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Le centrali nucleari. L'energia che scaturisce dal bombardamento dell'uranio con neutroni. Il processo di 'fissione/fusione nucleare'. Il problema della radioattività e delle scorie.

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Nucleare: ecco le verità - Agostino Mathis -

Ho letto con attenzione la cortese, anche se lunga ed articolata, lettera al Direttore del Signor Alfonso Sabin, pubblicata sul numero del 7 giugno 2009 de “il nostro tempo”, e che fa riferimento ai miei articoli sull’energia nucleare comparsi sul medesimo settimanale nello scorso mese di marzo. Cercherò di rispondere punto per punto.

Rischio black-out

Viene citato il famoso black-out del settembre 2003, che bloccò tutta l’Italia anche per 48 ore: è corretto che la causa iniziale fu la caduta di un albero in Svizzera di notte, su una linea che portava in Italia 1500 megawatt elettrici (MWe); ma subito dopo, non essendo in funzione in Italia un numero adeguato di centrali in “riserva calda” (cioè, pronte ad intervenire), il gestore elettrico italiano chiese quei 1500 MWe alla rete francese, che già stava fornendo all’Italia ben 6000 MWe di potenza di origine nucleare (praticamente il massimo permesso dalle linee transalpine).
Per evitare la destabilizzazione della sua rete, il gestore francese fu costretto ad interrompere completamente l’esportazione verso l’Italia, con le note, gravissime conseguenze per il nostro paese (che dimostrò così a tutto il mondo di sopravvivere, per l’energia, “appeso a un filo”).
E’ evidente che tutto ciò non sarebbe successo se in Italia vi fosse stato un numero adeguato di centrali adatte a fornire di notte il carico di base a bassi costi marginali, come appunto le nucleari.

Che fanno gli altri paesi

Per quanto riguarda i paesi del Nord Europa, penso che sia il caso di dire le cose come stanno, e smitizzare la fama di “verdi” che alcuni di essi sono riusciti a farsi attribuire.
La Germania da oltre un decennio ha investito moltissimo nell’eolico e nel FOTOVOLTAICO con rilevanti incentivi dello Stato: dispone oggi di generatori eolici per oltre 20.000 MWe nominali, che però, avendo un fattore di carico non superiore al 20%, forniscono solo il 7% del fabbisogno elettrico tedesco (le centrali nucleari, con 18.000 MWe, ne forniscono il 30%); gli impianti fotovoltaici arrivano a 4000 MWe nominali, ma in un anno funzionano per l’equivalente di circa 1000 ore a pieno regime (rispetto alle 8760 ore dell’anno): essi pertanto forniscono soltanto un trascurabile 1% del fabbisogno elettrico tedesco.

Gli incentivi statali per queste energie RINNOVABILI nel 2008 sono arrivati a ben otto miliardi di Euro (non per niente dal 2009 il governo Merkel ha ridotto drasticamente tali incentivi).
Questa impostazione “politico-ideologica” per l’energia in Germania, che tra l’altro ha bloccato la costruzione di nuove centrali nucleari e impone il graduale spegnimento di quelle in operazione, comporta che attualmente oltre il 50% dell’energia elettrica è prodotta dal carbone, e che sono in costruzione o in programma decine di nuovi impianti a carbone.
In conclusione il “verde” cittadino tedesco produce in un anno oltre 10 tonnellate di CO2, mentre l’italiano ne produce solo 7!

Se alle prossime elezioni di settembre non vi sarà un cambiamento di rotta, si ritiene che sarà molto difficile conseguire gli obiettivi posti dalla Commissione Europea per la riduzione delle emissioni.
In Austria, la storia del nucleare è almeno altrettanto anomala che in Italia. Già nel 1978 era stato completato un reattore da oltre 700 MWe, di ottima tecnologia, quando poco prima dall’avviamento venne indetto un referendum in cui prevalse il NO per una frazione di percento. Ora l’Austria, pur dotata di molto idroelettrico, dipende fortemente dal gas russo (le crisi Russia-Ucraina la penalizzano ben più che l’Italia) ed è costretta ad importare energia elettrica, anche di origine nucleare, dai paesi vicini (come la Repubblica Ceca o la Slovacchia, dove tra l’altro l’Enel sta gestendo e costruendo diversi impianti nucleari).

Come noto, oltre all’Austria diversi altri paesi, già pionieri del nucleare civile, sotto l’influsso ideologico degli ambientalisti e l’impatto psicologico di incidenti (Chernobyl), negli scorsi decenni avevano stabilito l’abbandono, più o meno graduale, della tecnologia nucleare.

Da qualche anno, tuttavia, a causa della volatilità dei prezzi e della incertezza di approvvigionamento delle fonti fossili, nonché delle crescenti preoccupazioni per la stabilità del clima,  in diversi di quei paesi è avvenuto un profondo ripensamento. Si citano: la Gran Bretagna, che da due anni sta definendo il programma di rinnovamento e potenziamento delle sue centrali nucleari; la Svezia, che recentemente non solo ha rinunciato alla prevista chiusura delle centrali nucleari nel 2010 – fatto in pratica impossibile per il funzionamento del paese –, ma ha deciso di rinnovare gli impianti aumentandone la potenza ed allungandone la vita utile: in questo modo la Svezia continuerà a produrre praticamente tutta l’energia elettrica senza emissioni, da fonte idraulica e nucleare, ed intende alimentare con questa energia anche buona parte dei trasporti (con veicoli ibridi caricabili alla rete) e dei consumi domestici (con impianti a pompe di calore).

La Finlandia, certamente da sempre molto sensibile ai problemi ambientali, fin dal 1997 aderì all’iniziativa che portò poi al PROTOCOLLO DI KYOTO, ed avviò un ampio dibattito a tutti i livelli su come conseguirne gli obiettivi. Tenuto conto dei limiti per le nuove RINNOVABILI in quel paese (poco vento, meno sole), apparve chiaro che l’unica soluzione era proseguire sulla via del nucleare (già erano operativi quattro reattori).

Nel 2002 venne così decisa la costruzione del reattore EPR della francese Areva nel sito di Olkiluoto. I lavori iniziarono nel 2005, e proseguono sia pure con ritardi ed aumento dei costi, come citato nella lettera al Direttore; gli inconvenienti sono dovuti al fatto che si tratta di un impianto “testa-di-serie” (il primo EPR), per di più appaltato per gara a molte ditte diverse, alcune delle quali non si sono dimostrate all’altezza degli standard nucleari, causando il rifacimento di parti dell’impianto.

Ciononostante, le compagnie elettriche finlandesi hanno proposto al governo la costruzione di altri due impianti nucleari, destinati a fornire non solo energia elettrica, ma anche riscaldamento delle città col calore di scarico (si noti che la Finlandia ha solo cinque milioni di abitanti, e disporrà così di sette reattori nucleari).

Gli Stati Uniti, poi, fanno caso a sé, ma, come del resto in altri settori, non sono certo un caso esemplare.

La prima crisi energetica, negli anni 1970, indusse moltissime aziende elettriche, anche piccole ed inesperte, a costruire impianti nucleari: furono avviati ben 200 progetti, in gran parte diversi tra di loro.

Negli anni successivi, da un lato il crollo dei prezzi del petrolio e delle altre fonti fossili, e dall’altro la tendenza generalizzata alla privatizzazione anche per infrastrutture strategiche come quelle energetiche, comportarono la sospensione di circa la metà di quei progetti, con un grave danno economico e di immagine per l’industria nucleare.

La stasi nella realizzazione di nuovi impianti nucleari che si è verificata, almeno in Occidente, negli ultimi vent’anni è in gran parte dovuta a queste ragioni.

Nel frattempo, tuttavia, per molti degli impianti esistenti è grandemente migliorata la producibilità, e spesso sono anche state aumentate la vita utile e la potenza nominale: negli ultimi 15 anni, ciò ha equivalso all’entrata nella rete USA di una ventina di nuovi impianti da 1000 MWe (con grande vantaggio per i proprietari, essendo gli impianti completamente ammortizzati).

Anche in USA riprende ora la costruzione di nuovi impianti: la Nuclear Regulatory Commission ha già ricevuto domanda di licenza di costruzione e operazione per 33 nuovi reattori (nel quadro della legge per l’energia dell’agosto 2005).

In questi giorni l’Amministrazione Obama ha scelto le quattro società che rilanceranno la costruzione delle centrali nucleari in USA: si tratta di sette reattori, da completare nel 2015-2016, per un investimento previsto di 40 miliardi di dollari (di cui 18,5 miliardi come prestiti garantiti dallo Stato).

Cambia anche la strategia a lungo termine: mentre l’Amministrazione Carter, per timore della proliferazione nucleare, aveva vietato il ritrattamento del combustibile irraggiato, che quindi doveva essere conservato presso le centrali per decenni prima di essere sistemato in depositi di grandi dimensioni (come doveva essere Yucca Mountain), ora l’Amministrazione Obama rilancia lo sviluppo dei processi di ritrattamento e trasmutazione del materiale irraggiato, così da ridurre drasticamente i volumi e le vite medie dei residui radioattivi e recuperare i preziosi elementi fissili e fertili in esso contenuti.

Quindi anche gli USA si allineano alla strategia perseguita costantemente dai paesi più efficacemente impegnati nel nucleare, come la Francia, il Giappone e la Russia.