L’opposizione al presidente Hugo Chàvez ha avuto un momentaneo successo quando, a metà marzo 2004, la Sezione elettorale della Corte Suprema Venezuelana ha convalidato a sorpresa, nonostante il parere contrario espresso dal Comitato Nazionale Elettorale, la raccolta delle firme presentate il 19 agosto 2003 a sostegno della richiesta di referendum, come prescritto dalla Costituzione.
Manca ancora la ratifica definitiva della Corte Suprema la cui maggioranza, peraltro, sembra vicina alla Presidenza.
Quest’ultima, nel frattempo, non cessa di imputare al sostegno degli Stati Uniti i tentativi di golpe in atto nel suo paese e minaccia di interrompere le forniture di greggio, anche se la dirigenza di Pdvsa continua a mantenere normali contatti con gli Organismi governativi e i gruppi finanziari americani sollecitandoli, tra l’altro, ad ampliare la capacità di raffinazione negli Stati Uniti in joint-venture con Pdvsa, a fronte di una crescita in atto della domanda di prodotti, che fa già registrare una media di $ 1,74/GALLONE di benzina s.p., il più alto livello dal 1985 ad oggi.
Il Venezuela è tradizionalmente uno dei principali esportatori di greggio negli Stati Uniti, insieme a Canada, Messico, Saudi Arabia e Nigeria, e il terzo paese per volume di esportazione, dopo Canada e Messico.
Anche se il rinvio al referendum verrà confermato, non è affatto certo che il suo responso sia sfavorevole a Chàvez, dato il forte sostegno che gli riserba la parte più povera della popolazione, che rappresenta ancora la maggioranza del paese.
E se, invece, dovesse prevalere il voto per la sua destituzione, il dettato costituzionale impone che al suo posto si insedi il vice-presidente in carica e ciò comporterebbe, di fatto, che il partito di Chàvez rimarrebbe al potere fino alle successive elezioni del 2006, un esito che l’opposizione non può certo desiderare.
In questo quadro di contraddizioni, quindi, lo stato di agitazione permanente in Venezuela rischia di protrarsi per anni, anche se appare poco probabile che uno sciopero generale indetto dall’opposizione possa avere la stessa efficacia di quello dell’autunno 2002, che riusci a paralizzare per mesi tutte le attività estrattive e che portò al licenziamento di 18mila addetti dell’industria petrolifera (quasi la metà del personale di Pdvsa).
È indubbio, però, che il protrarsi di agitazioni, sia pure parziali o poco incisive sotto l’aspetto del blocco della produzione, concorrerà a tenere in vita un disordine politico-sociale diffuso, che non potrà non influire negativamente sul ritmo delle esportazioni e non riflettersi sull’andamento dei prezzi del greggio.
Ci sono, infine, i possibili sviluppi della cooperazione mediterranea, le cui potenzialità sono spesso sottovalutate.
Dall'evoluzione delle relazioni all'interno dell'area mediterranea può dipendere anche la crescita delle interconnessioni in campo energetico, dal settore delle fonti primarie al sistema delle raffinerie, con conseguenze importanti per il trasporto petroliero sia marittimo che in condotta.
Delle incognite geopolitiche sopra indicate, tutte di grande rilievo, è impossibile decifrare con certezza l'evoluzione nel medio e lungo periodo; e, a maggior ragione, è arbitrario, quantificarne gli effetti.
Ciò rende arduo allontanarsi dalle previsioni che potremmo definire estrapolative, ossia neutrali rispetto alle incognite geopolitiche sopra indicate.
Riteniamo, tuttavia, che le riflessioni fatte su alcune di queste incognite, possono non solo contribuire a porre meglio in luce gli scenari in cui tali previsioni si inquadrano; ma anche ad evidenziare che le trasformazioni della geopolitica del petrolio configurabili nei prossimi decenni, assai difficilmente potranno affievolire sia il ruolo del Mediterraneo allargato (Mediterraneo e mari e aree adiacenti) come snodo cruciale delle correnti del traffico petroliero mondiale, sia il problema di sostenibilità ambientale ad esse associato.
Tratto dal Libro: "Traffico Petrolifero e Sostenibilità Ambientale".
Co-Autore Dott. Giuseppe Mureddu