Al fine di riequilibrare al più presto il mix energetico dell’Italia, la tecnologia da considerare è quella dei reattori di III generazione, più sicuri, affidabili ed economici rispetto a quelli in servizio dagli anni 1970-1980, e che si trovano ormai “a catalogo” di ditte come Areva, Toshiba-Westinghouse, General Electric, ecc.
I nuovi reattori di III generazione (a neutroni lenti, o termici) sono tipicamente progettati per una vita utile di 60 anni: ciò significa che il previsto rilancio industriale dell’energia nucleare per la gran parte del XXI secolo sarà di fatto basato su questa classe di reattori.
I reattori a neutroni veloci (alcuni dei quali previsti tra i progetti di IV generazione) saranno poi necessari per aumentare (e di molto) l’energia estraibile dai minerali da URANIO e torio, e per ridurre drasticamente la radioattività dei rifiuti radioattivi. Si noti che comunque tutto il materiale fissile (Uranio 235 e Plutonio 239) e fertile (Uranio 238), nonché i residui radioattivi, rinvenienti dall’utilizzo dei reattori delle generazioni precedenti, potranno essere rielaborati e sfruttati nelle future nuove generazioni di reattori.
Anzi, il fissile prodotto dai reattori attuali sarà indispensabile per l’avvio delle generazioni di reattori a neutroni veloci, che quindi difficilmente avranno rilevanza industriale prima della fine del secolo in corso. Non ha quindi senso la contrapposizione “ideologica” tra reattori di III e di IV generazione.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, il recente accordo con la Francia prevede la costruzione in Italia di quattro impianti di tipo EPR (European Pressurized Water Reactor), forniti dal grande costruttore francese Areva, ciascuno della potenza di 1660 MWe (si veda la figura sotto riportata).
Il costo attuale di uno di questi impianti si può stimare dell’ordine di quattro miliardi di Euro. Ciascuno di essi potrebbe produrre circa 10 terawattora (TWh) di energia elettrica all’anno (cioè circa 1/34 dell’attuale consumo elettrico italiano).
Supponendo che i quattro impianti fossero operativi per il 2030, a che allora il consumo elettrico annuale italiano fosse di 400 TWh, essi ne fornirebbero il 10%: per arrivare al 25% nucleare prefissato dal Governo, occorrerebbe allora costruirne altri sei di quella potenza (anche se non necessariamente forniti dallo stesso costruttore), per un investimento totale dell’ordine di 40 miliardi di Euro.
Sono cifre di grande rilevanza, ma non dissimili da quelle richieste da altre grandi imprese bene o male portate avanti dall’Italia in questi anni (si pensi ai Treni ad Alta Velocità).
In proposito, un giornalista scientifico di un noto quotidiano nazionale si chiedeva in questi giorni se non fosse meglio investire i 20 miliardi dei primi quattro impianti (da lui stimati a 5 miliardi l’uno) in pannelli fotovoltaici.
Bene, il conto è presto fatto: tutti sappiamo che il tipico impianto FOTOVOLTAICO da 3 kW di picco costa circa 20 mila Euro; quindi con 20 miliardi se ne potrebbero istallare per 3000 MW di picco. Ma tenuto conto che in Italia un pannello FOTOVOLTAICO produce in un anno per l’equivalente di 1000 ore a pieno regime (rispetto alle 8760 ore dell’anno, a causa ovviamente delle notti e della nuvolosità), i suddetti 3000 MW di picco equivalgono a non più di 500 MWe continuativi.
Un impianto nucleare da 1660 MWe può invece operare anche ad un fattore di carico medio del 90%, cioè fornire 1500 MWe continuativi; quindi i quattro impianti fornirebbero ben 6000 MWe, da confrontare coi 500 MWe ottenibili dall’alternativa fotovoltaica.
Ma c’è di più: l’impianto EPR è progettato per una vita utile di 60 anni, mentre i pannelli fotovoltaici sono dati per una vita di vent’anni, dopo di che dovrebbero essere sostituiti.
E’ ben vero tuttavia che l’impianto nucleare deve essere alimentato con materiale fissile, ma si tratta di una frazione del costo totale del kilowattora, molto inferiore rispetto al caso delle fonti fossili. La manutenzione, poi, deve essere fatta regolarmente anche per gli impianti fotovoltaici durante l’intera loro vita.
Per ottenere quindi col FOTOVOLTAICO l’equivalente di 6000 MWe continuativi, occorrerebbe un investimento dell’ordine di (6000/500) x 20 = 240 miliardi di Euro, ed occorrerebbe occupare una superficie di ben 90.000 ettari (a fronte di una decina di ettari per ciascuno degli impianti nucleari, 40 ettari in tutto, anche concentrati in una o due centrali pluri-impianto).
Evidentemente, tra le due opzioni non ci può essere competizione.
A questo punto, resta da fare qualche considerazione sulla sostenibilità a lungo termine dell’opzione nucleare.
I due aspetti da esaminare sono la disponibilità di materia prima per la fabbricazione del combustibile nucleare, e le modalità per la gestione e l’utilizzo del combustibile irraggiato nei reattori (il cosiddetto “problema delle scorie”).
Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre notare che con i reattori attualmente più in uso, si sfrutta poco più dell’uranio fissile presente in natura (l’Uranio 235, lo 0,7% dell’uranio naturale): ciò fa temere ad alcuni un rapido esaurimento delle RISERVE di combustibile nucleare.
Tuttavia, è ben noto dagli albori dell’energia nucleare che, mediante l’uso di reattori “fertilizzatori” a flusso neutronico “veloce” (cioè, ad alta energia), si trasforma il “fertile” URANIO 238 (oltre il 99% dell’uranio naturale) nel fissile Plutonio 239, e quindi è possibile estrarre dall’uranio naturale fino a 100 volte in più di energia.
Reattori prototipi di questo tipo hanno funzionato, e sono in funzione, da molti decenni (in Francia, i reattori Phénix e Superphénix). Ciò significa che dal solo URANIO oggi noto vi è una disponibilità di combustibile per millenni anche per una potenza nucleare installata di 10 TW-termici (10 volte l’attuale).
Inoltre, mediante l’uso di reattori “fertilizzatori” a flusso neutronico “termico” (cioè, a bassa energia), si trasforma il fertile Torio 232 nel fissile URANIO 233.
Il Torio in natura è tre volte più abbondante dell’uranio, e quindi è possibile estrarre dal Torio anche 300 volte in più di energia rispetto all’Uranio 235 presente in natura.
A questi livelli di sfruttamento, può divenire poi conveniente ricavare l’uranio e il torio da minerali molto diffusi come i fosfati o i graniti, ed anche dall’acqua di mare: ad esempio, negli oceani vi sono 4,4 miliardi di tonnellate di uranio, equivalenti a 80.000 TW-termici-anno dal solo URANIO 235. Si noti che ora vengono anche messe a punto tecniche di estrazione dell’uranio dalle ceneri di centrali a carbone: una tonnellata di ceneri può fornire energia da URANIO pari alla combustione di 500 tonnellate di carbone!