La situazione
Il recente acuirsi dell’emergenza Campania non ha fatto altro che evidenziare una situazione più complessa che abbiamo avuto modo di poter segnalare in passato anche grazie alla presentazione di uno studio (che ogni due anni Veolia presenta a livello internazionale) il “Panorama Mondiale dei Rifiuti”. Si tratta di una fotografia per tutti i paesi del mondo relativamente al loro sistema di gestione dei rifiuti.
L’ultima edizione del 2009 evidenziava che l’Italia è l’unico paese fra quelli occidentali sviluppati ad avere un sistema di smaltimento dei rifiuti largamente (anche se in calo) dipendente dalle discariche. Rispetto a Germania e Francia la situazione è la seguente:
Fonte: Panorama Mondiale dei Rifiuti 2009 Veolia - Cyclope
In Italia si recupera in modo differenziato e a fini energetici ancora troppo poco rispetto a paesi simili per economia, popolazione e sensibilità ambientale. Ancora troppo spesso i rifiuti vanno in discarica (48%), un’opzione non solo ambientalmente errata ma anche insostenibile da un punto di vista del consumo del territorio e della possibilità di continuare a scavare in nuovi siti (come l’esperienza campana di questi mesi ci insegna).
L’Italia, peraltro, dal punto di vista delle possibili crisi non è solo la Campania. Una recente inchiesta di Panorama evidenziava – sulla base dei dati relativi alla quantità di rifiuti prodotti e alle modalità usate per il loro trattamento – un quadro in cui regioni molte regioni, da Sud a Nord, erano prossime al rischio del crollo del sistema.
Un quadro quindi quello italiano in cui la tradizionale prevalenza della discarica, la difficoltà a realizzare nuove infrastrutture industriali, i lunghi tempi amministrativi ed uno scenario normativo complesso e altamente variabile nel tempo hanno creato una situazione molto delicata.
Nella situazione di tensione e difficoltà che da almeno 20 anni caratterizza il sistema di gestione dei rifiuti in Italia (le prime situazioni di emergenza rifiuti risalgono all’inizio degli anni ’90) si sono andati delineando una serie di elementi caratteristici: solo alcune regioni (che oggi come la Lombardia o l’Emilia non presentano criticità) hanno operato scelte coraggiose e lungimiranti che hanno permesso di rafforzare il sistema; operatori internazionali ed industriali hanno progressivamente abbandonato l’Italia lasciando il campo spesso a piccole realtà aziendali radicate in determinati territori; l’influenza e la gestione politica sulle scelte strategiche industriali hanno creato strozzature e rigidità che si traducono spesso in fonte di rischi per il sistema nel suo complesso.
Fonte: Panorama ottobre 2010, elaborazione su dati Osservatorio Ispra 2009
La crisi Campania
Innanzitutto va detto che la crisi e l’emergenza non sono necessariamente un male se permettono di creare quelle condizioni che altrimenti difficilmente si creano. Capacità di superamento delle ostilità locali, coraggio politico nel definire scelte e strategie di lungo periodo, definizione di programmi e obiettivi stabili.
Queste tre condizioni sono indispensabili per poter pianificare e realizzare qualsiasi sistema industriale (a prescindere delle tecnologie e dalle opzioni che si vogliono realizzare).
Quando ciò è successo – come nella Lombardia di inizio anni ’90 - sono stati realizzati gli impianti necessari, si è spinto sulla raccolta differenziata ed oggi quella Regione, oltre a non aver problemi ed urgenze immediate, presenta un mix di trattamento del tutto in linea con gli altri paesi europei.
La cronaca di questi giorni dimostra chiaramente che le emergenze ed i problemi non sono di natura tecnica o gestionale ma sociali. Sono le scelte politiche o la volontà di utilizzare lo scomodo tema rifiuti come arma di confronto politico alla base delle difficoltà che si riscontrano nel prefigurare una soluzione.
Detto questo il problema dei rifiuti è ovviamente risolvibile da un punto di vista tecnico e gestionale e si tratta di soluzioni ampiamente sperimentate e consolidate.
Una valutazione sul futuro
L’Italia è un paese che nel prossimo futuro dovrà sicuramente investire seriamente per porre le basi di un sistema completo e sostenibile di trattamento dei rifiuti.
Secondo le stime dell’Osservatorio sui Costi del Non Fare, prendendo per buoni gli obiettivi di legge sulla percentuale di raccolta differenziata al 65% (anche se oggi la media nazionale è al di sotto del 40%) e considerati gli attuali tassi di crescita della produzione dei rifiuti è possibile calcolare conservativamente la necessità di realizzare almeno 50 nuovi termovalorizzatori, ciò significa raddoppiare il numero di impianti oggi esistenti.
Probabilmente facendo ricorso ad una pianificazione più attenta e coordinando meglio il lavoro di operatori ed enti locali potrebbero bastarne molti meno, anche solo la metà. Alcuni saranno impianti ex novo, altri sostituiranno una parte della dotazione impiantistica attuale ormai giunta a fine vita.
Considerando che ogni impianto mediamente costa intorno ai 100 milioni di € è evidente come nei prossimi 10/15 anni si possono aprire scenari interessanti di sviluppo che attivino un quantitativo importante – ma anche realistico – di investimenti e creino occupazione e occasioni di crescita per chi dispone di tecnologie all’avanguardia.
Da un punto di vista industriale quindi il settore dei rifiuti in Italia appare molto interessante. Purtroppo però questo scenario si scontra con due ordini di problemi: uno sociale e amministrativo e l’altro di tipo finanziario.
Dal primo punto di vista è evidente che un iter di 7 anni per poter autorizzare e costruire un impianto è un orizzonte temporale al cui interno un’azienda non riesce a gestire le troppe variabili che si muovono. Consenso e opposizione locale, repentini cambiamenti di norme, mutamenti nello scenario politico locale (con le relative ripercussioni sull’iter autorizzativo) sono una corsa ad ostacoli che rischia di scoraggiare chiunque voglia realizzare un piano industriale.
Peraltro ancora troppo spesso in Italia ci si confronta sui temi delle infrastrutture in chiave ideologica o comunque sulla base di argomentazioni emotive. È il caso – ad esempio delle tanto citate nano polveri. Uno studio con misure operative su tre impianti di incenerimento indica che le nano particelle di un termovalorizzatore sono pari a quelle di un motore diesel col il filtro anti PARTICOLATO e assai inferiori ad una stufa a pellet. Lo stesso si può dire della diossina dove i dati attuali sono poco più che misurabili in tracce mentre spesso si leggono dati – riferiti come attuali – che con ogni probabilità di riferiscono ad impianti vecchi e di grandi dimensioni che oggi nessuno più si sognerebbe di realizzare.
Ma l’aspetto più ostico è sicuramente quello finanziario. Oggi per effetto della crisi economica le aziende hanno visto drasticamente ridursi le loro capacità di auto finanziare il costo degli investimenti. Banche e investitori, a loro volta, sono sempre più restii ad investire su progetti che hanno tempi lunghissimi di realizzazione e che presentano termini di ritorno dell’investimento comunque posticipanti di alcuni anni.
È allora indispensabile ipotizzare sia nuovi modelli di gare e di contratti che regolano questo tipo di settore e gli investimenti che vi si realizzano. Come sta avvenendo anche in altri paesi come la Francia, si dovrebbero verificare le modalità con le quali investitori istituzionali possano utilmente partecipare ad investimenti di servizio pubblico come i sistemi di gestione dei rifiuti.