Poco dopo l’incidente di Three Miles Island nel 1979, l’industria nucleare americana, già da tempo affetta da un calo preoccupante degli ordinativi, avviò una profonda riflessione che non solo riguardò la ricerca delle cause, anche remote, di quanto accaduto ma si spinse anche ad indagare le modalità per una possibile rivitalizzazione del settore. Mentre sul primo punto fu possibile rapidamente dare delle risposte soddisfacenti, che si tradussero in una serie di provvedimenti dimostratisi nel tempo più che adeguati per migliorare la sicurezza degli impianti, sul secondo aspetto fu necessario lavorare in profondità, e ciò richiese più tempo.
Le principali cause della crisi furono così identificate:
• Processo autorizzativo condotto in parallelo alla realizzazione degli impianti
• Mancanza di standardizzazione
• Eccessivi costi ed extra-costi in corso di costruzione
I rimedi individuati:
• Evitare “le autorizzazioni in corso d’opera”, sviluppando il progetto dell’impianto al livello di dettaglio richiesto dal regolatore prima di ricevere un permesso di costruzione e/o di esercizio;
• Concordare tra le utilities un set di requisiti comuni, che permettesse di sviluppare progetti standard, piuttosto che progetti “tailor made” come quelli degli anni ’60 e ’70;
• La combinazione di queste due linee d’azione avrebbe dovuto comportare anche la soluzione del problema degli extra-costi: progetti pre-autorizzati non sarebbero stati esposti a rifacimenti in corso d’opera; progetti standardizzati avrebbero beneficiato di una curva di apprendimento (in analogia a quanto stava egregiamente dimostrando la Francia con il suo programma) e di una comunanza di componenti (e quindi di minori costi di esercizio e manutenzione.
A metà degli anni ’80, le utilities americane, il Department of Energy (DOE) e l’Electric Power Research Institute (EPRI) decisero di lanciare l’ Advanced Light Water Reactors (ALWR) Program: l’idea era di selezionare alcuni progetti di reattore da sottomettere all’esame della Nuclear Regulatory Commission (NRC) ed ottenere una “CERTIFICAZIONE”, così da rassicurare gli investitori che avessero voluto avviare una nuova costruzione.
Per implementare il programma, fu formato l’ALWR Steering Committee, al quale ben presto si associarono anche utilities europee (tra le quali ENEL), giapponesi e coreane. Questo gruppo sviluppò un insieme di requisiti atti, a giudizio dei membri, a soddisfare con ampi margini le norme di sicurezza vigenti e nello stesso tempo ad assicurare costi dell’energia competitivi rispetto ad altre fonti, quale carbone o gas. Nacque così l’ ALWR Utility Requirements Document (URD), sottoscritto da tutti i membri quale base accettabile e riconosciuta per futuri ordinativi. I principali vendors vennero invitati ad utilizzarlo come base per lo sviluppo dei nuovi progetti, cofinanziati da DOE, utilities e vendors.
I progetti proposti sono quelli oggi noti come reattori di terza generazione. Essi furono raggruppati in due categorie:
• I cosidetti impianti evolutivi, quali l’Advanced Boiling Water Reactor (ABWR) della General Electric o il System 80+ della Combustion Engineering: essi sono basati sull’ottimizzazione delle soluzioni progettuali alla base dei reattori già in esercizio;
• Gli impianti passivi, quali l’AP600 della Westinghouse o il Simplified Boiling Water Reactor (SBWR) della General Electric: si trattava di impianti di taglia ridotta (600 MWe) per meglio sposare le esigenze di crescita dell’installato, che ricorrevano ad un’estensiva semplificazione dei sistemi di sicurezza, facendo assegnamento su fenomeni fisici elementari, quali la circolazione naturale, l’iniezione per gravità ecc., piuttosto che sui classici sistemi basati su circolazione forzata tramite macchine motrici (pompe, diesel generatori) altamente ridondanti per raggiungere l’affidabilità richiesta.
Questi ultimi tipi d’impianto erano decisamente innovativi e presentavano significativi ostacoli nel processo di licensing: per essi fu quindi necessario predisporre una estensiva campagna di verifiche sperimentali, nonché mettere a punto nuovi strumenti di calcolo, a loro volta certificati tramite simulazioni sperimentali.
Mentre General Electric, dopo qualche anno, decideva di sospendere il programma di sviluppo dell SBWR in mancanza di prospettive commerciali a breve termine, l’AP600 completava nel dicembre del 1999 il suo iter di approvazione, ricevendo la CERTIFICAZIONE NRC (così come già avvenuto per gli impianti evolutivi). Nasceva così il primo reattore di terza generazione avanzato.
L’AP600 era un progetto senz’altro competitivo con gli altri reattori di terza generazione: ma nel frattempo il prezzo del gas era sostanzialmente diminuito e così gli ALWR non erano più competitivi con i moderni cicli combinati.
La risposta data da Westinghouse si basò sui significativi margini di sicurezza che la sperimentazione estensiva aveva evidenziato nel progetto AP600: fu quindi possibile aumentare, con limitate modifiche, la potenza dell’impianto fino a 1100MWe. Nasceva così l’AP1000, che fu sottomesso ad un nuovo processo approvativo, questa volta facilitato dal tanto lavoro già effettuato sul precedente modello: l’AP1000 ha quindi ricevuto la Design Certification della NRC nel Dicembre del 2005.
Mentre tutto ciò accadeva oltre Atlantico, anche l’Europa si trovava, con un certo ritardo, ad affrontare una situazione per molti versi simile, ma certo non identica. In realtà, solo dopo Chernobyl l’Europa si rese conto che non sarebbe stato più praticabile costruire centrali di seconda generazione, come dimostrato dalla moratoria nelle nuove costruzioni dichiarata da quasi tutti i Paesi ( e nel caso dell’Italia addirittura dalla decisione di chiudere gli impianti esistenti e di sospendere la costruzione, già molto progredita, di impianti di concezione recente quale Montalto di Castro).
Anche in Europa si pensò allora di avviare un processo di standardizzazione, analogo a quello già in corso in America. Fu costituito un raggruppamento delle maggiori utilities dei vari Paesi e si impostò la stesura degli European Utilities Requirements (EUR), cercando di individuare le migliori prassi in vigore nei vari Paesi e scegliendole come requisito di riferimento comune.
Il processo fu in qualche misura ben più complesso che negli USA: in Europa infatti i requisiti di sicurezza erano stati definiti, fin dall’inizio, su base nazionale ed in alcuni casi rispecchiavano approcci notevolmente differenti fra le varie Autorità, che si erano andati sviluppando e radicando nei singoli Paesi negli anni ’70.
Ciò comportava non solo basi di partenza molto diverse, ma anche un’oggettiva difficoltà a trovare nuovi punti di intesa: non esisteva infatti, in Europa, un interlocutore unico, quale l’NRC, col quale confrontarsi, né si erano all’epoca manifestati quei processi di coordinamento tra le varie Autorità nazionale che hanno preso piede a partire da fine anni’90.
Comunque, l’interesse dei vari players a cogliere le opportunità di superamento delle barriere nazionali, che la liberalizzazione del mercato dell’energia a livello comunitario cominciava ad offrire, costituì una sufficiente spinta per raggiungere l’obiettivo: nei primi anni ’90 vedeva così la luce la prima edizione degli EUR.
Anche in questo caso, in parallelo alla stesura dei requisiti, si era deciso di tradurre il tutto in progetti veri e propri: piuttosto che chiedere di sviluppare nuovi progetti, si pensò bene, anche in considerazione del ritardo temporale in confronto con il processo in corso negli USA, di procedere alla valutazione di conformità con i requisiti da parte dei progetti candidati.
Primo fra tutti, l’European Pressurized Reactor (EPR) che già a metà anni ’90 era stato sviluppato da Framatome e Siemens-KWU sulla base di requisiti congiuntamente definiti da EdF e dalle utilities tedesche.
Il reattore sviluppato si collocava nella linea dei reattori evolutivi, mirando a combinare il meglio delle soluzioni tecniche elaborate dalle due industrie per i rispettivi mercati nazionali degli anni ’80 (il Palier N’4 in Francia e il Konvoy in Germania).
In particolare, l’esperienza pregressa si rifletteva nella decisione di aumentare la taglia d’impianto al massimo, raggiungendo una potenza nominale di 1650 MWe, grazie all’utilizzo dei componenti più grandi disponibili nelle due linee di prodotto. Per i sistemi di sicurezza veniva invece scelto un approccio classico, ricorrendo ad una configurazione in quattro treni, separati e ridondanti.
Peraltro, grande attenzione era stata posta da subito, sulla scia dell’incidente di Chernobyl, alla mitigazione degli incidenti che potessero degenerare in un’eventuale fusione del nocciolo, proponendo alcune soluzioni progettuali decisamente innovative, come il cosidetto “core catcher”, cavità sotto reattore preposta a raccogliere l’eventuale materiale fuso fuoriuscito dal recipiente in pressione e raffreddarlo opportunamente prima che possa danneggiare il sistema di contenimento.
Anche altri tipi d’impianto sono stati peraltro validati a fronte degli EUR, indicando, per ciascuno di essi, le eventuali non conformità. Ad oggi, esistono valutazioni di conformità per l’ AP1000, l’AES92 (il reattore pressurizzato di Rosatom), l’ABWR della General Electric, il BWR 90/90+ della ASEA (ora Westinghouse) e l’SWR,un reattore bollente commercializzato da AREVA (cfr fig.1).
Figura 1 - Impianti validati a fronte degli EUR (seguendo l’ordine da sinistra a destra): EPR (European Pressurized Water Reactor), AP1000 (Advanced Pressurized Water Reactor), VVER (Water-Cooled Water-Moderated Power Reactor), ABWR (Advanced Boiling Water Reactor), BWR90/90+ (Boiling Water Reactor), SWR (SiedeWasser Reactor).