo proposito, il Tevere ha rappresentato nella storia la principale via di comunicazione commerciale, militare ed economica per Roma e per lo stesso bacino, almeno fino all’Umbria.
Il bacino del Tevere è ricco di affluenti e subaffluenti, ma il fiume riceve la maggior parte delle sue acque dalla riva sinistra, dove ha come adduttori principali il sistema Chiascio - Topino, il Nera (che raccoglie le acque del fiume Velino) e l'Aniene. I tributari della riva destra sono il Nestore, il Paglia (con il Chiani), e il Treja, a cavallo tra le province di Roma e Viterbo.
Le lunghezze delle aste dei principali affluenti sono: Chiascio 82 km (altezza di Perugia), Paglia 86 km (presso Orvieto), Nera 116 km (zona di Orte) e Aniene 99 km (zona di Roma). Diversi sono i contributi medi dei principali affluenti al regime del Tevere: Chiascio per 20 m³/s, Paglia con 12 m³/s, Nera per 108 m³/s e Aniene con 35 m³/s; contributi che danno luogo ad un regime fluviale ben distinto: torrentizio dalle sorgenti alla Nera, fluviale, dalla Nera alla foce del Tevere.


La foce


Statua del Tevere - Museo del Louvre - inizio del II secolo d.C.

Aspetti geologici, morfologici ed idrogeologici

L’assetto geologico

L’assetto geologico del bacino è il risultato dell’evoluzione della catena Appenninica, la cui costruzione, iniziata nel Miocene, si è prolungata fino a tempi molto recenti.
Si tratta dell’evoluzione di un sistema orogenico catena-avanfossa-avampaese durante la quale gli sforzi compressivi sono migrati dai settori occidentali peritirrenici verso quelli orientali dell’area adriatica; le fasi compressive sono state accompagnate e poi seguite, a partire dal Miocene superiore, da una tettonica distensiva, anch’essa in migrazione da ovest verso est e non ancora ultimata. La migrazione ha portato allo sviluppo di sistemi di faglie normali neogenico-quaternarie che hanno dislocato le strutture della catena e generato depressioni tettoniche, anche intramontane, in cui si sono deposte successioni sedimentarie da marine a continentali.
Alla tettonica distensiva plio-pleistocenica, prevalentemente sul versante tirrenico della catena, è legata la formazione delle estese depressioni interne alla dorsale appenninica, e l’impostazione di una serie di apparati vulcanici sul versante Tirrenico. Il vulcanismo si è sviluppato in direzione NW-SE con età decrescente da Nord verso Sud. Lo svuotamento delle camere magmatiche, associato alla tettonica distensiva peritirrenica, ha prodotto il collasso delle sommità degli apparati e la formazione di vaste depressioni, spesso colmate da laghi (Bolsena, Vico, Latera, Bracciano, Albano, Nemi).
Il fiume Tevere ha un tracciato che nell’insieme si configura come un reticolo rettangolare: mantiene una prevalente direzione di scorrimento parallela alla dorsale appenninica, tagliandola bruscamente con “gomiti”.

Caratteri idrogeologici

L’assetto idrogeologico del bacino è strettamente legato agli elementi geologici e tettonici che caratterizzano l’area.
Gli acquiferi più rilevanti, sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista quantitativo sono contenuti nelle dorsali carbonatiche che occupano tutta la porzione orientale del bacino. Le litologie affioranti si possono raggruppare in tre macrogruppi appartenenti alle serie statigrafiche di piattaforma, transizione e bacino.
I limiti principali delle idrostrutture carbonatiche sono costituiti da elementi tettonici, con andamento principalmente appenninico (NW-SE) e antiappenninico (NE-SW). Anche le direttrici di flusso e i punti di emergenza sono influenzati da elementi tettonici, tra cui svolgono un ruolo fondamentale i due importanti motivi tettonici compressivi noti come “linea della Valnerina” e “linea Olevano-Antrodoco-Monti Sibillini”. Quest’ultima, che condiziona l’assetto strutturale dell’intera Italia centrale, porta i depositi di ambiente pelagico e i depositi di transizione, interessati da movimenti traslativi con marcata vergenza orientale, ad accavallarsi sui depositi di piattaforma e costituisce un netto limite di permeabilità.
Oltre agli acquiferi carbonatici, cui si aggiungono gli acquiferi delle conche intramontane, meritano attenzione gli acquiferi alluvionali, che nel bacino del fiume Tevere occupano porzioni relativamente estese di territorio, mentre gli estesi affioramenti di rocce di origine vulcanica sono sede di acquiferi significativamente produttivi intensamente sfruttati.

Caratteri morfologici

I principali caratteri fisici del bacino sono individuabili in:
• la dorsale appenninica dal monte Fumaiolo (a nord) al monte Cotento (a sud), dislocata lungo la direttrice NNW-SSE;
• la dorsale tirrenica dal monte Amiata (a nord) ai Colli Albani (a sud), dislocata lungo la direttrice NNW-SSE;
• la struttura idrografica “ad albero” del reticolo idrografico del fiume Tevere intercluso tra le due dorsali.

La pluviometria (ed il regime delle precipitazioni in generale), la GEOLOGIA (e la fitogeologia in particolare), l’uso del suolo e l’estensione dei vari sottobacini convergono nel disegnare la seguente suddivisione in sub-unità fisiche:
• la parte settentrionale dell’Appennino, che racchiude il bacino del fiume Tevere chiuso a monte della confluenza con il fiume Nera, è caratterizzata da un’idrologia e da un’idraulica “povere” rispetto alla parte bassa del bacino. Nei lineamenti del “paesaggio” abbondano le opere (invasi artificiali e laghetti collinari) che l’uomo ha realizzato ed ha in corso di realizzazione per immagazzinare le acque di ruscellamento superficiale, considerata la modesta produttività delle sorgenti della parte settentrionale dell’Appennino e quella pressoché nulla delle emergenze nei settori collinari degradanti verso sud dall’Appennino stesso;
• la parte centrale dell’Appennino che alimenta il basso corso del Tevere con gli affluenti in sinistra idrografica dal fiume Nera al fiume Aniene, è caratterizzata dalla grande risorsa delle acque sotterranee (con un regime di portate sorgentizie molto poco variabile nel corso dell’anno). I lineamenti del “paesaggio” sono segnati dalle opere di regolazione idraulica per la produzione idroelettrica, realizzate a partire dai primi anni del secolo scorso;
• i vulcani della dorsale tirrenica, che con i loro acquiferi alimentano la struttura idrografica tiberina e sorreggono i laghi del bacino. Il “paesaggio” è segnato da piccoli centri urbani immersi in un tessuto composito, fatto di residenza rurale e di attività agricole e silvopastorali di piccole e medie dimensioni, la cui unica fonte di alimentazione idrica sono le acque sotterranee, siano esse captate attraverso le emergenze sorgentizie sia con i pozzi.

In aggiunta alle principali aree morfologiche, va menzionato anche il delta del fiume, che si è sviluppato negli ultimi 20.000 anni. La sedimentazione del delta è molto eterogenea e dipende principalmente dalla fluttuazione del livello del mare causata dall’ultima era glaciale. La più rapida espansione del delta è avvenuta negli ultimi cinque secoli, probabilmente in relazione con la piccola era glaciale (1550-1850).

Il paesaggio del bacino del Tevere

Dalle sorgenti del Tevere, muovendo lungo sentieri di montagna e vecchie strade altotiberine tra Emilia, Toscana e Umbria, tutto denota un territorio aspro e allo stesso tempo dolce, vittima di incantati misteri e storie di antiche divinità, pieno di profondi segni religiosi e ricco di eremi e di credenze ancestrali, gonfio come le sue acque di mille storie e altrettanti personaggi leggendari che da secoli popolano il territorio, caratterizzato da ampie valli e rifugi, recante i tanti segni di fratture, i cui confini restano indefiniti perché terra ricca di tanti significati tutti da scoprire.
E il Fiume, così avaro di tratti pianeggianti nelle sue strette valli, e così ricco di montagne che accompagnano il corso d’acqua dalle sorgenti alla foce, in un’esuberanza di foreste e di sorgenti. Orazio, riferendosi nei Carmina, al Monte Soratte così le descrive: “Tu vedi come il Soratte si innalzi candido per l'alta neve e come ormai i boschi affaticati non sopportino il peso della neve ed i fiumi si siano congelati per il gelo pungente”.
Questa è invece la descrizione di Plinio il Giovane, ben venti secoli fa, della Valtiberina e dei suoi monti a Domizio Apollinare."Il panorama che vi si gode è incantevole: immaginati un anfiteatro smisurato e tale che la sola natura lo possa formare. Un'ampia ed estesa pianura è cinta da monti, i quali recano nella loro parte superiore alte ed antiche foreste (...)".
In tempi più recenti il Carducci, professore a Spoleto, decantava le sorgenti del Clitunno con i versi: “Ancor dal monte, che di foschi ondeggia, frassini al vento mormoranti e lunge per l’aure odora fresco di silvestri salvie e di timi, scendon nel vespero umido, o Clitumno, a te le greggi: a te l’umbro fanciullo la riluttante pecora ne l’onda immerge,..”.
Il paesaggio è, tra le tante possibili, la rappresentazione più sintetica ed organica degli effetti delle dinamiche fisiche e territoriali intervenute nei secoli a causa di fattori naturali e, sempre più evidenti negli ultimi periodi, di origine antropica.
La velocità con cui evolve il “paesaggio” appartiene sostanzialmente allo stesso ordine di grandezza dei tempi dell’utilizzazione delle risorse idriche del Fiume e, in tempi recentissimi, in linea con gli orizzonti temporali della pianificazione di bacino: i cambiamenti percepibili del paesaggio si sono trasferiti da una generazione all’altra, così come, per quelle che oggi possiamo definire generazioni future, vanno riversate le scelte operate nel tempo, ma sempre nel solco di una tradizione tecnica ed amministrativa che ha fondato le proprie scelte sui caratteri del paesaggio tiberino.
Così, ad esempio, anche nel campo della difesa del suolo il carattere fondante è rappresentato dalla conservazione delle grandi alluvioni a nord di Roma. che costituisce il più efficiente baluardo alle piene di Roma e che disegnano un tratto caratteristico del paesaggio tiberino.
Ma il paesaggio traguarda le proprie connotazioni nel campo dell’utilizzazione della risorsa idrica, per la quale il carattere fondante è rappresentato dallo “sfruttamento” sostenibile dei due regimi idrologici che caratterizzano il Tevere. La tradizione ha coniugato tali regimi con le attese di sviluppo dell’area realizzando, nei tempi più recenti, i grandi schemi idrici del bacino del Tevere, di seguito descritti: lo schema irriguo a nord, lo schema idroelettrico al centro e lo schema civile a sud.
La felice congiuntura tra funzione (idraulica) di difesa esercitata dalle piane alluvionali e funzione (idrica) di utilizzazione della risorsa svolta delle traverse ha generato un “paesaggio” che, se pure non proprio “naturale”, è da mantenere e sviluppare per i suoi caratteri di sostenibilità.
Il “paesaggio” delle piccole e grandi alluvioni, antiche e recenti, è, quindi, protagonista nell’assetto idrogeomorfologico del bacino (in particolare in quello idraulico), così come il “paesaggio” dei torrenti in quota e delle sponde ai piedi delle pendici costituisce la prima trincea di contrasto dei dissesti geomorfologici di versante.

Le risorse idriche del bacino

Le risorse idriche superficiali ed il reticolo idrografico perenne

La rete idrografica nel bacino del Tevere è fortemente condizionata dalle condizioni climatiche e dall’evoluzione geologica recente. Le condizioni geologiche influenzano il rapporto tra l’infiltrazione delle acque nel sottosuolo e lo scorrimento superficiale.
Nel settore orientale del bacino, la dorsale appenninica si eleva con una quota media di 1000 m.; il reticolo di drenaggio è molto esteso e segue i sistemi di fratture delle rocce che sono state interessate prima da una tettonica compressiva e, successivamente, da una tettonica distensiva con
formazione di horst e graben.
La parte superiore del corso principale del fiume è a carattere torrentizio e soltanto negli ultimi 100 Km, dopo l’innesto del tributario fiume Nera, si stabilizza e assume un carattere lentico e meandriforme.
La portata media del Tevere alla chiusura del bacino è pari a 225 m³/s, con valori intorno a 360 m³/s in febbraio, 217 m³/s in maggio, 125 m³/s in agosto e 250 m³/s in novembre. Le portate massime superano i 1500 m³/s e le minime scendono a 60 m³/s. Eccezionalmente la portata del Tevere alla foce ha raggiunto valori minimi intorno ai 30 m³/s e valori massimi superiori a 3.500 m³/s.
I valori medi di magra invece si aggirano sugli 80 m³/s, mentre fino ai primi del ‘900 si attestavano intorno a 130 m³/s.
Il bacino presenta un esteso reticolo idrografico alimentato costantemente dalle acque sotterranee (reticolo perenne) ed un reticolo, che si attiva solo nei periodi piovosi, alimentato dalle acque di ruscellamento.
Le acque sotterranee, provenienti dalle idrostrutture carbonatiche, dagli apparati vulcanici e dalle coltri alluvionali fluviali e fluvio-lacustri, alimentano il flusso di base rappresentato dalla portata in alveo nei periodi con assenza di precipitazioni (e quindi di ruscellamento superficiale).
Dove mancano consistenti serbatoi di acque sotterranee, il regime dei corsi d’acqua assume carattere stagionale, con fasi estive di magra estrema o anche di totale esaurimento.
È questo il caso degli affluenti del Tevere posti a monte della diga di Corbara (con l’eccezione del Topino, alimentato da acque sorgive) e degli affluenti del Nestore e del Chiani- Paglia.
Il settore settentrionale, qui denominato Alto Tevere, è prevalentemente costituito da depositi argilloso-arenacei ed è povero di risorse idriche sotterranee. I corsi d’acqua sono caratterizzati da valori molto elevati di ruscellamento di superficie nelle stagioni più umide e da marcate magre estive. In questo settore i rapporti tra acque superficiali e sotterranee assumono caratteri differenti nelle diverse stagioni. Nei periodi più umidi il ruscellamento di superficie alimenta gli acquiferi alluvionali, mentre nei periodi aridi il deflusso superficiale risulta sostenuto dalle risorse immagazzinate nei depositi fluvio-lacustri o in acquiferi di modesta entità.
Il settore sud-orientale della dorsale appenninica, dove dominano i rilievi carbonatici, si può considerare un enorme serbatoio di acque sotterranee che alimentano un esteso reticolo idrografico perenne, con portate di magra estiva variabili da qualche centinaio di litri al secondo a qualche decina di metri cubi al secondo. In quest’area, durante l’anno le acque sotterranee alimentano costantemente il reticolo idrografico tramite sorgenti sia puntuali sia lineari.

Il settore sud-occidentale, costituito dagli apparati vulcanici, è caratterizzato dalla presenza di un minuto reticolo di modesti corsi d’acqua perenni, che hanno portate di magra generalmente inferiori al metro cubo al secondo; anche in questo settore, il reticolo idrografico perenne viene costantemente alimentato da apporti di acque sotterranee.
Negli estesi depositi alluvionali, che bordano il corso del Tevere a valle del Nera, è ospitato un importante acquifero, prevalentemente alimentato dal deflusso superficiale. Le acque immagazzinate nei depositi alluvionali hanno continui scambi con le acque di superficie, regolati dalle diverse condizioni di POTENZIALE, che mutano nel corso delle stagioni.

Le risorse idriche sotterranee

Queste sono suddivise, in relazione alla natura delle rocce che le costituiscono, in tre principali categorie: strutture carbonatiche, strutture vulcaniche, acquiferi alluvionali (compreso l’acquifero costiero).

Idrostrutture carbonatiche

Si identificano nel bacino 14 “idrostrutture” prevalentemente costituite da rocce carbonatiche, dove sono concentrate le principali risorse idriche sotterranee che alimentano gran parte delle sorgenti e del reticolo idrografico perenne del bacino del Tevere.
Queste “idrostrutture” sono costituite da rocce che hanno caratteri sufficientemente omogenei, chiuse alla periferia da limiti idraulici generalmente ben definiti. Le rocce che costituiscono le idrostrutture mostrano sempre particolare attitudine ad assorbire, immagazzinare e a rilasciare in superficie le acque meteoriche attraverso le sorgenti.
Tralasciando la descrizione analitica di tali idrostrutture è interessante però conoscere le portate delle sorgenti puntuali e lineari alimentate dalle medesime, riassunte della sottostante tabella.

Acquiferi degli apparati vulcanici

Gli apparati vulcanici Vulsini, Cimini e Sabatini costituiscono gran parte del versante destro del bacino del Paglia e del versante destro del bacino del Tevere, a valle della confluenza con il Paglia. L’apparato vulcanico dell’Amiata è posto all’estremo margine nord-occidentale del bacino del Paglia. L’apparato vulcanico Albano costituisce il versante sinistro della valle del Tevere dopo la confluenza con il fiume Aniene.
Tutti questi apparati vulcanici sono sede di acquiferi che alimentano un’estesa rete di sorgenti prevalentemente lineari.
Gli apparati vulcanici sono costituiti da prodotti piroclastici alternati a colate laviche irregolarmente distribuite. Queste rocce poggiano su un substrato argilloso-sabbioso pliopleistocenico e, localmente, sui depositi alluvionali del Paleotevere, che hanno la funzione di dreno nei confronti delle piroclastiti soprastanti.
Questi acquiferi, costituiti da rocce silicee, hanno la caratteristica di erogare acque con salinità molto bassa, anche se in alcuni settori la miscelazione con fluidi di origine geotermica conferisce alle acque caratteristiche aggressive con forti incrementi della salinità.
Nella seguente tabella sono riportate le portate delle sorgenti puntuali e lineari alimentate dagli acquiferi degli apparati vulcanici.


Le idrostrutture degli apparati vulcanici versano nel bacino del Tevere una portata naturale media, complessiva, di circa 15 m3/s; la qualità dell’acqua è particolarmente pregiata per la bassa mineralizzazione.

Acquiferi significativi nei depositi alluvionali fluvio-lacustri e costieri

I depositi alluvionali fluvio-lacustri del bacino del Tevere si possono dividere in tre grandi gruppi che si differenziano per caratteristiche e per origine.
Il primo gruppo comprende depositi alluvionali fluviali, che bordano il corso del Tevere dalle sorgenti alla foce e gli analoghi depositi del fiume Paglia.
Il secondo gruppo comprende i potenti depositi fluvio-lacustri pleistocenici delle conche intermontane di Gubbio, della Valle Umbra, della conca Ternana, della Piana di Leonessa e della conca Reatina che sono stati interessati da importanti opere di “bonifica”.
Il terzo gruppo comprende gli acquiferi costieri prossimi alla foce del fiume Tevere.
Gli acquiferi alluvionali e fluvio-lacustri svolgono un’importante funzione di serbatoio di acque sotterranee. Questi serbatoi hanno attivi scambi idrici con le acque di superficie, contribuiscono alla regimazione dei deflussi superficiali e consentono consistenti prelievi di acque sotterranee naturalmente filtrate, a spese del locale deflusso superficiale.

Il regime idrologico

Il regime delle precipitazioni nel bacino del Tevere, basato sulla DISTRIBUZIONE mensile, può essere classificato come regime subcostiero, caratterizzato da due valori minimi di precipitazione in estate ed in inverno (con il minimo estivo più basso di quello invernale) e da due valori massimi di precipitazione in autunno ed in primavera (con il valore autunnale più alto di quello estivo).
Pertanto, il regime delle precipitazioni è più simile a quello costiero, caratterizzato da valori estivi minimi e valori massimi invernali.
La precipitazione media annua è pari a circa 1.200 mm e varia tra i 700 mm a livello del mare ed i 2.000 mm nell’Appennino. La figura seguente illustra la DISTRIBUZIONE delle precipitazioni nel bacino.


  

Le piene del Tevere

Nel periodo che va dall’anno 1000 al 1870 si sono avute 24 piene eccezionali del Tevere (vale a dire con altezza superiore a 16 m. all’idrometro di Ripetta), ben “documentate” dalle lapidi in pietra ubicate sui palazzi del centro storico o agli idrometri che si sono succeduti nel tempo a Ripetta o ancora dalle descrizioni degli effetti disastrosi redatte dai contemporanei. Si è visto che in alcuni periodi storici (il 1400 e il 1500 in particolare) molte inondazioni sono state rese più gravi dall’incuria e dal restringimento dell’alveo fluviale; pertanto, ad equivalenti eventi piovosi sono corrisposti nel tempo effetti differenti. La variazione nel tempo del trasporto solido e l’avanzamento della linea di costa, in prossimità della foce, aiutano a comprendere i periodi in cui effettivamente le inondazioni a Roma erano dovute ad eventi con portata veramente eccezionale.
Nel periodo di tempo di 250 anni dal 1450 al 1700, ad esempio, la linea di costa in prossimità della foce del Tevere ha avuto un avanzamento medio di circa 10 m./anno ed in tale periodo si sono avute ben 13 piene eccezionali, di cui c’è giunta notizia certa nell’intero periodo di 870 anni dal 1000 al 1870. In particolare dal 1530 al 1606 si sono avute ben 5 piene eccezionali, di cui 4 con altezza superiore a 18 m. e, tra queste, la piena del 24 dicembre 1598 che, con i suoi 19,56 m., costituisce il massimo storico, a cui è possibile associare una portata al colmo di circa 4.000 m³/s.
Per le 55 piene con portata maggiore o uguale a 1400 m³/s, esaminate del periodo 1921 – 2000, è stata eseguita un’analisi a cluster della DISTRIBUZIONE delle piogge dei 6 giorni precedenti la piena.
È risultato che piogge crescenti da monte verso valle sono le più frequenti in 29 casi, seguite dalle piogge in sostanza uniformi su tutto il bacino con 18 casi ed, infine, dalle piogge decrescenti da monte verso valle in 8 casi.
Le piene maggiori sono state generate da piogge del secondo “tipo” (2 dicembre 1900, 15 febbraio 1915 e 17 febbraio 1976) o del terzo “tipo” (17 dicembre 1937 e 3 settembre 1965).
Nel periodo 1921 – 2000 il maggior mutamento all’interno del bacino idrografico, per quanto concerne gli effetti sulle piene, è rappresentato senza dubbio dalla costruzione della diga con serbatoio di Corbara, avvenuta tra il 1959 e il 1963, che con i suoi 190 milioni di m³ ha la capacità di laminare le piene del Tevere riducendo l’entità dei colmi a Roma. La FREQUENZA delle piene con portata al colmo maggiore o uguale a 1400 m³/s si è, infatti, ridotta di circa un terzo nel periodo 1963 – 2000 (con Corbara in funzione) rispetto al precedente periodo (1921 – 1962). A questa diminuzione ha in parte anche concorso una diminuzione degli afflussi, valutabile tra il 10 e il 15% nel corso degli ultimi 100 anni.
Da quanto sopra esposto, l’ultima piena importante a Roma risale al dicembre 1937 con un’altezza idrometrica a Ripetta di 16,84 m., cui corrisponde una portata al colmo di circa 2.750 m³/s; in concomitanza di tale evento, in ogni modo, si sono avuti soltanto limitati allagamenti in alcuni punti della città (come a monte di Ponte Milvio, all’isola Tiberina e nel Lungotevere Ripa all’altezza del San Michele). Da allora le “difese” di Roma dalle piene del suo fiume sono migliorate soprattutto, come visto, per la costruzione del drizzagno di Spinaceto nel 1940 e del serbatoio di Corbara, ultimato nel 1963 ed, infine, grazie al migliore utilizzo delle golene lungo il corso del fiume nella zona a nord della città.
Gli interventi di sistemazione idraulica descritti, i sempre maggiori utilizzi delle risorse idriche superficiali e sotterranee ed il trend negativo dell’afflusso medio di precipitazioni verificatosi negli ultimi anni hanno determinato una migliore condizione del deflusso delle piene ordinarie.
Peraltro è da evidenziare la sempre più estesa urbanizzazione del bacino, intervenuta nel corso degli anni, con superfici rese maggiormente impermeabili, nel mentre un più elevato abbandono del territorio di montagna ha comportato, e continua a comportare, il degrado dei versanti e della rete idraulica, cui si aggiunge una sempre minore manutenzione di quel sistema di opere idrauliche e di bonifica realizzate nel corso dei secoli. Infine è da rimarcare una sempre maggiore presenza di strutture, abusive e non, realizzate in aree destinate alla libera esondazione del corso d’acqua, con conseguenze negative, in condizioni di piena, potendo formare, se trasportate in alveo, la costituzione di sbarramenti temporanei e la successiva formazione di onde di piena artificiali ed eccezionali. Per quanto detto, la città di Roma deve essere considerata tuttora vulnerabile anche per piene di entità pari a quelle avvenute nel passato recente (anni 1870, 1900, 1915 e 1937), che hanno avuto portate al colmo comprese tra 2.750 e 3.300 m³/s.

Popolazione

La popolazione assomma a 4.344.000 di abitanti (secondo il censimento del 2001), dei quali il 70% vive nell’area urbana di Roma, circa il 10% in cinque delle principali città (Rieti, Perugia, Terni, Tivoli, Spoleto), e il resto negli altri comuni più piccoli.
La DISTRIBUZIONE della popolazione tra le aree urbane, tra i centri con popolazione superiore a 20.000 abitanti e le aree rurali è pari al 29% nell’Alto Tevere e al 19% nel Basso Tevere.


La recente piena del Tevere a dicembre 2008

Flussi migratori

I flussi migratori, interni ed esterni, non sono indicativi e sono principalmente collegati al turismo, in ingresso ed in uscita. Negli ultimi anni è divenuta prevalente una doppia tendenza:
• la ripartizione del periodo di vacanza in più periodi di pochi giorni;
• la preferenza verso destinazioni e prodotti turistici diversi (storici, culturali ed ambientali), non necessariamente di elevato costo, ma sviluppati con continuità nel corso dell’anno e compensati da flussi in ingresso ed in uscita.
Con riguardo al turismo costiero, i flussi turistici non sono sostanzialmente cambiati nel numero e nelle pressioni, fatta eccezione per brevi periodi e in un numero limitato di centri.


DISTRIBUZIONE della popolazione all'interno del bacino

L’agricoltura

Il bacino del fiume Tevere è principalmente caratterizzato da aziende agricole piccole e molto piccole. Il 52% ha una dimensione fra 1 e 10 ettari. Le grandi aziende sono poche e riguardano quasi la metà della superficie totale (42%).
Per quanto concerne gli usi dell’acqua, il 20% di tutte le aziende pratica l’irrigazione e la superficie irrigata è circa pari al 10% della superficie totale agricola. La superficie, che, attrezzata con impianti irrigui, può essere irrigata, assomma al 15% della superficie totale agricola.
Sempre riguardo gli usi dell’acqua, il 90% delle aziende si rifornisce di acqua in maniera autonoma. Il sistema più diffuso di irrigazione è quello a pioggia ed a goccia.

Negli ultimi 50 anni l’agricoltura si è considerevolmente sviluppata in ragione di nuovi macchinari agricoli e per l’uso dei fertilizzanti e dei pesticidi. Iniziando dagli anni ’80, l’informazione tecnologica e le nuove tecniche di perforazione per l’estrazione dell’acqua hanno fortemente contribuito allo sviluppo del settore. Pertanto, in quasi tutto il bacino, l’espansione della superficie irrigata è avvenuta principalmente nel periodo tra il 1982 e il 1991, divenendo stabile nella decade seguente.
Negli ultimi 50 anni, si è riscontrato un notevole incremento di allevamenti di suini e di equini. Per quanto concerne la coltivazione, quella del grano, del granturco e della patata è diminuita. Al contrario, sono aumentate fino a tre volte le coltivazioni del pomodoro e del tabacco.

L’industria

Il bacino non è molto industrializzato e le attività industriali sono distribuite e, sostanzialmente, riguardano l’artigianato. La dimensione media aziendale è alquanto modesta e le aree industriali, in numero limitato, sono situate a Roma, Perugia, Terni, Narni, e Rieti.
Le principali attività industriali sono quelle meccaniche, alimentari, del tabacco e sono situate nella zona della Capitale. Lo sviluppo dell’industria farmaceutica, chimica, grafica e cinematografica è alquanto recente. Sussistono anche settori tradizionali, come le cartiere e le tipografie.
Nelle aree di Perugia e Terni, le acciaierie iniziarono a svilupparsi alla fine del secolo XIX.
Attualmente alcune non sono più produttive, mentre la produzione idroelettrica è principalmente concentrata nel bacino del Fiume Nera ed anche nel bacino del corso d’acqua principale.
La maggiore richiesta di acqua proviene dalle industrie di carta, del tabacco, dei prodotti alimentari. Seguono poi le industrie metallurgiche e le acciaierie di Terni, che come detto, rappresentano un insediamento storico nel bacino del Tevere. Gli addetti all’industria della provincia di Terni sono circa il 25% degli occupati industriali nella regione umbra, ma la sola Terni richiede il 58% della domanda totale di acqua regionale.
Nel bacino del fiume Aniene, da Tivoli alla confluenza con il Tevere, la domanda d’acqua per l’industria è principalmente concentrata nella città di Roma. Molte attività sono collegate al settore tradizionale della carta, anche se negli ultimi 15 anni il bacino del Tevere è stato caratterizzato da una significativa espansione del settore terziario, ma anche da un forte processo di deindustrializzazione, che ha particolarmente interessato gli addetti industriali nel bacino del Nera (-27%), del Nestore e Trasimeno (-16%), del Corno e Nera a monte del fiume Velino (-14%9, del Chiascio, Chiani e Paglia (-10%).


DISTRIBUZIONE della domanda d'acqua per uso irrigazione

Lo sviluppo economico

Il Prodotto Interno Lordo, con riferimento alla popolazione residente, è superiore alla media nazionale, in dipendenza della presenza della Capitale che, con i settori terziario e terziario avanzato, produce un elevato PIL pro capite.
Anche la spesa pubblica (2000-2006) è superiore alla media nazionale, sempre in ragione del contributo di Roma e delle numerose amministrazioni pubbliche. Nello stesso periodo è da segnalare una forte spesa pubblica anche perla ricostruzione post terremoto del 1998 in Umbria.
In un quadro macroeconomico, occorre tenere in conto alcune variabili quali: la crisi economica e il CAMBIAMENTO CLIMATICO. Queste variabili possono incidere negativamente nello SVILUPPO SOSTENIBILE, così come le misure del prossimo federalismo fiscale, che, dipendendo dal bilancio delle amministrazioni regionali e locali, potrebbero incidere significativamente sulla spesa.
Altri effetti, difficilmente oggi quantificabili, possono provenire nei prossimi anni dalla ristrutturazione dell’intero ciclo delle acque e rifiuti, così come dalla riprogrammazione finanziaria nazionale e regionale in conseguenza del terremoto dell’aprile 2009 in Abruzzo.
Certamente nel medio e lungo periodo è destinato a sovvertirsi il quadro degli investimenti nel settore delle risorse idriche, in termini sia di strategie prioritarie sia di DISTRIBUZIONE territoriale.

Le attività dell’Autorità di bacino

Seguendo e potenziando sentieri già tracciati, l’Autorità ha strutturato la propria azione attraverso il Progetto di Piano di Bacino, adottato dal Comitato Istituzionale nel settembre 1999, che delega ai piani stralcio sia la definizione di aspetti tematici particolari che investono l’intero bacino, sia la risoluzione di una o più criticità emergenti in un’area limitata composta da alcuni sottobacini.
Più in particolare:
• appartengono alla prima categoria il piano per l’assetto idrogeologico (PAI), il piano per l’utilizzazione della risorsa (PS9) e il piano per gli aspetti ambientali (PS10);
• appartengono alla seconda categoria il piano per le aree di esondazione tra Orte e Castel Giubileo (PS1), il piano per il Lago Trasimeno (PS2), il piano per il Lago di Piediluco
(PS3), il piano per l’Alto Tevere (PS4) e il piano per la fascia costiera (PS7);
• di taglio concettuale diverso il piano per l’area metropolitana (PS5) che integra una strategia
tematica globale in un’area limitata del bacino.
Se le attività di organizzazione, programmazione e studio trovano un’origine (Legge 183/1989) ed un denominatore (Piano) comuni con le altre Autorità di livello nazionale, interregionale e regionale, tuttavia le specificità fisiche del bacino del Fiume e l’ambiente culturale, nel quale l’Autorità del Tevere si è mossa, non possono spiegare da sole le ragioni del percorso intrapreso. Occorre, dunque, riferirsi al contesto socio-economico e istituzionale che ha ispirato (e all’interno del quale sono maturate) le scelte per trovare una risposta ai differenti approcci o alle differenti tempistiche con le quali le criticità sono state affrontate.
E se la storia dell’Autorità di bacino è ancora troppo breve perché permetta l’evidenza di una “impronta” forte e marcata sui caratteri del paesaggio, rimane allora un’unica fondamentale certezza che, per il bacino del fiume Tevere, è rappresentata dall’aver continuato ad operare nel solco di una tradizione che parte dagli inizi del Novecento e che, nel corso dei successivi decenni, ha lasciato una “impronta” forte e marcata, diventando essa stessa non solo una delle componenti fondanti del “paesaggio tiberino”, ma anche sostegno del futuro sviluppo dell’area.

Il piano di gestione delle risorse idriche dell’Appennino Centrale

Il così detto Testo Unico Ambientale (d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152) nel recepire, tra l’altro, la Direttiva 2000/60/CE nell’ordinamento nazionale ha individuato, all’art. 64, gli otto distretti idrografici in cui è stato suddiviso l’intero territorio nazionale. Il distretto idrografico dell’Appennino Centrale – esteso per circa 35.800 KMQ – è costituito di seguenti bacini idrografci, come individuati dalla legge 18 maggio 1989, n. 183:
1) Tevere, già bacino nazionale;
2) Tronto, già bacino interregionale;
3) Sangro, già bacino interregionale;
4) bacini dell'Abruzzo, già bacini regionali;
5) bacini del Lazio, già bacini regionali;
6) Potenza, Chienti, Tenna, Ete, Aso, Menocchia, Tesino e bacini minori delle Marche, già bacini
regionali.
Il Piano di gestione del distretto idrografico dell’Appennino Centrale, le cui attività di coordinamento sono state espletate dall’Autorità di bacino del fiume Tevere, ai sensi del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 208 convertito con modificazioni nella legge 27 febbraio 2009 n. 13, recante “Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente”, si riferisce specificamente al settore delle acque relative all’intero distretto idrografico e si configura come un piano di natura territoriale ed economica. Si prefigge, pertanto, di armonizzare a scala di distretto i Piani di Tutela delle Regioni interessate per ricondurre ad unitarietà gli obiettivi regionali e, inoltre, proiettare coerentemente gli indirizzi strategici e la relativa programmazione, componente territoriale del Quadro Strategico Nazionale (QSN).
Ha funzione di raccordo e coordinamento dei Piani di Tutela delle Acque delle Regioni, dei contenuti del Piano d’ambito del Servizio idrico integrato, dei Piani comprensoriali di bonifica ed irrigazione, dei Piani per gli usi produttivi (elettrici ed industriali).
L’adozione del piano di gestione distrettuale è avvenuta nel febbraio del 2010 con deliberazione del Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino di rilievo nazionale, integrato dalle rappresentanze delle Regioni ricadenti nel distretto idrografico non attualmente comprese, organo differente dalla Conferenza Istituzionale Permanente prevista all’art. 63 del D.Lgs. n. 152/2006.
La redazione del Piano di Gestione è da intendersi quale prima esperienza di carattere pianificatorio a livello di distretto idrografico, essendone peraltro previsti il riesame e l’aggiornamento, ai sensi dell’art. 5 della Dir. 2000/60, entro il 2013, degli adempimenti riguardanti l’analisi delle caratteristiche del distretto, quali l’esame dell’impatto delle attività umane, lo stato delle acque e l’analisi economica.
Il piano di gestione distrettuale è definito dalla DIRETTIVA COMUNITARIA, in una visione omnicomprensiva, come lo strumento generale delle misure necessarie per una corretta gestione delle acque nel distretto idrografico, da elaborare attraverso la partecipazione del pubblico e di tutti i soggetti istituzionali competenti nello specifico settore.
Dalla normativa vigente emerge che il contenuto del piano di gestione distrettuale si esplica sinteticamente come segue:
§ fase conoscitiva: caratteristiche del distretto idrografico con particolare riferimento allo stato delle acque, agli obiettivi ambientali per le acque ricomprese nel distretto ed alle attività antropiche che insistono sul territorio e che comportano uno sfruttamento delle stesse;
§ analisi economica dell’uso dell’acqua;
§ fase operativa: individuazione delle scelte e delle misure operative determinate come necessarie per la gestione del distretto idrografico.
L’introduzione dell’analisi economica rappresenta la necessità di voler conseguire uno SVILUPPO SOSTENIBILE attraverso una gestione efficiente, efficace ed economica delle risorse idriche, ponendo così il piano di gestione come un piano di natura territoriale ed economica.
Il modello così delineato si prefigge il raccordo delle misure di tutela proposte tra i diversi livelli di governo delle acque tenendo conto delle specificità proprie delle diverse realtà regionali presenti nel distretto idrografico.


DISTRIBUZIONE superficie-abitanti nei Sub-Distretti

Le pressioni sui corpi idrici

Per la predisposizione del Piano di Gestione delle Risorse idriche dell’Appennino Centrale,ai sensi della Direttiva 2000/60/CE, l’acquisizione dei dati disponibili, provenienti dalle diverse Regioni, ha permesso di evidenziare un’eterogeneità, a livello distrettuale, dei dati a disposizione riguardo alle principali fonti di INQUINAMENTO e ai differenti parametri in gioco. Di conseguenza, laddove non disponibili, sono stati utilizzati metodi indiretti per la valutazione dei carichi inquinanti di origine civile, industriale, zootecnica e agricola facendo sempre ricorso a fonti condivise anche dalla Regione interessata.
Laddove il dato iniziale non è differenziato sulla base della fonte di INQUINAMENTO (puntuale o diffuso), ma solo sulla provenienza del tipo di carico (civile, industriale, agricolo e zootecnico), si sono considerati i primi due ascrivibili alla fonte puntuale e gli ultimi due alla fonte diffusa.
Non va sottaciuto che, poiché tutti i dati provengono da stime, l’affidabilità delle valutazioni numeriche deve ritenersi proporzionale all’obiettivo di individuare un livello di significatività delle pressioni e degli impatti.
Per la valutazione della significatività delle pressioni i carichi effettivi disponibili, o ricavati come indicato, sono stati considerati variabili casuali. Questa assunzione appare la più coerente in quanto i processi antropici o in ogni modo generatori di pressioni all’interno dei territori regionali travalicano i confini idrografici e pertanto risultano indipendenti da questi ultimi.
L’unità minima di riferimento è il bacino idrografico derivante dai PTA. Le pressioni esaminate, come oggetti della scala di importanza ai sensi del DM 17 luglio 2009, sono: N, P, BOD5 da fonte puntuale e N, P, BOD5 da fonte diffusa. Tutte le altre, ove presenti, sono esaminate e considerate all’interno dei vari Piani di Tutela.
Poiché la dimensione dei bacini ricadenti del Distretto sono notevolmente differenziate, per svincolare l’entità della pressione esaminata dalla dimensione del territorio di riferimento è stata valutata la pressione per unità di superficie.
Per valutare la significatività delle pressioni sul territorio sono state individuate delle soglie di importanza. Sono state scelte tre soglie: (MI) molto importante, (I) importante, (NI) non importante, ed al fine di evidenziare solo i valori che si discostano significativamente dalla media, sia in eccesso sia in difetto, e quindi di assegnarli rispettivamente al gruppo MI e NI, si è operata una normalizzazione tra tutti i dati regionali relativi al singolo parametro in esame.
Sono state, quindi, costruite tavole sinottiche nelle quali sono immediatamente leggibili il gruppo dei bacini, indicati in arancio se da fonte puntuale e in rosso se da fonte diffusa, soggetti a
pressioni significative (ovvero l’insieme dei bacini con pressioni molto importanti e importanti) e quello dei bacini oggetto di pressioni non importanti (in verde da fonte puntuale e in azzurro da fonte diffusa).
Essendo il lavoro svolto a scala dell’intero Distretto, va notato che per i bacini dove non è presente il dato, alcuni bacini minori marchigiani e abruzzesi sulla costa adriatica, sono indicati con una colorazione differente (grigio).
La Regione Lazio ha ritenuto opportuno non valutare il BOD5 da fonte diffusa nel proprio territorio, ritenendo tale parametro non rilevante, pertanto nella tavola delle pressioni significative relativa al BOD5 da fonte diffusa il Lazio è interamente azzurro (ovvero pressione non indicativa).

  
Pressioni significative - Azoto da fonte puntuale          Pressioni significative - Fosforo da fonte puntuale

  
Pressioni significative - BOD5 da fonte puntuale          Pressioni significative - BOD5 da fonte diffusa

  
Pressionisignificative - Azoto da fonte diffusa          Pressioni significative - Fosforo da fonte diffusa
    

La difesa del suolo

Occorre da subito fare chiarezza nell’impiegare i termini appropriati, quali “idraulico”, “idrologico” ed “idrico”, che hanno un significato non intercambiabile: il termine “idraulico” fa riferimento ai livelli con cui si manifesta il deflusso di una portata (e pertanto è usato quando si trattano gli eventi di piena), il termine “idrologico” fa riferimento alla genesi delle portate (e pertanto è utilizzato dove si tratta il comportamento del fiume indipendentemente dai suoi stati critici), mentre il termine “idrico” fa riferimento ai volumi d’acqua (e pertanto è impiegato quando si tratta l’uso dell’acqua).
Così come con il termine “medio corso del Tevere” indichiamo il tratto compreso tra l’invaso di Corbara e la traversa di Castel Giubileo, immediatamente alle porte di Roma, mentre con “alto corso del Tevere” si individua il tratto a nord dell’invaso di Corbara e con “basso corso del Tevere” il tratto a valle di Castel Giubileo fino alla foce. In realtà gli ultimi venti chilometri di percorso risentono oggi dell’influsso del mare, così da costituire una sorta di “acqua di transizione” con caratteristiche fisiche, chimiche, idrodinamiche ed ecologiche diverse.
Venendo alle questioni del Tevere, se le prime azioni tese alla difesa dalle inondazioni risalgono all’epoca romana e allo Stato Pontificio, una vera e propria consapevole strategia globale d’assetto idraulico vede la nascita nel 1942 con l’approvazione del piano per la “Sistemazione Generale del bacino del Tevere” per opera della Commissione Speciale per lo Studio del Piano Regolatore delle Opere di sistemazione del Tevere, istituita dopo l’alluvione del 1937 con decreti interministeriali del 1938 e del 1940 ed alla quale furono chiamati tra gli altri Umberto Puppini, Mario Giandotti, Giulio De Marchi, Marco Visentini e Pietro Frosini, nomi che hanno fatto la storia dell’idrologia e dell’idraulica. Le conclusioni, cui pervenne la Commissione, furono poi fatte proprie, nel 1974, dalla cosiddetta Commissione “De Marchi” istituita dopo l’alluvione di Firenze.
L’elemento fondante comune è costituito dal risalto assegnato alla funzione idraulica delle piane alluvionali del medio corso del Tevere, che, dislocate in serie tra Orte e Castel Giubileo, costituiscono il più efficiente (e naturale) presidio per la difesa dalle inondazioni urbane del fiume.
Queste grandi sacche, che laminano una parte dei volumi delle piene e che sono allo stesso tempo causa ed effetto della “risposta idraulica” del bacino agli eventi meteorici critici, costituiscono, poiché ancora storicamente vocati ad un’agricoltura a conduzione “familiare”, un serbatoio di “naturalità”, che le varie traverse idroelettriche (Ponte Felice, Nazzano e Alviano) tra l’invaso di Corbara e Castel Giubileo hanno convertito in un efficiente sistema di aree umide.
Alcune riflessioni sulla difesa idraulica e sui “passi” conseguenti all’iniziativa dell’uomo aiutano a configurare un lungo percorso che ha consentito di tradurre le scelte in termini oggettivi e con procedure caratterizzate da rigore scientifico oltre che da consistenza amministrativa. È, infatti, verosimile che Ponte Milvio, fino al 1870 posto in piena campagna romana, costituisse una “voluta” strozzatura per le piene del Tevere, almeno di quelle fino ad una certa soglia, imponendo al fiume di esondare prima di attraversare il centro urbano. Così come, fin dal XVI secolo, era chiara la relazione tra le piene del Paglia e quelle a Roma: qui si collocano le origini del Consorzio per la bonifica della Val di Paglia e della Val di Chiana Romana.
In realtà la suddetta Commissione non si occupò soltanto dei problemi delle piene del Tevere, ma affrontò, anticipando i tempi, una strategia globale dell’acqua nel bacino.
Il piano stralcio per le aree soggette ad esondazione nel tratto del Tevere compreso tra Orte e Castel Giubileo, PS1, ha fatto leva su questa felice congiuntura, imponendo sia la salvaguardia del potere di laminazione di tali aree, sia la valorizzazione della loro naturalità. La stessa Regione Lazio, con la L.R. n. 29/97, ha accolto questa ultima indicazione, ponendo l’obiettivo della costituzione di un parco interregionale del Tevere.
Il piano stralcio per l’assetto idrogeologico, PAI, ha generalizzato tale strategia di assetto idraulico al resto del bacino:
• privilegiando le politiche di manutenzione e di prevenzione del rischio rispetto agli interventi di difesa e limitando questi ultimi alle attuali situazioni di rischio. Il PS1, in realtà, è stato redatto ed approvato prima della redazione e dell’adozione del Progetto di Piano di Bacino ed i primi atti di preparazione risalgono al 1990. La circostanza nulla toglie al carattere organico e sistematico del Piano di bacino, ma testimonia il carattere pragmatico dell’azione dell’Autorità nel privilegiare gli obiettivi effettivamente prioritari conservando sempre una visione d’insieme della strategia.
• assegnando ai diversi livelli del reticolo idrografico funzioni di difesa idrogeologica in linea con le loro potenzialità naturali.
Il primo obiettivo è insito nello stesso “paesaggio storico” del fiume: nei secoli, lungo l’asta del Tevere tra le sorgenti e Castel Giubileo, le comunità locali hanno privilegiato l’insediamento di media collina rispetto a quello nelle piane alluvionali, sede di attività agricole a basso “valore aggiunto”, lasciando in eredità un “paesaggio” intrinsecamente sicuro.
Il secondo obiettivo è insito nella struttura idrografica del bacino costituita da:
• un reticolo principale (asta del Tevere e grandi affluenti), sede della capacità di laminazione naturale del bacino, patrimonio indiviso ed indivisibile delle Regioni;
• un reticolo secondario (affluenti di ordine immediatamente inferiore), che con la sua capacità di ritenzione e di laminazione contribuisce a non aggravare le condizioni di deflusso nel reticolo principale;
• un reticolo minore (la rete di ordine minimo e di drenaggio dei versanti), che con il suo fattore transitorio di invaso contribuisce a non aggravare le condizioni di deflusso nel reticolo secondario.
Il realismo di questa strategia sta anche nell’ineluttabilità di una tale scelta. A mano a mano che le dinamiche di sviluppo territoriale interferiscono con il reticolo idrografico, si estende la lunghezza dello stesso che deve essere tenuta sotto controllo per prevenire e contrastare gli effetti dei fenomeni critici: soprattutto è necessaria la manutenzione continua e costante delle opere idrauliche di difesa per assicurarne la massima EFFICIENZA ed il mantenimento dell’officiosità idraulica degli alvei di piena per garantire le condizioni di deflusso ipotizzate negli scenari di pericolo.


Rappresentazione dell'assetto idraulico con le grandi pianure alluvionali.
Le zone campite in azzurrocorrispondono alle maggiori aree di laminazione del bacino.

L’uso della risorsa idrica

Il Tevere è caratterizzato, come sopra ricordato, da una complessa struttura idrologica.
Esistono diversi metodi di classificazione del reticolo, tutti però riconducibili all’ordinamento in funzione della posizione rispetto alle confluenze, dalla sorgente alla foce.
Lo schema irriguo dell’Alto Tevere e quello idroelettrico del Nera-Velino evidenziano gli elementi caratteristici delle utilizzazioni servite e danno un’idea dell’estensione e dell’importanza degli schemi stessi, per non sottacere lo schema “romano”, con un approvvigionamento idrico dall’Appennino, che rende Roma l’unica capitale al mondo alimentata da sorgenti naturali, anche se integrabile da una riserva strategica costituita dal lago di Bracciano, che entra in funzione in condizioni di crisi delle sorgenti principali.
Come non si può avvicinare il Tevere ai grandi corsi d’acqua dell’Europa continentale (anche per l’orografia assolutamente diversa nella quale scorrono), così non si può confondere un grande Fiume con altri corsi d’acqua tipici della regione mediterranea.
I quattrocento chilometri dell’asta principale lasciano sulla sinistra idrografica gli Appennini e sulla destra gli alti collinari del senese e dell’aretino seguiti dai complessi vulcanici vulsino, cimino e sabatino.
L’immagine che se ne trae immediatamente è quella di un versante, in sinistra, che sostiene il deflusso perenne e di un versante, in destra, che caratterizza le piene e gli stati di forte intumescenza e la quota di trasporto solido che ancora arriva al mare.
Il versante in sinistra idrografica ha il suo baricentro nel fiume Nera, il versante in destra idrografica nel fiume Paglia. Alla “tranquillità” del primo fa da contraltare la “irrequietezza” del secondo: come si dice a Roma, “il Paglia la bagna e il Nera la fa bere”.
Su questa idrologia l’uomo, nel corso dell’ultimo secolo, ha realizzato un insieme di schemi idrici la cui importanza (e complessità interna) conferisce una caratterizzazione propria.

Lo schema irriguo

A nord, sull’alto Tevere, dagli anni Sessanta, fu ideata ed avviata la realizzazione dello schema idrico facente capo oggi all’Ente Irriguo Umbro-Toscano, capace di immagazzinare complessivamente circa trecento milioni di metri cubi d’acqua (invasi di Montedoglio, di Casanuova e del Carpina, oltre a traverse ed opere di presa nel bacino del Tevere e il piccolo invaso della Chiassaccia nel bacino dell’Arno).

Lo schema nasce inizialmente per “soccorrere” l’agricoltura di una vasta area che va dalla Chiana toscana (nel bacino dell’Arno) e dall’alta Val Tiberina fino a Todi, estendendosi verso est nella piana del Topino-Marroggia e verso ovest fino ai comprensori irrigui intorno al lago Trasimeno ed ai laghi di Chiusi e Montepulciano. Oltre la funzione di “soccorso” lo schema avrebbe dovuto soddisfare gli usi civili, anche se in misura molto limitata (non superiore a qualche unità percentuale della prevista intera capacità di regolazione). Il “soccorso” all’agricoltura si sarebbe poi trasformato in un vero e proprio soddisfacimento dei fabbisogni irrigui nel momento in cui la struttura produttiva agricola fosse uscita dall’indeterminatezza degli orizzonti di sviluppo per orientarsi verso forme colturali a più alta redditività. In una prospettiva ancora più lontana lo schema avrebbe sostenuto le esigenze idriche di un’area più vasta ed articolata dal punto di vista delle utilizzazioni. La finalizzazione dello schema era, quindi, già tracciata allo scopo di accompagnare e sorreggere non solo le dinamiche di sviluppo socio-economico di un’area più vasta, ma anche il soddisfacimento delle esigenze ambientali in relazione ai nuovi orientamenti culturali.
In seguito si è potuto intravedere una diversa struttura per le future esigenti:
• nel settore agricolo la graduale riduzione dell’incidenza delle colture estensive a bassa redditività a favore di altre caratterizzate da un maggior livello di integrazione industriale e commerciale, con conseguente estendimento dei consumi idrici al di fuori del tradizionale periodo irriguo;
• nel settore civile l’incremento dei fabbisogni attorno ai centri di gestione del servizio idrico integrato;
• nel settore ambientale il sostegno ad un regime di fluenze in grado di caratterizzare elevati livelli di qualità ambientale degli ecosistemi presenti nei tratti dei corsi d’acqua sottesi dalle opere di regolazione e di sostenere usi ricreativi legati sempre più alla maggiore disponibilità di “tempo libero”.
Recentemente (fine anno 2008), le Regioni Toscana ed Umbria hanno sottoscritto un Protocollo d’Intesa per convenire, ferma restando l’esigenza dei rilasci per fini ambientali e per la laminazione delle piene, la ripartizione delle risorse idriche invasate, nominando un apposito Tavolo per il monitoraggio dell’Intesa Montedoglio e un Gruppo Tecnico Interregionale finalizzato, tra l’altro, alla predisposizione della bozza di Accordo di Programma per la regolazione e la gestione degli usi. Ai lavori partecipano rappresentanti delle Autorità di bacino del fiume Arno e del fiume Tevere.


Rappresentazione dello schema irriguo dell'Alto Tevere

Lo schema idroelettrico

Più di dieci anni prima che negli Stati Uniti fosse istituita la Tennesse Valley Authority per contrastare i colpi della grande crisi economica del 1929, nel bacino del Nera era entrata in funzione la centrale idroelettrica di Galleto a sostegno del polo industriale di Terni. I decenni successivi hanno visto l’originario schema ampliarsi verso tutto il Nera e verso il Velino, completando così un mosaico del quale fanno parte l’invaso di Corbara, gli impianti sul Farfa e sull’Aniene e le traverse di Alviano, Ponte Felice, Nazzano e Castel Giubileo.
Sul Tevere, tra i primi del Novecento e gli anni Settanta si anticipa, dunque, l’orizzonte strategico della produzione di energia da fonti RINNOVABILI, delineato dalle leggi n. 9 e n. 10 del 1991, promulgate dopo il referendum sul nucleare, e dal Programma d’azione adottato a Rio de Janeiro nel 1992 sullo SVILUPPO SOSTENIBILE.
Difendere questo valore significa difendere il più efficace deterrente nei confronti di usi (e prelievi) meno sostenibili e la più grande opportunità di rendere tale schema un domani funzionale a più usi.


Rappresentazione dello schema idroelettrico del Nera - Velino

Lo schema romano

Lo schema idrico che fornisce acqua potabile alla popolazione di Roma e al suo hinterland (circa cinquecento milioni di metri cubi annui) trae le proprie origini in epoca romana e, ancora oggi, una parte di quelle realizzazioni costituisce l’unica chiave di lettura dello schema attuale.
Ora come allora, Roma beve acqua di “sorgente”, intrinsecamente protetta e strutturalmente disponibile con costanza di portata in quanto proveniente dai massicci calcarei del pre-appennino centrale (catene dei Simbruini e del Monte Velino). Lo schema a supporto del servizio idrico integrato romano è posto a chiusura dell’intero bacino idrografico, in una posizione delicata per gli impatti notevoli che le portate effluenti dagli impianti di depurazione hanno sul tratto finale del Tevere, già di per sé gravato dai diciassettemila chilometri quadrati del bacino. La questione è di estrema importanza ed attualità: in forza della Direttiva 2000/60, recepita con il D. Lgs 152/2006, il conseguimento della qualità “buona” del corpo idrico va ad interessare anche il tratto terminale del fiume, ove insistono circa tre milioni di abitanti, che si muovono secondo logiche di sviluppo e di comportamento non sempre riconducibili a criteri assoluti di sostenibilità.

Ambiente naturale in generale e storico-culturale

Numerose sono le emergenze ambientali e storico-culturali che fanno del bacino del fiume Tevere un elemento unico nell’orizzonte dei circa tremila anni di storia che hanno accompagnato lo sviluppo territoriale e socio-culturale. Un breve excursus, senza alcuna pretesa di completezza e limitando la descrizione al tratto centrale del bacino, illustra un quadro di assoluta primazia del Fiume.
Si può iniziare dalle Gole del Forello, là dove un tratto dell'alveo del Tevere, compreso tra l'area a sud-est di Todi e il Lago di Corbara, corre tra rive alte e frastagliate. Le gole sono incassate tra le dorsali dei monti del Peglia e di Croce di Serra e, causa la natura calcarea dei rilievi, sono visibili profonde voragini circolari simili ad inghiottitoi. Durante il terziario e il quaternario aveva luogo il grande lago Tiberino.

  

  
Le Gole del Forello - Oasi di Alviano
La Fornace, Scoppieto di Baschi - Teatro della Concordia

Nel 1963, grazie allo sbarramento del Tevere da parte dell'ENEL per la produzione di energia elettrica, si è formato il Lago di Alviano. Nel giro di pochi anni, il graduale deposito dei sedimenti portati dal fiume ha provocato una serie di trasformazioni e, in particolare, la formazione di ampie e significative zone palustri. Le acque sono ricche di molluschi, fitoplancton, insetti acquatici e ogni specie di pesci; l'area è ideale, inoltre, per la sosta e la nidificazione di una avifauna di oltre 160 specie di uccelli in parte sedentari, molti migratori.
Importanti per fornire un quadro della realtà dei commerci lungo il fiume Tevere e, quindi, della rilevanza storico-economica del territorio in età preromana e romana, sono i rinvenimenti archeologici di Scoppieto, vicino a Civitella del Lago, dove sono state riportate alla luce le strutture di una fabbrica di ceramica romana, risalente al primo periodo dell'impero romano. I prodotti erano trasportati, per mezzo di imbarcazioni fluviali, lungo il Tevere fino ad Ostia, per poi proseguire verso le principali città del mediterraneo, quali Cartagine, Alessandria di Egitto, Costantina.

Tra gli innumerevoli siti archeologici e emergenze architettoniche che hanno arricchito il fiume nei secoli, una nota a parte merita quello che, pur se a molti sconosciuto, può essere definito come il teatro più piccolo del mondo, oggi è perfettamente funzionante. Sito a Montecastello di Vibio, unico nella sua struttura che è una via di mezzo fra gli allestimenti teatrali del '500 ed il tipico teatro all'italiana, possiede solo novantasei posti compresi i palchi e la platea.

Lungo il Tevere sono sempre esistiti ed utilizzati punti di approdo e di carico/scarico di merci e passeggeri. Uno tra i più famosi è Porto Romano di Pagliano, vero e proprio crocevia di traffici commerciali tra l'entroterra e Roma, sito alla confluenza del fiume Paglia. Rappresenta uno delle più interessanti dimostrazioni della navigabilità del Tevere, di cui oggi sempre più si avverte l’opportunità di ripristinare quanto abbandonato da secoli ai fine di una sostenibile mobilità lungo il fiume.


Porto Romano di Pagliano

Ma il bacino del Tevere è ricco anche di numerose grotte, tra le quali quelle denominate della “Piana” che, conosciute fin dall'antichità, si trovano in prossimità delle gole del Forello in località La Roccaccia di Titignano. Sita in un terreno geologico caratterizzato da formazioni travertinose, la grotta principale è la più grande cavità presente in Italia, che si sviluppa per oltre 2.500 m. Oltre alla bellezza delle concrezioni, importanti sono i ritrovamenti archeologici e paleontologici riferibili al neolitico medio, come manufatti litici, resti ossei e pezzi di ceramica d'impasto.


Le Grotte della Piana

Il Tevere e gli itinerari dei Santi

San Benedetto e San Francesco, patroni di Europa e d’Italia, trascorsero gran parte della loro esistenza nel bacino del Tevere. Nessun altro fiume in Europa può vantare la stessa sacralità del Tevere, che, dalle vestigia dell’epoca antica e dall’adorazione di divinità pagane, ha saputo traghettare un forte senso di spiritualità nella spiritualità cristiana; proprio lungo le rive del corso d’acqua i due Santi hanno saputo trovare rifugio dalla vanità del mondo, gente semplice e vicina al suo messaggio, una natura dolce e rigogliosa.
Il viaggio nella valle del Tevere dell’itinerario francescano comincia da Assisi, nel cuore della città dove sorgeva la casa del padre. Francesco viaggiò in Italia e nel mondo, come pochi uomini di quel tempo, per portare ovunque il suo rivoluzionario messaggio di pace.
Di ritorno dal viaggio in Egitto, Francesco si rifugiò poi a Gubbio ove è famoso l’incontro con il lupo, mentre a Bevagna predicò agli uccelli nel Pian d'Arca. Altri, e sono tanti, i luoghi della Via Francigena di San Francesco: Vecciano vicino a Montefalco, S. Francesco di Bovara vicino Trevi, Lugnano in Teverina, Narni, e poi ancora l’Isola Maggiore del Trasimeno, il santuario di Monteluco vicino Spoleto.
Gli Itinerari Benedettini sono un altrettanto meraviglioso percorso in una realtà senza tempo, in spazi incantati, dove la natura e l’arte narrano la religiosità di San Benedetto, indelebile esempio di profondità spirituale e impegno concreto nella comunità.
Con l’invito "Ora et labora", il Santo umbro aveva già tracciato un "itinerario benedettino" concreto e valido, per un’autentica esperienza spirituale, che tocca borghi e Abbazie dalla storia millenaria. Da Norcia, ove nacque nel 480 d.C., si passa per la chiesa di Santa Scolastica, eretta sul luogo in cui la Santa organizzò il Secondo Ordine Benedettino, e dove visse fino a pochi anni prima della morte, quando si trasferì a Montecassino, per ricongiungersi al fratello, per poi scendere a valle, per incontrare il piccolo centro di Castel San Felice arroccato su una piccola altura, alle cui pendici si staglia l'Abbazia di San Felice.
Continuando l'itinerario benedettino verso Terni, si incontra, nei pressi di Ferentillo, la grande Abbazia di San Pietro in Valle, per quindi attraversare le montagne che separano la Valnerina dalla Valle Spoletina, per salire verso Monteluco di Spoleto, dove si trovano altri numerosi insediamenti eremitici fondati da Monaci siriani, come l'eremo di Sant'Antimo.
Altri luoghi benedettini sono Spoleto, i Monti Martani, Foligno, Terni, Subasio per poi citare Subiaco, sull’Aniene; seguendo le "orme" di San Benedetto, l'itinerario benedettino propone un percorso intenso, un vero compendio tra fede, arte e natura.

Il ruolo nella storia e attuale

Confine naturale ed elemento di scambio commerciale, il Tevere ha simboleggiato per lungo tempo la linea di demarcazione fra i popoli di stirpe umbra, stanziati lungo la sua riva sinistra, e gli Etruschi, sulla destra. A questa autentica idrovia si deve il fondamentale ruolo di mediazione di scambi economici e culturali con le popolazioni collegate al corso d’acqua.
La rilevanza commerciale del fiume e la sua importanza per il territorio circostante è accreditata dalle fonti letterarie che lo definiscono, per lunghi tratti, navigabile e utilizzato per il trasporto di merci. Notevole il ricorso ad una serie di chiuse realizzate con palizzate, in grado di garantire la navigazione in condizioni di scarsa portata d’acqua così come descritto da Plinio, per una tecnica utilizzata in epoca romana e nel corso dei secoli successivi, come attesterebbero alcuni resti.
In un quadro storico di vita sociale, artistica e religiosa del Fiume, tutto è dipeso da un profondo senso di equilibrio tra le diverse componenti, naturali e non, che caratterizzano il Tevere.
Esiste ancora un profondo equilibrio oggettivo, peraltro reso oggi molto precario a causa della miriade di derivazioni sparse lungo tutto il reticolo del bacino. Se il Tevere rappresenta l’antonomasia del fiume, l’attuale situazione non tratteggia però “il migliore dei mondi possibili”.
Per questo motivo la pianificazione si configura come l’elemento collante di una profonda e conclamata bellezza naturale con una realtà di antropizzazione, nel tempo anche selvaggia, per il perseguimento del prioritario obiettivo di non dissipare la risorsa (e quindi la realtà) del Fiume in mille rigagnoli, per tendere invece al recupero funzionale e ambientale di un bacino le cui peculiarità mantengono ancora tutta la loro attualità e centralità.
Il problema della ripartizione di una risorsa, sia essa come fluenza naturale sia invasata, si trasforma in un problema di sostegno ad un cambiamento di non poco conto: in tempi recenti dall’ambiente “rurale” dell’immediato dopoguerra al complesso “antropogenico” di un futuro molto probabile.
Se si dovesse racchiudere lo spirito del Fiume in un’immagine-simbolo, non ci sarebbe nulla di più efficace della Cascata delle Marmore per l’idea del “valore idrodinamico” che ha l’acqua nel bacino e ne costituisce il valore fondante, insieme alla “purezza” e “freschezza” di petrarchesca memoria.
La sfida non è di poco conto poiché consiste nel saper rispondere ai cambiamenti futuri mantenendo gli attuali requisiti di sostenibilità e introducendo quegli elementi di innovazione tecnica e tecnologica che raccolgano il “consenso” del cittadino-UTENTE.
L’assetto idraulico della pianificazione è congruente con tale obiettivo, tracciando una strategia di utilizzazione del territorio al di fuori delle aree alluvionali e, quindi, coerente con le potenzialità attuali degli schemi che, valorizzando il “valore idrodinamico” della risorsa, permettono un utilizzo “a cascata” della stessa. Pur tuttavia schemi idrici ed assetto idraulico non formano ancora un “sistema”, in quanto la semplice condizione di equilibrio (o di indifferenza) tra i vari schemi, e di questi con l’assetto idraulico, potrebbe non essere sufficiente a rispondere ai cambiamenti a venire che richiederanno una sempre maggior efficacia d’azione sia degli schemi sia dell’assetto.
Nulla garantisce che processi di razionalizzazione interna ai singoli schemi o maggiori affinamenti delle strategie di assetto idraulico, assunti isolatamente gli uni dagli altri, possano produrre i risultati voluti: esiste, infatti, un limite oltre il quale l’unica risposta è nella integrazione degli schemi stessi con le strategie di assetto, che diventano così “sistema”.
È possibile così completare la visione di un quadro d’assieme del Fiume che deve essere letto come la rappresentazione sintetica ed organica degli effetti delle dinamiche fisiche, territoriali ed ambientali e che, quindi, non può che corrispondere un “sistema” che, riguardo alle forzanti interne ed esterne, governi gli esiti e le istanze di un vero SVILUPPO SOSTENIBILE.
All’Autorità di bacino l’onere di preservare tale sistema.


Principale bibliografia di riferimento.
• Autorità di bacino del fiume Tevere - Piano di Gestione delle risorse idriche dell’Appennino Centrale – Anno 2009/2010
• Autorità di bacino del fiume Tevere - Pianificazione di bacino – Piani Stralcio
• Pio Bersani – Mauro Bencivenga – Le piene del Tevere a Roma dal V secolo a.C. all’anno 2000 – Anno 2001
• Roberto Grappelli e Remo Pelillo - Paesaggi, fiumi ed acque: l’impegno dell’Autorità di bacino del Fiume Tevere – Anno 2007
• Regione Lazio - Programmazione 2000-2006 Dipartimento Sociale - Asse III – Misura III.2
Direzione Regionale - Sottomisura III.2.2 Cultura Sport e Turismo - Area "Strutture Turistiche e Demanio"
• Regione Toscana - Sito ufficiale del Turismo
• Itinerari francescani – umbriaearte
• Tuttounaltromondo – Discesa del Tevere – 2010
• Siti internet di Comuni del bacino