Il 2011 è stato costellato da sommovimenti popolari e rivolte che hanno interessato diversi paesi della sponda sud del Mediterraneo. Dalla Tunisia all’Egitto, e fino alla Libia e alla Siria, dove ancora si combatte, queste rivolte hanno assunto un tono più o meno cruento e hanno dato luogo a profondi sconvolgimenti politici. Regimi fortemente radicati sono stati rovesciati in tempi relativamente brevi e con essi sono cambiati gli scenari politici e istituzionali. Anche in paesi dove non si sono verificati forti cambiamenti istituzionali, come l’Algeria, la Giordania, il Marocco e il Libano, sono state forti le pressioni sull’establishment politico affinché si migliorassero le condizioni socio-economiche.
Come tutti i grandi mutamenti politico istituzionali, anche i fatti legati alla cosiddetta “Primavera Araba” hanno molteplici cause scatenanti ed è certamente riduttivo tentare di individuare un unico filo rosso che li colleghi tutti. Eppure da più parti, molti di questi movimenti sono stati etichettati come rivolte per il pane: “bread riots”. Ovverosia, rivolte che sono state dettate dall’aumento dei prezzi dei beni alimentari, e in particolare agricoli, che hanno spinto le popolazioni a rivoltarsi e a chiedere cambiamenti radicali nelle condizioni sociali ed economiche. Quanto sia vero che il “prezzo del pane” possa avere un effetto destabilizzante è difficile da stabilire, ed è certamente riduttivo anche solo assumere che un unico fattore come un elevato incremento nel prezzo dei beni alimentari possa essere considerato sufficiente per spiegare moti e rivoluzioni. Eppure vale la pena, almeno in questo caso, avanzare tale ipotesi e studiarne la fondatezza.
FIG. 1. Tassi di inflazione annuali dell’indice dei prezzi al consumo (valori percentuali rispetto all’anno precedente).
La storia passata è ricca di episodi in cui un aumento dei prezzi del pane e della farina scatena moti popolari. L’assalto al forno delle grucce avvenuto a Milano nel 1628 e descritto da Manzoni ne “I Promessi Sposi” è solo un esempio, ma tanti altri se ne possono fare. Tuttavia è difficile credere che a più di due secoli dalla rivoluzione industriale, con un reddito pro capite ben lontano dal livello di sussistenza nella stragrande maggioranza dei paesi, il prezzo degli alimentari possa fare da miccia a moti e sommosse. Eppure, nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, una serie di fattori concomitanti rendono plausibile pensare che il prezzo degli alimentari abbia giocato un ruolo determinante nella Primavera Araba. Infatti, la DISTRIBUZIONE del reddito fortemente ineguale, condizioni di povertà assoluta e relativa molto diffusa, tensioni sociali forti come l’alta disoccupazione giovanile hanno amplificato il malessere generato da un anomalo incremento nel livello dei prezzi dei beni di consumo. Vediamo, quindi, in che modo è possibile stabilire la consistenza del nesso di causalità tra aumento dei prezzi degli alimentari e disordini sociali e politici.
Se si guarda l’andamento dell’inflazione nei paesi in questione, gli ultimi anni non presentano picchi particolarmente elevati rispetto ad anni precedenti. La fig. 1 mostra che dal 2006 l’inflazione relativa ai beni di consumo in Algeria, Egitto, Giordania, Libia, Marocco e Tunisia è si aumentata di molto ma questi aumenti non sono un fenomeno isolato. Se si va indietro nel tempo si nota che i tassi di inflazione, per es. negli anni 80, sono ancora più alti. In Algeria, per es., l’inflazione oscilla tra il 20 e il 30% negli anni dal 1990 al 1997, mentre dal 2007 al 2009 oscilla tra il 2 e il 7%. In Egitto, poi, l’inflazione sale dal 5 al 20% dal 2005 al 2009, livelli di inflazione, questi, già registrati negli anni 80 e 90. Se questo è vero, e visto che l’inflazione negli ultimi anni non è stata particolarmente elevata, c’è da chiedersi se sia ancora valido argomentare che l’inflazione è stata causa dei recenti moti. La risposta ancora una volta è si. Infatti in economia l’impatto delle variabili monetarie – per esempio l’inflazione – sulle variabili reali – per esempio la disoccupazione e la produzione – dipende da quanto “attese” sono tali variazioni. Quindi per es. un aumento atteso dell’inflazione del 10% può avere effetti reali, cioè influenzare le scelte delle imprese e dei consumatori, meno di un aumento inatteso dell’inflazione al 5%. Questo potrebbe spiegare perché l’aumento dell’inflazione a cominciare dal 2006, dopo anni di relativa stabilità nei prezzi e per questo inaspettato (dal 1998 i prezzi erano praticamente stabili), abbia potuto avere effetti deleteri sulle condizioni economiche nei paesi della sponda sud del Mediterraneo. Ovviamente, questo non esclude, come anticipato, che siano stati necessari altri fattori concomitanti perché l’inflazione alimentare possa avere avuto un effetto destabilizzante negli equilibri politici di questi paesi.
Stabilito che esiste in linea teorica un POTENZIALE nesso di causalità tra l’aumento del prezzo degli alimentari e la Primavera Araba, resta da misurare la significatività statistica di tale nesso. Questo è possibile farlo mettendo in relazione un indicatore dei tumulti e delle proteste in un dato anno con l’indice dei prezzi al consumo o degli alimentari dell’anno prima (o di più anni prima). Se tale relazione risulta significativa allora è possibile sostenere che, almeno statisticamente, le pressioni inflazionistiche sono causa delle proteste. In un recente lavoro con C. Astarita (2012)1 abbiamo eseguito tale esercizio prendendo in considerazione quattro paesi Algeria, Egitto, Tunisia e Marocco, per un periodo di quindici anni dal 1996 al 2011. L’analisi sembra indicare che effettivamente il “prezzo del pane” può essere considerato causa diretta di molte delle sommosse in questi paesi.
E’ opportuno a questo punto spendere poche parole per spiegare perché il prezzo degli alimentari in questi paesi è aumentato e quali altre concause hanno portato il disagio sociale al punto di esplosione.
Come per ogni bene scambiato sul mercato, anche il prezzo degli alimentari in generale, e dei cereali in particolare, dipende dalla domanda e dall’offerta. E, ovviamente, il prezzo sale se la domanda tende ad eccedere l’offerta e viceversa. Mentre l’offerta dipende da fattori come la disponibilità di terre arabili e dalla produttività del lavoro, la domanda dipende dalle necessità alimentari della popolazione. Questa negli ultimi anni è cresciuta sia per la naturale espansione della popolazione che per il cambiamento delle abitudini alimentari caratterizzato da un aumento del consumo relativo di cereali. Dato che la produzione nello stesso periodo è cresciuta ma a tassi nettamente inferiori, il risultato è stato un aumento dei prezzi. Un’idea della distanza crescente tra domanda e offerta la possiamo ottenere guardando la fig.2. Le tensioni sui mercati cerealicoli di questi paesi, poi, sono state accentuate dalla congiuntura internazionale. I prezzi dei cereali dal 2004 al 2006 sono stati sostenuti anche dall’aumento del prezzo del petrolio che ha reso convenienti energie alternative e ha indotto molti agricoltori a destinare cereali alla produzione di BIOCARBURANTI. Il risultato: un aumento accentuato dei prezzi internazionali di grano mais e altre derrate alimentari.
Nessuno può affermare che le rivolte per il pane siano la sola determinante della Primavera Araba. Si può però affermare con sufficiente convinzione che l’aumento del prezzo degli alimentari abbia costituto in molti casi la vera scintilla che ha dato vita ai cambiamenti istituzionali e politici nei paesi della sponda sud del Mediterraneo.
FIG. 2. Consumo medio pro capite e produzione media pro capite in kg per persona di frumento, granturco, orzo e riso. Paesi arabi del Mediterraneo, anni 1961-2010.
1 - Capasso, S. e C. Astarita (201) “Le radici della «primavera araba». Inflazione, rivolte popolari, sicurezza alimentare” in Rapporto sulle Economie del Mediterraneo, a cura di P. Malanima, Il Mulino.