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La sostenibilità ambientale e il “modello alimentare mediterraneo” - Paola Sarcina -

La sostenibilità ambientale e il “modello alimentare mediterraneo”:
strumento di un rinnovato approccio culturale per assicurare un futuro a noi e alla Terra

Cosa si intende per cultura mediterranea? Nell’accezione che qui usiamo, il termine cultura si riferisce a una esperienza di vita comune, che dà origine ad elaborazioni concettuali ed estetiche specifiche, che hanno unito nei secoli passati, e tutt’ora ancora in parte uniscono, i popoli che hanno abitato le terre che si affacciano sul Mediterraneo. Questo mare, circoscritto geograficamente da due stretti ad est e ad ovest, è stato scenario nel corso dei millenni dell’incontro (e spesso scontro) di culture e civiltà diverse, in un processo di continuo scambio di beni materiali, idee, valori, tradizioni, credi religiosi.


Il Mediterraneo abbraccia un ampio territorio, spesso così differente dal punto di vista geografico e climaticamente relativamente omogeneo, che ha avuto anche forti elementi di condivisione e comunanza, soprattutto nella rilevanza che la maggior parte dei popoli che lo abitano, ha dato all’alimentazione e alle modalità di coltivazione, preparazione e consumazione del cibo, quale componenti essenziali della loro identità culturale. Tutti elementi strettamente connessi con l’uso del territorio e con l’impatto che l’attività umana ha avuto quindi sull’ambiente, segnando anche il paesaggio, non solo quello naturale selvatico, ma soprattutto quello agricolo e urbano.

Gli studi più recenti hanno dimostrato come lo “stile di vita mediterraneo”, o ancora meglio il “modello alimentare mediterraneo”1 – prevedendo un elevato consumo di verdura, frutta, legumi, frutta a guscio, olio di oliva e cereali (in passato prevalentemente integrali); un moderato consumo di pesce, formaggi e vino; un basso consumo di carne e di grassi saturi – oltre a rappresentare una scelta oculata per la protezione dalle più diffuse malattie croniche, sia in grado di attivare anche una azione di gestione sostenibile del territorio, attraverso il consumo di prodotti locali, garantendo anche la salvaguardia di tradizioni culturali e alimentari, che rischiano oggi di scomparire, privandoci non solo di un patrimonio inestimabile di esperienze popolari consolidate nei secoli, ma anche portandoci ad accogliere modelli e stili di vita che nulla hanno a che vedere con la nostra storia e cultura e soprattutto con la natura intrinseca del nostro territorio.

Quest’ultimo oggi più che mai viene stravolto e piegato a logiche di mercato e profitto, in un processo di perdita di patrimonio naturale ma anche culturale, spesso irreversibile.

Le culture del Mediterraneo che dal punto di vista delle scelte alimentari sono le più sane, sono appunto quelle che prestano attenzione non solo ai cibi, ma alle loro sostanze nutritive; che si preoccupano non solo della loro composizione, ma anche dell’origine di provenienza dei loro ingredienti; che si curano della qualità totale, ma anche delle occasioni di socialità; danno rilievo alle scelte personali, così come alla responsabilità sociale; alla dimensione estetica del cibo, ma anche alla sua rilevanza sacrale.

Tutto questo però oggi pare non sia colto dalle nuove generazioni, in particolare in paesi quali la Spagna e l’Italia, culla originaria del “modello alimentare mediterraneo”. Proprio i giovani non sembra si rendano conto del patrimonio a loro lasciato dalle precedenti generazioni, e tendono ad indirizzare le loro scelte alimentari verso alimenti caratterizzati da elevati contenuti di grasso. Tutto questo non ha conseguenze significative solo sulle nostre scelte personali alimentari e quindi sul nostro fisico e sulla nostra salute; tutto questo ha un rilevante significato anche in termini di scelte culturali e viene ad incidere poi su quello che è il nostro impatto “ambientale”.

Come recuperare il significato della “mediterraneità”? Come aiutare anche le giovani generazioni a capire il POTENZIALE che questo “modello” contiene in sé nel ripristinare “uno stile di vita sano e sostenibile”, non solo per noi ma anche per l’ambiente in cui viviamo? Come riportare tale modello al centro delle nostre scelte comportamentali?

Credo che lo si può fare solo mettendo al centro della realtà produttiva ed economica l’approccio culturale. Ciò significa proteggere la varietà territoriale locale, conservando la ricchezza delle identità di specie naturali, senza rinunciare a possibili contaminazioni; rafforzare il capitale emotivo legato alle radici, alle tipicità locali, alla localizzazione territoriale, esaltandone comunque anche gli aspetti umanamente universali. Questo significa trasferire alle future generazioni le conoscenze e il saper fare del mondo contadino, tramandato di generazione in generazione, valorizzandoli come giacimenti di straordinaria ricchezza culturale, meritevole di rispetto, sostegno e attenzione. Questo significa tornare a un sano rapporto con il territorio e con il luogo agricolo di produzione della materia prima, nel rispetto dei cicli naturali. Partire dall’approccio culturale significa recuperare usi e costumi antichi, come anche sapori antichi, rinnovandoli - perché no - in modo creativo in linea con il gusto contemporaneo, mettendo al centro le persone e le loro emozioni; ri-orientando gli stili di vita e di consumo, verso modalità più sostenibili per la salute, l’ambiente e l’integrità sociale.

Educare poi, attraverso l’approccio culturale, a una nuova ecologia dell’alimentazione, significa fare bene a noi e all’ambiente. In particolare, partire dall’educazione alimentare può facilitare un processo di crescita di attenzione e coscienza anche rispetto ai danni, spesso irreparabili, che l’INQUINAMENTO e il modello di consumo sfrenato delle risorse, creano sull’intero ECOSISTEMA naturale.

Non a caso, sempre più applicato dagli studiosi ed esperti del settore è il modello della doppia piramide alimentare-ambientale, a cui tutti, e in particolare le generazioni più giovani, dobbiamo prestare attenzione. Infatti dalla doppia piramide si evince chiaramente come proprio l’impiego eccessivo di quegli alimenti che dovrebbero essere utilizzati con minore FREQUENZA, per le loro note conseguenze sulla salute – quali ad esempio la carne rossa – determina un grave impatto sull’ambiente e sulle risorse naturali, con la conseguenza di una consistente riduzione delle prospettive di vita delle future generazioni. Mentre il “modello mediterraneo” si fonda proprio sull’uso di quegli alimenti che nel confronto tra le due piramidi, vincono sia sul piano della sostenibilità alimentare, che di quella ambientale.

Infatti i cibi più salutari sono proprio quelli che implicano minore impatto in termini di consumo delle risorse naturali (terra, acqua, ecc.) ed emissioni (si collocano nella base della piramide alimentare e nel vertice della piramide ambientale). Scegliendo il “modello mediterraneo” e preferendo l’uso di prodotti del territorio, per lo più a Km0, si sottolinea ulteriormente una coscienza di consumo responsabile, riducendo anche i consumi di emissioni legati ai trasporti delle merci, in ambito nazionale ed internazionale.



La piramide dell’impronta idrica degli alimenti


L’illusione di benessere diffusa dal modello del consumismo globale, non tiene conto infatti dell’impatto che un tale stile di vita ha sull’ambiente e delle conseguenze che dovranno affrontare le generazioni future nella gestione delle sempre più scarse risorse naturali. Salute delle persone e tutela ambientale sono inscindibili. Qualità della vita e tutela ambientale sono indissociabili.

Il processo di GLOBALIZZAZIONE ha imposto un modello economico per cui non si produce più per il fabbisogno del territorio adiacente, ma per vendere su un mercato che non conosce frontiere, indipendentemente dalle necessità locali e senza tenere in considerazione i costi energetici, economici ed ecologici che questo comporta.


L’impatto ambientale del ciclo di produzione alimentare


È importante invece coltivare nel paese e nell’area in cui si risiede, valorizzando così anche il territorio. Diversificare l’agricoltura di prossimità avrebbe la conseguenza positiva di offrire alle città cibi freschi e di stagione, con basso impatto ambientale – minimizzando i costi di trasporto – e con una riduzione anche dei costi di conservazione. La coscienza della necessità di ridurre le distanze tra produttore e consumatore, comporta un minore consumo energetico, un minore costo ambientale e risponde alla necessità di agire consapevolmente anche nella scelta dei cibi, nella volontà di cambiare modo di pensare, cultura, stile di vita, gerarchia dei valori e modelli sociali.

Valorizzare la campagna agricola significa anche porre attenzione al paesaggio e sostenere la biodiversità; curare l’ambiente attraverso la regimentazione e l’uso appropriato delle acque, difendendo il suolo dall’erosione e compensando l’ANIDRIDE CARBONICA prodotta nelle aree urbane. Integrare in agricoltura, come in molte parti si sta facendo, le innovazione dell’industria verde e dell’energie RINNOVABILI, può apportare infine un progresso tecnologico a basso impatto ambientale.

Valorizzare la campagna è anche una azione culturale: significa conservare la memoria storica delle tradizioni, recuperare le testimonianze storiche di grande valore di cui sono spesso ricche le aree rurali (castelli, masserie, abbazie, ecc.). Tutto ciò costituisce un insieme in cui storia, cultura, tradizione si declinano con agricoltura, alimentazione, economia, servizi, tempo libero, educazione delle giovani generazioni. Quindi significa incidere sul tessuto sociale, con un impatto positivo anche per i residenti delle aree urbane.

Poiché vi è sempre stato un profondo legame tra cibo e cultura, è proprio ripartendo da tale legame, che si può rifondare a ritroso il nostro legame con la terra e quindi con l’ambiente che ci circonda. Il cibo infatti incide in modo marcato sulla vita degli uomini, perché come la disponibilità di acqua, ne garantisce la sopravvivenza; dall’altro lato gli stili di vita alimentari riflettono e condizionano gli stili di vita individuali e le forme di relazione tra le persone. Questo è tanto più evidente nel modello alimentare mediterraneo. E da qui torna primario il valore di riscoprire la nostra cultura storica, per rifondare e riformulare il nostro stile di vita. Ad esempio, ancora nell’Alto Medioevo era viva la tradizione romana che – su
modello di quella dell’antica Grecia – identificava nel pane, nel vino e nell’olio i prodotti tipici della civiltà contadina e agricola. Così come tali prodotti divennero anche simboli della fede cristiana. La civiltà araba poi fuse insieme questi elementi della tradizione romano-cristiana, attraverso un processo di rinnovamento agrario, aggiungendo nuovi ingredienti alla dieta italica: la canna da zucchero, il riso, gli agrumi, la melanzana, le spezie, ecc. La cultura araba partecipò all’integrazione della cultura mediterranea che aveva già avviato Roma secoli addietro, fornendo un significativo apporto in termini di ingredienti e scelte alimentari. Se come abbiamo visto le verdure sono state e sono ancora oggi elemento centrale del modello alimentare mediterraneo, non da meno lo sono i cereali, sin dai tempi più antichi ingrediente immancabile sulla tavola quotidiana, soprattutto dei più poveri. Il Mediterraneo, come abbiamo già detto, è stato ed è crogiuolo di civiltà, di stili di vita e credenze. La contaminazione tra le diverse culture è una delle sue peculiarità ed è un elemento primario di ricchezza. Il modello mediterraneo non indica solo un modo di nutrirsi, ma è espressione di un sistema culturale integrato, fondato sulla salubrità, sulle qualità alimentari, sulle tipicità territoriali, sulla convivialità e sulla integrazione stretta tra culture, tradizioni ed ambiente. È una risorsa di SVILUPPO SOSTENIBILE – potenzialmente ancora non rivalutata – per l’incidenza che tale modello può avere sulla qualità della vita dei popoli che si affacciano sul mare nostrum. Questo modello può portare a una crescita sostenibile anche in termini economici, sempre che si presti attenzione a mantenere integro il senso di continuità con le identità storiche delle popolazioni locali.

In questo spirito è nato nel 2011 il nostro progetto “CEREALIA. LA FESTA DEI CEREALI. CERERE E IL MEDITERRANEO”, il primo festival dedicato al mondo dei cereali tra cultura, alimentazione, società, economia, ambiente e territorio. Prendendo spunto dagli antichi rituali dedicati a Cerere e Vesta, il festival vuole riallacciare i legami tra il territorio di produzione e la tavola del consumatore, creare momenti di approfondimento e formazione, riportare in vita usi e costumi antichi, fondati sul rispetto della terra, dei suoi frutti e delle culture autoctone. Tutto questo in un ottica di sostenibilità e con uno sguardo sul Mediterraneo, dedicando ogni anno la manifestazione a un paese diverso: nel 2011 all’Egitto, nel 2012 alla Turchia (www.cerealialudi.org). Pensiamo infatti che, in qualche modo, dovremmo tornare anche noi, come i nostri progenitori romani, a credere nella dimensione divina della natura, a ridare sacralità ai cicli delle stagioni e riconoscere la Terra nella sua qualità di madre fecondante di tutte le creature viventi, ascoltare il suo respiro e re-imparare a respirare con lei.


1 Volutamente abbiamo deciso di non usare la parola “dieta” mediterranea, perché il termine dieta è a nostro avviso improprio, dal momento che rimanda nel significato primario a “un regime alimentare regolato per fini igienici o terapeutici”, mentre quello che intendiamo per “modello alimentare mediterraneo” è un vero e proprio “stile di vita”. In Inglese l’espressione che traduce meglio il concetto è “Mediterranean way of life”.