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Le centrali nucleari. L'energia che scaturisce dal bombardamento dell'uranio con neutroni. Il processo di 'fissione/fusione nucleare'. Il problema della radioattività e delle scorie.

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Il Nucleare nel Mondo - Agostino Mathis -

Per quanto riguarda il “problema delle scorie”, occorre innanzitutto notare che la dizione “scorie” o “rifiuti” non appare de tutto corretta per l’industria energetica da fonte nucleare.

Infatti il materiale altamente radioattivo prodotto da un reattore nucleare a fissione resta in condizioni normali strettamente confinato dentro le guaine degli elementi di combustibile, ed esce dal reattore solo quando essi, esauriti per il lungo irraggiamento, vengono sostituiti con elementi nuovi.

Dopo di ché, gli elementi irraggiati possono essere conservati in piscine presso lo stesso reattore anche per decenni, con un notevole decadimento della radioattività.

Gli elementi irraggiati costituiscono una preziosa riserva di materiale fissile (Uranio 235 e Plutonio 239), e soprattutto fertile (Uranio 238): se e quando sia ritenuto opportuno o economicamente conveniente, questi elementi possono essere sottoposti a “ritrattamento” per separarne i vari costituenti.

La radioattività più rilevante e di più lunga vita media è quella dovuta agli attinidi transuranici (tra cui il Plutonio): separandoli chimicamente, essi possono essere inseriti in nuovo combustibile per reattori, dove potranno essere distrutti, producendo molta altra energia.

La restante radioattività del combustibile irraggiato è dovuta invece ai prodotti di fissione.

Anche questi possono essere opportunamente trattati, in modo da ridurne drasticamente livelli di radioattività e vite medie, tanto che dopo qualche centinaio di anni la loro radioattività totale residua potrebbe divenire anche inferiore a quella dei minerali originari di URANIO e torio.

Questi ultimi, come noto, presentano una sensibile radioattività naturale, rilevante sorgente della radioattività di fondo presente in territori vulcanici o granitici, e con vite medie di decadimento molto lunghe.
In conclusione, si può prevedere che, con un sistema energetico nucleare su larga scala e dotato di tipologie diversificate di reattori, una gestione dei residui adeguatamente coordinata e pianificata permetterebbe di non compromettere con l’attività umana il bilancio globale di radioattività del Pianeta Terra.

In questo scenario non vi è da stupirsi che ormai da diversi anni sia in atto in tutto il mondo un “rinascimento nucleare”, a partire dai grandi paesi in via di sviluppo (Cina, India, ecc.), ma che si va rapidamente estendendo anche ai paesi di più antica tradizione nucleare, benché già dotati di molti impianti in produzione (alcuni dei quali, peraltro, si avvicinano a fine vita).

Al gennaio 2009, vi sono 436 impianti nucleari in operazione in trenta paesi, con una capacità totale di produzione di 372 GWe. Francia, Giappone e Stati Uniti detengono il 57% della capacità mondiale. Nel 2007 sedici Paesi ricavavano più di un quarto della loro energia elettrica da centrali nucleari. Sempre al gennaio 2009, gli impianti nucleari in costruzione sono 43, distribuiti in dodici paesi, i pianificati sono 108 ed i proposti sono 266.

Tenuto conto della più elevata potenza unitaria dei nuovi impianti, si può prevedere che al 2030 la potenza nucleare installata nel mondo raddoppi rispetto alla attuale.

In Asia si impiegano in media 62 mesi per costruire una nuova centrale. Tre fra i 18 reattori divenuti operativi tra dicembre 2001 e maggio 2007 sono stati realizzati in meno di 48 mesi.

Come è noto, diversi paesi, già pionieri del nucleare civile, sotto l’influsso ideologico degli ambientalisti e l’impatto psicologico di incidenti (Chernobyl), negli scorsi decenni avevano stabilito l’abbandono, più o meno graduale, della tecnologia nucleare:
Da qualche anno, tuttavia, a causa della volatilità dei prezzi e della incertezza di approvvigionamento delle fonti fossili, nonché delle crescenti preoccupazioni per la stabilità del clima,  in diversi di quei paesi è avvenuto, o è in corso, un profondo ripensamento (si citano: la Gran Bretagna, che da due anni sta definendo il programma di rinnovamento e potenziamento delle sue centrali nucleari; la Svezia, che recentemente non solo ha rinunciato alla prevista chiusura delle centrali nucleari nel 2010 – fatto in pratica impossibile – ma ha deciso di rinnovare gli impianti aumentandone la potenza ed allungandone la vita utile). Molti altri paesi hanno deciso di rinnovare e potenziare la già esistente dotazione di impianti nucleari: Francia, Giappone, Russia, Cina, India, Corea del Sud, Finlandia, Lituania, Svizzera, Slovacchia, Romania, Ungheria, Bulgaria, Slovenia, ecc.

In fine, oltre trenta altri paesi, nuovi al nucleare, hanno preso in seria considerazione la decisione di entrarvi, in genere con l’aiuto di paesi esperti nel settore, come Francia e Russia; qui si citano soltanto quei paesi che hanno già impianti pianificati o proposti: Bangladesh, Bielorussia, Corea del Nord, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Israele, Kazakistan, Polonia, Tailandia, Turchia, Vietnam. Ma in questo campo l’elenco non può che essere indicativo, in quanto ogni settimana ci sono fatti nuovi.

Per tornare al caso dell’Italia, al fine di evitare un doloroso e costosissimo fallimento dell’iniziativa come quello di vent’anni or sono, è ora indispensabile ed urgente, da parte degli organismi competenti e di tutti gli organi di informazione, una azione formativa completa e trasparente, rivolta a tutta l’opinione pubblica ma in particolare ai decisori politici di tutti i livelli, in quanto determinanti per le decisioni operative.

Ogni Regione dovrebbe valutare in modo oggettivo e responsabile le opportunità di investimenti e di attività ad altissima qualificazione e stabili nel tempo, che conseguirebbero alla installazione di impianti nucleari sul loro territorio (non per niente in paesi come la Francia o la Svezia si assiste ad una gara accanita tra comuni per ospitare impianti nucleari…).

Una analisi preliminare per il Piemonte è stata recentemente pubblicata in un volume curato da Iride Energia.

In essa tra l’altro si dimostra che se il Piemonte accettasse la installazione di impianti nucleari, ne basterebbero due da 1.500 MWe ciascuno (anche riuniti in una sola centrale), i quali, coordinati con le centrali idroelettriche a caduta dell’Arco Alpino, consentirebbero al Piemonte di divenire, in una decina d’anni, una delle poche aree al mondo in grado di produrre praticamente tutta l’energia elettrica senza emettere gas-serra.