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La dimensione del finanziamento degli investimenti per le navi petroliere - Giuseppe Mureddu

Un altro aspetto di rilevante importanza è quello della dimensione del finanziamento degli investimenti richiesti.

Il prezzo, ossia il costo di acquisto di una nave nuova (ovviamente a doppio scafo), che per un armatore è la maggiore componente di costo, va dai 70-75 milioni di euro per un VLCC ai 30 milioni per un tanker della categoria 'products' ed è sostanzialmente stabile.

Pur senza procedere a una vera e propria stima del volume di investimenti richiesto nel corso dell'intero periodo 2003-2030, sulla base delle previsioni di crescita della flotta e utilizzando i costi unitari attuali, può dedursi che il fabbisogno finanziario (anche a prescindere dal forte aumento dei costi di gestione è dell'ordine di 180-200 miliardi di euro.

Ad analogo risultato sono giunte per altra via le previsioni di investimento elaborate dalla Agenzia Internazionale dell'Energia (tabella sottostante).

Un fabbisogno di quasi 200 miliardi di euro è circostanza che potrebbe creare qualche problema, sia all'interno della cerchia dei tradizionali finanziatori del settore, sia, più in generale, sul sistema finanziario internazionale.

Sembra, tuttavia, che una preoccupazione in tal senso sia stata finora considerata dagli operatori poco più che una ipotesi astratta.

Questione diversa è chi e come riesce e riuscirà ad acquisire il 'dividendo' del rilancio della cantieristica mondiale.

I dati sulle consegne degli ultimi anni (confermati dai piani di costruzioni navali) mostrano una forte concentrazione delle quote di mercato di paesi dell'Estremo Oriente (Giappone, Cina, Corea del Sud), il cui comportamento non è ritenuto esente da pratiche commerciali scorrette; e non è un caso che, contro uno di questi paesi, sia attualmente in corso un'azione legale dell'UE.

Sull'occasione di sostenere possibili programmi di sviluppo dei cantieri europei, inclusi quelli di alcuni futuri membri dell'Unione allargata, sia le istituzioni che gli operatori economici non hanno mancato di enfatizzare il loro interesse. Nonostante tale enfasi, a noi sembra, tuttavia, che, se non si vuole prescindere dalle capacità esistenti e dalle esperienze acquisite sul mercato, tale possibilità sia di fatto limitata ai tanker di piccola taglia. Ma questo è argomento che riguarda la politica europea delle costruzioni navali (e industriale in genere) e in qualche modo sembra andare al di là dei limiti di questo libro.

Sempre in tema di possibili ripercussioni di un rinnovamento massiccio della flotta petroliera, può segnalarsi - anche osservando i dati di lungo periodo della consistenza della flotta petroliera stessa e del suo grado di utilizzazione - che viene a confermarsi la persistenza di un andamento ciclico, in cui le fasi ascendenti, alimentate da qualche importante mutamento istituzionale e tecnologico, sono seguite da lunghi periodi di stasi, cui corrisponde la riduzione della capacità utilizzata e un forte invecchiamento del naviglio.

Ci sono le condizioni per ritenere che stia per innescarsi un nuovo ciclo - di ampiezza persino maggiore di quello avviato con la MARPOL - di cui vedremo gli effetti tra 20 anni, quando la flotta invecchierà tutta insieme.

L'esame dei dati recenti sembra inoltre mettere in evidenza elementi di tensione su un altro mercato, anch'esso legato alle fluttuazioni della consistenza della flotta e della capacità utilizzata: quello dei noli.

L'andamento delle tariffe su alcune delle principali rotte, sia spot che charter, mostra infatti numerose impennate, la cui causa è stata talvolta indicata nell'intervenuta scarsità di offerta di navi dagli standard di sicurezza richiesti dalla nuova normativa sul doppio scafo.

A ben guardare i dati, tuttavia, ciò che risulta evidente è una forte oscillazione delle tariffe, piuttosto che una loro forte crescita tendenziale.

L'andamento fluttuante, se non una vera e propria volatilità, è già osservabile dal 2000, anno in cui si sono anche registrati, come per il 2003, i maggiori peaks.

Ma mentre per il 2000 gli aumenti erano dovuti ad una forte pressione della domanda di trasporto, determinanta dalla dinamica del mercato petrolifero, nel 2003 essi sembrano derivare da un insieme più complesso di circostanze.

Tra questi vanno annoverati: fattori per così dire esterni, come conflitti e disordini politici, in corso o semplicemente temuti; gli scioperi del settore petrolifero di alcuni paesi produttori come la Nigeria e il Venezuela; l'emergenza di nuovi mercati che sembrano in grado di influenzare dislocazione e rotte di una parte della flotta mondiale; il riassetto - o meglio un vero e proprio terremoto - nella struttura del mercato armatoriale dei tankers, sulla cui scena gli attori protagonisti si sono ridotti di numero, possono adottare comportamenti più aggressivi e sono in grado di rafforzare le già notevoli barriere all'entrata.

A questi fattori si può infine sommare anche l'indisponibilità di navi sub-standard e a basso costo come conseguenza della messa al bando dei tankers a scafo singolo, ma si tratta di un elemento aggiuntivo che non è certo né l'unico né il più determinante; anche per il futuro, nella misura in cui non sopraggiungano ostacoli imprevisti al rinnovamento della flotta, si può prevedere qualche aumento dei noli nella fase più acuta della transizione, ma tali aumenti dovrebbero tendere ad essere assorbiti rapidamente man mano che la capacità utilizzata si assesta su livelli normali.

Riassumendo le considerazioni precedenti, non può del tutto escludersi, in via astratta, la possibilità che si verifichino, in una qualche fase del rinnovamento della flotta mondiale, temporanei eccessi di domanda, connessi alle difficoltà tecniche di aggiustamento, e in particolare ai lunghi tempi di costruzione delle navi, e che essi generino tensioni o strozzature di mercato.

Non pare, tuttavia, che tale possibilità possa destare eccessiva preoccupazione; e soprattutto non sembra possano individuarsi conseguenze gravi o irrimediabili, sia per l'industria petrolifera che per l'approvvigionamento energetico: all'aspetto positivo della riduzione del rischio non si accompagna nessun serio pericolo di rallentare il servizio di trasporto per scarsità di navi con standard di sicurezza adeguati; un eventuale aumento dei noli sarebbe comunque temporaneo e facilmente assorbibile senza ricorrere necessariamente a traslazioni sui prezzi.

È possibile però che tali tensioni possano aumentare, se all'obbligo di utilizzare navi cisterna con caratteristiche strutturali adeguate (dotate di doppio scafo, o, fino al 2015, rinforzate con varie forme di upgrading), non dovesse accompagnarsi la possibilità di utilizzare pienamente l'offerta con tali caratteristiche, disponibile sul mercato internazionale.

Ciò può succedere nel caso in cui, pur all'interno di una normativa che riflette la politica di liberalizzazione del trasporto marittimo perseguita in generale dall'Unione Europea, esistano clausole, eccezioni, o semplicemente interpretazioni nell'applicazione di tale normativa a livello dei singoli paesi membri, che riducano di fatto la possibilità di servirsi delle navi a doppio scafo che pure operano sul mercato europeo e che siano in transito nelle acque italiane.

È ciò che ad esempio avviene a proposito delle navi utilizzate dalle compagnie di bandiera, per quanto concerne quella parte consistente del traffico marittimo petroliero costituito da cabotaggio insulare, che è soggetto ad un regime speciale, e che interessa, in particolare, Sicilia e Sardegna.

Nella normativa generale europea (Reg. [CEE] 3577/92 del Consiglio) che liberalizza il traffico marittimo, il cabotaggio insulare costituisce un'eccezione: esso è regolato dagli artt. 3.2 e 3.3 dello stesso Regolamento, che rinviano alle norme (relative agli equipaggi) dello "stato ospitante" per quanto riguarda il cabotaggio insulare esclusivo o continuativo, mentre fanno rientrare nel caso generale il cabotaggio saltuario, il che significa in pratica che nella formazione dell'equipaggi valgono le regole dello stato bandiera, e che quindi possono essere utilizzate le navi straniere di passaggio. In Italia, tuttavia, l'interpretazione restrittiva di una circolare ministeriale applicativa della norma europea, di fatto impedisce di utilizzare la disponibilità di navi straniere a doppio scafo in arrivo o in partenza da porti italiani.

In realtà, interpretazioni delle norme europee e applicazioni restrittive come questa appena menzionata, pongono problemi di trasparenza, uniformità, e distorsioni del mercato, che vanno al di là del trasporto marittimo petroliero, in quanto investono anche altri comparti merceologici; e, per rimanere al settore petroliero, non sono rilevanti solo per le navi a doppio scafo.

Una seconda considerazione riguarda la eccessiva opacità con cui avviene la ripartizione di costi e benefici di un cambiamento come quello esaminato: non solo tra petrolieri e consumatori intermedi e finali (in particolare sono oscuri i vantaggi e gli oneri per entrambi e il meccanismo di traslazione sul prezzo del petrolio), ma anche tra questi e altre parti in gioco (armatori, assicuratori, ecc.).

Altra questione aperta è quella della congruità di un così massiccio sviluppo cantieristico (con la sostituzione delle vecchie navi a scafo singolo e con il raddoppio della flotta esistente per far fronte alla domanda futura) rispetto all'obiettivo di drastica riduzione del rischio del cabotaggio petroliero, che non può essere certo realizzato semplicemente con l'introduzione del doppio scafo.

C'è da chiedersi, cioè, se questa non sia invece l'occasione per ripensare le strategie di lungo periodo volte ad aumentare la sicurezza del trasporto del petrolio, in cui quello armatoriale non è l'unico investimento possibile.

Infine va ribadita l'esigenza di interventi coordinati tra i vari livelli decisionali (globale, europeo, nazionale) e tra aree geografiche.

In merito alla rilevanza di tale aspetto per il tema specifico di questo capitolo, va sottolineato che in Europa o nel Mediterraneo, così come negli USA, anche per le caratteristiche del naviglio operante, non dovrebbero determinarsi carenze di offerta di navi cisterne a doppio scafo; ma che così potrebbe non essere, sia pure temporaneamente, in altre aree, con conseguenze sul mercato nel suo insieme.

Va anche osservato che, in assenza di un accordo globale - oltre che di un'estesa attività di monitoraggio internazionale integrata e coordinata (che potrebbe avvalersi di un apporto veramente innovativo con l'utilizzazione del sistema satellitare Galileo) -, navi senza i nuovi standard di sicurezza, sebbene bandite dai porti maggiori, hanno ancora la possibilità di navigare non lontano dalle coste di paesi che adottano le nuove regole (ad esempio nel Mediterraneo) e in generale lungo rotte che presentano elevati rischi per tutti.

Tratto dal Libro: "Traffico Petrolifero e Sostenibilità Ambientale".
Co-Autore Prof. Ugo Bilardo