La crisi libica iniziata il 20 febbraio 2011, sul vento delle primavere arabe, si è chiusa tragicamente il 20 ottobre 2011 con la cattura e linciaggio di Gheddafi, il leader rivoluzionario che dal 1969 guidava il paese. Dall’altra parte del mare, a Gela, in Sicilia, a fianco del grande e storico petrolchimico, nessuno s’è accorto di nulla. Intorno al sito dove arriva il tubo dalla Libia, separato dalle reti di sicurezza, si vedono sempre le stesse valvole e cabine che sono state realizzate nel 2004 quando è stato completato il grande progetto Greenstream, flusso verde, così chiamato in onore del colore tanto caro al dittatore di Tripoli. Tutti i giorni, dal tubo entrano in Italia circa 20 milioni di metri cubi di gas, che sono estratti dai giacimenti intorno a Tripoli, su terra e su mare, dove sono rimasti intrappolati a profondità di oltre 2 mila metri per milioni di anni. Una volta in Italia, entrano in una rete di gasdotti che è soprattutto nazionale, ma che oggi è già integrata con quella europea e le molecole viaggiano verso le grandi città del Nord. Qui vengono bruciate per fare l’elettricità, fare andare i forni delle fabbriche, scaldare le nostre case e anche cuocere la pasta sul fornello, da mangiare a pranzo o per cena. Tutti i giorni milioni di italiani, senza saperlo, vivono anche grazie al gas che viene dal Nord Africa. Una famiglia tipo in Italia consuma in un anno circa 1400 metri cubi di gas, pertanto la quantità di gas che arriva ogni giorno dalla Libia è pari al consumo di un anno di circa 14 mila famiglie italiane. Il legame fisico energetico con il Nord Africa è una delle cose più belle delle relazioni economiche del Mediterraneo fra coste del Sud, dove abbonda l’energia, e quelle del Nord, in Europa, dove invece di energia ce n’è molto poca e occorre importarla.
Lo sviluppo pacifico dei paesi si basa sulla crescita economica che a sua volta dipende dal commercio dei beni. Le civiltà del Mediterraneo si sono sviluppate proprio grazie all’interscambio fra i diversi popoli che vivevano sulle coste di un mare che è comune a tutti e che ha agito da sistema di connessione per i trasporti. Per quel mare anche oggi partono i tubi, le navi e i cavi che fanno dell’energia il primo prodotto scambiato all’interno del Mediterraneo. E’ anche positivo vedere che l’Italia ha un ruolo di guida nel favorire il rafforzamento delle relazioni, prima di tutto per la posizione geografica molto favorevole al centro del Mediterraneo. Il secondo aspetto che mette l’Italia al primo posto è di carattere più culturale, legato alla nostra storia e alla nostra tradizione millenaria. E’ la nostra migliore propensione a fare relazioni umane con i paesi che sono molto diversi da noi sotto il profilo economico, le cui persone sono povere di cose materiali moderne, come computer, telefonini o anche cibo, ma che hanno, come noi, grande patrimonio culturale e storico. Andando direttamente al punto, i paesi anglosassoni, e le imprese che li rappresentano, hanno una tendenza a privilegiare gli affari, i costi e i ricavi, il profitto, che spesso va a beneficio dei paesi che hanno le risorse, ma che poi porta in secondo piano questioni più umane. Per fare un esempio, un conto è andare in un paese del Nord Africa e chiedere di perforare un GIACIMENTO, fare un piano dell’investimento, cosiddetto business plan, dare una fetta di profitti, più o meno cospicua, al governo nazionale e poi venirsene via. Ben diverso è parlare con le comunità locali di cosa hanno bisogno, relazionarsi con le comunità religiose, attivare un’economia locale, assumere personale del posto, non solo nel fare i lavori più semplici, come pulire o far da mangiare, ma anche quelli più difficili, come saldare i tubi, fare le analisi chimiche, controllare gli impianti. Questo può essere fatto solo con una visione molto ampia, non concentrata solo sul profitto di breve termine che, anzi, spesso deve essere sacrificato. Sotto questo punto di vista l’Italia si è sempre distinta rispetto agli altri paesi ed è per questo che in Egitto, Libia, Tunisia e Algeria, paesi ricchi di risorse energetiche, è al primo posto da decenni quale principale paese per proprie imprese che vi lavorano nella produzione di energia. Un vantaggio che già era presente prima della seconda guerra mondiale, seppure contagiata dal delirio del colonialismo, ma che poi si è rafforzato a partire dagli anni ’50 quando a Sud si comincia a produrre molto petrolio e gas, mentre nel Nord, in Italia, esplodono i consumi e le lavorazioni di gas e petrolio. L’Ente Nazionale Idrocarburi, oggi solo ENI, fu creata dal governo italiano nel 1953, su ispirazione di Enrico Mattei, per rafforzare l’approvvigionamento di energia all’Italia. I suoi primi sforzi furono nel continuare le attività avviate già nel 1926 dall’Agenzia Generale Italiana Petroli, l’Agip, oggi inglobata nell’ENI. Allora si cominciò a trovare solo gas, non petrolio, in Italia, e si misero giù i tubi, gli stessi che oggi ci portano il gas da molto più lontano, dal Sahara. Non trovando molto petrolio in Italia, Mattei fu costretto ad andare all’estero e i paesi che cominciò a visitare furono quelli vicini del Nord Africa dove l’Italia, anche per ragioni non solo geografiche, era molto presente. Fu Mattei che cominciò a pensare ad un diverso rapporto con i paesi produttori, sia per mera competizione con le grandi compagnie petrolifere anglosassoni, sia per una naturale vocazione italiana a fare relazioni più articolate con i paesi poveri, cosa che in quei giorni non ci distanziava molto da loro. Nacquero allora le idee di Mattei di fare dei tubi, uguali a quelli che fece fra Caviaga, vicino a Lodi, per portare il gas che serviva all’Italia nel tentativo di modernizzarsi con l’industrializzazione, obiettivo che poi venne raggiunto in maniera brillante. La differenza, allora incredibile, era che i tubi intorno a Milano erano lunghi al massimo qualche centinaia di chilometri, mentre quelli nuovi dovevano partire dal centro del Sahara, attraversare il Mediterraneo, a profondità inaudite oltre i 1000 metri di acqua, ritornare sul continente e correre fino alla Pianura Padana. Si trattava di un’ambizione quasi impossibile, ma che con grandi sforzi e innovazioni venne poi iniziata nel 1976 e completata nel 1982. Il gasdotto oggi si chiama in un altro modo, ma per anni è stato l’Enrico Mattei, in onore di quelle sue idee ambiziose che vennero realizzate negli anni successivi alla sua scomparsa nell’ottobre del 1962 da altri italiani, cresciuti nelle società del gruppo. Ogni giorno dal deserto algerino partono circa 80 milioni di metri cubi di gas che arrivano sulle coste tunisine per poi attraversare il mare Mediterraneo e arrivare a Mazara del Vallo in Sicilia, vicino a Trapani. Da lì, la linea continua su tutta la Sicilia, attraversa di nuovo il mare, questa volta un tratto più corto e meno profondo, lo stretto di Messina, per poi risalire a Reggio Calabria e correre su verso nord attraversando tutta l'Italia per arrivare a Minerbio, a 15 chilometri a nord di Bologna, dove c’è un vecchio GIACIMENTO di gas, ora esaurito, che serve da STOCCAGGIO. In estate, quando la domanda per riscaldamento è bassa, viene riempito, per poi servire da polmone nei giorni di forte freddo durante l’inverno.
I gasdotti dalla Libia e dall’Algeria sono opere di cui noi italiani dobbiamo esserne orgogliosi. In decenni di attività ci hanno portato circa 600 miliardi di metri cubi di gas che abbiamo pagato anche caro, ma ad un prezzo giusto, perché era quello concordato con i paesi esportatori. Loro hanno un enorme bisogno di esportare energia, in questo caso gas, ma anche petrolio, di molto superiore alla nostra esigenza di importare. Loro sono paesi ancora con reddito pro capite molto basso, con popolazione che continua a salire, con disoccupazione alta e diffusa fra i giovani, tutto un mix questo che contribuisce ad allontanare la possibilità di arrivare a forme di governo più democratiche e stabili, svilendo i facili ottimismi delle primavere arabe. Sempre più gente da quei paesi è costretta a rischiare la vita su barconi per venire in Europa, e le guerre civili, lato scuro delle primavere, lasciano ferite che saranno rimarginate solo nel lungo termine. E’ nostro compito favorire l’energia nel Mediterraneo, nel senso di aumentare gli scambi, rafforzare il commercio, sulla strada già intrapresa da noi italiani da molto tempo.