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Le centrali nucleari. L'energia che scaturisce dal bombardamento dell'uranio con neutroni. Il processo di 'fissione/fusione nucleare'. Il problema della radioattività e delle scorie.

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Il costo della menzogna - Ettore Ruberti -

Riprendiamo il titolo di un famoso libro del compianto professor Silvestri, scritto in occasione della disastrosa uscita del nostro paese dal novero dei produttori di energia nucleare, per fare il punto sulla critica situazione energetica italiana e sulle prospettive realistiche che si possono ipotizzare, anche in rapporto alla situazione internazionale.

Purtroppo il nostro Paese non soltanto è uscito dal comparto nucleare, ma di fatto ha anche rinunciato ad operare scelte coerenti, serie e strategiche in tutto il settore energetico per via della generale inerzia decisionale dei politici e della mancata sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

L’Italia è l’unico Paese dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) che non ha un piano energetico nazionale e dipende per l’84% del suo fabbisogno dall’importazione. Al netto da tasse ed imposte, gli Italiani pagano l’energia elettrica il doppio dei francesi, il triplo degli svedesi ed il sessanta per cento più della media europea.

L’abbandono del nucleare
La catastrofe di Chernobyl del 1986 ha provocato, ovviamente, nel pubblico non specializzato e non solo del nostro Paese, una reazione di rifiuto verso la produzione energetica mediante la fissione dell’ATOMO.

Mentre però negli altri Paesi si cercò di diffondere un’informazione corretta e la comunità scientifica si dimostrò compatta e seria nei confronti della classe politica, in Italia ciò non avvenne ed i politici, in seguito agli esiti scontati di un referendum popolare, impostarono una nuova politica energetica dirottandola verso una diffusione massiccia del GAS NATURALE.

Venne così imposta una moratoria di cinque anni, che poi sono diventati ventidue, nell’utilizzo delle quattro centrali nucleari di cui disponevamo, Trino Vercellese in Piemonte, Caorso in Emilia, Latina nel Lazio e di Sessa Aurunca sul Garigliano in Campania.

Per quanto riguarda il referendum, d’altra parte, va sottolineato che esso non metteva in questione la produzione energetica tramite FISSIONE NUCLEARE (la quale non poteva essere oggetto di quesito referendario, in quanto l’articolo 75 della Costituzione vieta esplicitamente di sottoporre a referendum materie frutto di accordi internazionali, e la produzione energetica per mezzo della FISSIONE NUCLEARE e fra queste), ma proponeva tre quesiti piuttosto nebulosi e di difficile comprensione anche per gli addetti ai lavori.

Tali quesiti, in effetti, riguardavano:

  1. l’abrogazione delle norme che consentivano al Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso non lo avessero fatto le Regioni nei tempi previsti;
  2. l’abrogazione dei compensi ai Comuni che accettavano i grandi insediamenti energetici
    nucleari o a carbone;
  3. l’abrogazione della norma che consentiva all’ENEL di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero.

Questo nonostante la prima Conferenza Nazionale sull’Energia avesse raccomandato il contrario e nonostante l’allora Presidente del Consiglio Craxi avesse rassicurato la Comunità Europea sul non abbandono della produzione elettrica per mezzo dell’energia nucleare da parte dell’Italia.

L’abbandono della produzione energetica per mezzo della FISSIONE NUCLEARE e la conseguente dispersione di un pregevole capitale tecnico-scientifico, industriale ed umano non hanno comportato la rinuncia all’utilizzo di energia prodotta con il nucleare: semplicemente, hanno fatto sì che anche questa diventasse un prodotto di importazione.

Attualmente, infatti, circa il 17,8 % dell’energia elettrica consumata in Italia è prodotta (all’estero) con il nucleare.

Si potrebbe obiettare che la moratoria, così com’è stata decisa, può essere abrogata. Una decisione in tal senso, comunque, dovrebbe necessariamente comportare un profondo ripensamento della politica energetica nazionale.

Al contrario di quanto frequentemente “favoleggiato” in Italia, la produzione di energia elettrica in Europa vede il nucleare da fissione al primo posto, con un 35 % del totale, seguito dal carbone.

Nel nostro Paese, invece, al primo posto è il GAS NATURALE, che copre oltre il 50% del totale, seguito dagli olii combustibili.

Ma partiamo dall’inizio. L’Italia è un paese povero di risorse energetiche e di materie prime, altamente popolato e con un livello di vita della popolazione abbastanza elevato, quindi con un consumo energetico significativo.

La produzione energetica nazionale è ottenuta per la grande maggioranza da petrolio e derivati e dal GAS NATURALE, combustibili in gran parte importati.

Importiamo anche una quota significativa di energia elettrica, prodotta oltralpe con impianti nucleari.

Si parla moltissimo dello sviluppo e della diffusione delle energie alternative, ma anche queste stentano a decollare. Escludendo i Paesi di nuova acquisizione, tra i 15 che fino a qualche anno fa costituivano la Comunità Europea, siamo gli ultimi per installato.

A titolo di esempio, giova ricordare che per ogni metro quadro di pannello solare (sia FOTOVOLTAICO che termico) installato nel nostro Paese, in Norvegia e in Germania ve ne sono 30.