Introduzione
Un recente volume dell’Agenzia NEA dell’OCSE raccoglie i dati forniti da una quindicina di paesi sui costi di produzione dell’elettricità da essi stimati sulla base delle loro esperienze con tre tipologie di centrali di potenza alimentate a carbone, a GAS NATURALE con CICLO COMBINATO e a combustibile nucleare. Da questi dati emerge una sostanziale equivalenza del costo del chilowattora, anche senza considerare una tassa sulla CO2 emessa (Kyoto) che, una volta imposta anche a livelli di 20 Euro/MWh, favorirebbe il nucleare.
Questi confronti si basano poi sui dati di costo dei combustibili del 2004 e non tengono conto dei vistosi aumenti che si sono registrati nel frattempo.
A livello mondiale, con riferimento al 2004,gli impianti nucleari hanno fornito il 16% dell’elettricità, a confronto con il 40% degli impianti alimentati a carbone, con il 19% del gas, il 16% degli idroelettrici, il 7% dell’olio combustibile ed il 2% di altre RINNOVABILI.
Nel mondo, al termine del 2006, erano in esercizio 435 reattori di potenza commerciali in 31 paesi, con una potenza totale maggiore di 360 GWe, realizzando una esperienza di esercizio di più di 10.000 reattori-anno, di cui circa 3500 nella UE.
La loro composizione è la seguente: 212 PWR, 93 VVER di progetto russo, 93 BWR, 42 PHWR tipo canadese, 14 AGR tipo inglese, 2 MAGNOX (prima generazione, inglesi) 16 RBMK tipo russo, 2 FBR e 2 altri. Inoltre sono 56 gli Stati
che ospitano 284 reattori di ricerca, dediti anche alla produzione di radionuclidi per scopi sanitari e industriali
Un ulteriore gruppo di 220 reattori di potenza servono la propulsione, per impieghi militari, di portaerei, incrociatori e sottomarini. Sempre alla fine del 2006 29 reattori di potenza erano in costruzione: 7 in India, 4 in Cina, 2 a Taiwan, 1 in Giappone, 1 in Corea del Sud, 1 in Pakistan ed 1 in Iran, 5 in Russia, 2 in Ucraina, 2 in Bulgaria, 1 in Romania, 1 in Finlandia ed 1 in Argentina. Inoltre, di altri 38 reattori è stata decisa da vari governi la costruzione e di altri 26 è prossima l’ordinazione, essendo già stati determinati i siti delle centrali ed i tipi di reattore.
L’ultima edizione (2006) del Red Book sull’uranio, che riporta i dati forniti da vari paesi, indica che le RISERVE accertate a costi di estrazione dell’uranio inferiori a 130 dollari USA/Kg ammontano a 4,7 milioni di tonnellate. Al tasso attuale di generazione elettronucleare (2.648 TWh nel 2004), con un consumo di 67.000 T/a, queste RISERVE basterebbero per 70/80 anni.
Stime IAEA indicano scenari di forte crescita del nucleare dopo il 2020, con proiezioni per il 2025 di una potenza installata compresa fra 449 e 533 GWe e di 1.300 GWe nel 2050.
(*) relazione presentata all’Accademia delle Scienze e Accademia Nazionale dei Lincei (Torino, 20-21 Aprile, 2007)
Le attuali ricerche sulle centrali elettronucleari possono dividersi in due filoni, uno a breve e media scadenza, che i tecnici indicano con il termine “Generation III+”, riferendosi alle filiere di reattori interessati, e l’altro con il termine “Generation IV”, a lunga scadenza, vale a dire a partire dal 2030 per l’inizio commerciale. Nel primo filone si vuole valorizzare al massimo il prodotto dei reattori attuali, molti dei quali hanno già ultimato, o sono prossimi a farlo, il periodo, per lo più ventennale, di ammortamento dei capitali impegnati per costruirli.
Delle tre componenti del costo del KWh nucleare, come noto, quella di gran lunga prevalente è il costo capitale, mentre il costo del combustibile è molto minore e paragonabile a quello di esercizio e manutenzione. In pratica, dopo l’ammortamento, il costo del KWh si dimezza e le società elettriche cominciano a guadagnare sensibilmente.
Vi è quindi un grande interesse a prolungare la vita operativa dei reattori ben oltre i trenta anni inizialmente previsti nei progetti. In genere ciò è possibile con la sostituzione di alcuni componenti (ad es. i generatori di vapore nei reattori ad acqua pressurizzata (PWR), con un ammodernamento della strumentazione, e con una verifica approfondita dello stato di conservazione dell’impianto.
Negli USA, ad esempio, una metà dei 103 reattori operanti hanno avuto dall’autorità di controllo NRC un prolungamento di licenza di 20 anni, e praticamente tutti gli altri impianti sono intenzionati a ripetere questa procedura.
Un altro obiettivo è quello di produrre più energia per unità di massa di combustibile, il che presenta due benefici: ricariche del combustibile più dilatate nel tempo (si è passati da un anno ad un anno e mezzo e si conta di arrivare a due o più anni), con un aumento quindi del fattore di utilizzazione delle centrali e maggiore energia prodotta con un combustibile appena di poco più caro perché più arricchito in fissile (uranio 235 o plutonio).
Si sta affermando nel mondo la adozione del ciclo chiuso del combustibile, con ritrattamento di quello esaurito e recupero dell’uranio non fissionato (circa l’1%) e del plutonio prodotto nell’irraggiamento(circa l’1%, con il 3% di prodotti di fissione).
Si sono così introdotti i combustibili ad ossidi misti (MOX) che vengono utilizzati sempre più nei reattori con l’obiettivo di passare dal CORRENTE terzo di nocciolo alla metà e poi al nocciolo intero, con una contemporanea crescita delle rese energetiche, passando dagli attuali 50 GWd/t a 60 GWd/t fra qualche anno e a 70 nell’arco di una decina di anni.
Nel contempo si fa ricerca per meglio risolvere, con pubblica accettazione, il problema dei rifiuti nucleari.
Per i rifiuti occorre distinguere fra quelli a bassa e media radioattività, sostanzialmente i prodotti di fissione, e quelli ad alta radioattività e lunghissima durata (centinaia di migliaia di anni), plutonio e attinidi minori (americio, curio e nettunio).
I primi, dopo poche centinaia di anni sono quasi del tutto decaduti e quindi non più pericolosi: per questo i loro depositi sono superficiali o sub-superficiali (a profondità di poche decine di metri) e si prevede di sorvegliarli per un periodo di trecento anni.
I secondi, che hanno un volume totale venti volte minore, potrebbero essere inseriti, solo dopo qualche decennio di necessario raffreddamento in depositi superficiali, in un deposito geologico profondo in particolari formazioni (argille, sali, graniti) ove per milioni di anni l’acqua, l’unico agente che può portare i pericolosi radionuclidi verso la biosfera, non è mai fluita.
Sono già state trovate soluzioni soddisfacenti per immobilizzare gli attinidi in matrici di vetro al borosilicato che possono resistere alla eventuale azione di lisciviazione dell’acqua per 10.000 anni, e la ricerca oggi si spinge a risolvere alla base il problema con un ritrattamento del combustibile usato che separi gli attinidi minori (il plutonio viene riciclato nei reattori come combustibile) per poi trasmutarli in radionuclidi a vita molto più corta per irraggiamento neutronico in reattori veloci o in reattori sotto-critici accoppiati ad acceleratori di protoni.
Questa operazione è chiamata trasmutazione per spallazione, ma richiederà ancora qualche decennio perché possa essere realizzata a livello industriale con costi convenienti.