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Le occasioni perse dell’upstream Italia - Dall’assemblea di Assomineraria - Roberto Macrì -

L’attività mineraria rallenta

Il progressivo rallentamento dell’attività mineraria è l’ennesimo esempio del paradosso italiano di ingenti risorse congelate mentre l’economia è in recessione.
In un settore cruciale per la sicurezza energetica, con un apprezzabile patrimonio minerario ancora non del tutto esplorato, con capacità imprenditoriali competitive internazionalmente e capitali da investire: si assiste invece da vent’anni ad un calo progressivo della produzione e nel caso degli idrocarburi ad un vero e proprio crollo.
Assomineraria si è data perciò convegno il 30 di marzo con all’ordine del giorno “Risorse naturali, un’opportunità per lo sviluppo
dell’occupazione e delle comunità locali” introdotto nel biglietto di invito da una frase assai eloquente dell’importanza dell’argomento
“le risorse naturali energetiche e minerarie rappresentano un capitale essenziale che occorre valorizzare come contributo alla
definitiva uscita del nostro Paese dalla crisi economica mondiale”.
E a questo argomento centrale sono dedicate le tre analisi base di Descalzi (presidente di Assomineraria) di Nomisma e di Terlizzese (direttore del ministero per lo Sviluppo economico) arricchite da numerosi interventi che nell’insieme hanno fornito i dati sullo stato del settore, indicato gli ostacoli allo sviluppo del POTENZIALE minerario e proposto misure correttive per contemperare i tempi amministrativi di autorizzazione con i tempi decisionali dell’industria.
Tutto il convegno si è svolto in sole tre ore ma è stato un tempo sufficiente per cogliere i problemi chiave grazie ad una comunicazione molto efficace per la pregnanza dei dati e la chiarezza degli argomenti; tutto il contrario delle “parole al vento” che
infestano troppi dibattiti anche quando trattano di argomenti concreti.
Per fare la cronaca di quello che è stato detto è meglio richiamare i dati e gli argomenti più significativi con riferimento ai principali temi trattati piuttosto che fare la sintesi delle singole relazioni già disponibili nel sito associativo www.assomineraria.org.

Produzione di idrocarburi

Deprime constatare che dopo quattro anni dall’analogo convegno di Assomineraria il 3 febbraio 2006 (v. Staffetta 18/2/06) i dati della produzione sono ancora peggiorati: nel 2005 in confronto al 1994 la produzione di GAS NATURALE era scesa da 20 a 12 miliardi di mc e la quota sui consumi nazionali dal 37% al 15%; nel 2009 ormai la produzione è ulteriormente scesa sotto gli 8 miliardi di mc con un grado di copertura del fabbisogno nazionale appena sopra il 10%.
La produzione nazionale di petrolio dal 1999 ha invece avuto un andamento altalenante tra i 4 e i 5 milioni di TEP attorno ai 4,5
in media ma anche in questo caso è calata di molto la quota sul crescente consumo nazionale.
Ciò vuol dire che la defatigante trattativa intrapresa nel 2001 da Assomineraria in una road map che ha impegnato due ministeri (Ambiente e Industria) e 21 regioni non è servita a ridurre i tempi di rilascio dei permessi di minerari e quindi a sbloccare le tante iniziative “in sonno” che avrebbero potuto invertire la tendenza al declino produttivo.

Investimenti e indotto

Le aziende associate ad Assomineraria (più di 120 con 65mila addetti) sono ancora in attesa delle autorizzazioni per avviare 57 iniziative di esplorazione, coltivazione e STOCCAGGIO nel campo degli idrocarburi già progettate e finanziate.
Valgono insieme oltre 5 miliardi di euro spendibili in 4 anni e l’impatto occupazionale calcolato è di 34mila addetti per la produzione
di apparecchiature e impianti ed attività di cantiere e di altri 24mila addetti per le attività esterne di supporto alle attività minerarie.
Dati non trascurabili per il fatturato dei cinque distretti tecnologici specializzati nel settore degli idrocarburi già attivi in Lombardia, Emilia Romagna, Toscana Abruzzo e Basilicata e per l’innesco dello sviluppo di un distretto tecnologico in Sicilia dove ricadono progetti importanti e fors’anche in Calabria se prenderanno piede i programmi di esplorazione offshore nello Jonio.
Al riguardo è stato molto pertinente l’intervento di Lo Bello della Confindustria siciliana che ha sottolineato la grande importanza
dei progetti minerari per sostenere l’industria metalmeccanica nata attorno ai poli petroliferi di Gela e Priolo ed ha criticato la Regione per la farraginosità dell’iter autorizzativo e l’entità delle royalties imposte al settore minerario tali da scoraggiare le nuove iniziative.

Comunicazione e responsabilità sociale

Descalzi ci ha tenuto a scrivere che Assomineraria in questo settore si propone di contemperare le diverse esigenze relative alle risorse naturali, all’occupazione e alle comunità locali nella consapevolezza che è necessario mettere d’accordo le ragioni dell’industria con gli interessi delle comunità che la ospitano.
E’ un punto assai critico perché l’energia soffre di una cattiva fama come industria prevaricatrice dei diritti delle comunità, con un eccessivo controllo del mercato e con un potere di lobby troppo forte nella sfera pubblica.
E ha ragione De Vita, presidente dell’Unione Petrolifera, a dire che l’industria dell’energia viene generalmente vista come una specie di Paperon de’ Paperoni, una macchina per fare soldi esposta quindi ai colpi di Robin Hood a protezione dei cittadini. Discernere il vero dal falso in questa percezione è però molto difficile perché neanche si può sostenere che il mondo dell’energia è stato ed è uno specchio di immacolata innocenza.
Ma piuttosto che addentrarsi su questo tema, troppo complesso e improprio in questa sede, conviene attenersi al tema specifico dell’industria mineraria che più di altre attività energetiche ha le carte in regola per far valere le proprie ragioni.
Nel convegno in molti hanno parlato della necessità della comunicazione come strumento indispensabile per spiegare la logica di questa attività e le sue connessioni con il resto dell’economia e con l’ambiente naturale e sociale.
In questo ambito quattro sono gli aspetti cruciali nel rapporto con la pubblica opinione, con gli amministratori e con la politica.
Prima di tutto c’è l’aspetto della sicurezza: l’attività mineraria nel campo degli idrocarburi non presenta nessun particolare rischio che giustifichi un trattamento diverso dalle altre attività industriali: le attività di campagna nella fase di prospezione geologica e di esplorazione sono nella fascia del rischio minimo; presenta maggiore rischio la produzione di idrocarburi nella fase di estrazione e nella fase di trasporto ma in proposito le garanzie dell’industria mineraria italiana sono date dalla severità delle procedure di gestione confermate da statistiche degli incidenti fatte di pochi eventi e nessuno disastroso.
Il secondo aspetto rilevante è quello dell’ambiente per la cosiddetta valutazione di impatto ambientale; ebbene l’impatto di una campagna di esplorazione è irrisorio e per la maggiore parte si tratta di attrezzature temporanee per il cantiere; e la fase produttiva
richiede attrezzature all’aperto con ancora meno impatto sull’ambiente.
Il terzo tema è quello del “time to market” che è una necessità per ogni iniziativa economica ma è esasperata nel caso dell’industria mineraria per la rilevanza degli investimenti, per l’alto grado di rischio sull’entità delle RISERVE e della produzione e per la lunghezza del ciclo dalla campagna geologica alla produzione.
Ciò spiega la assoluta necessità di una programmazione rigida: ogni ritardo in fase autorizzativa e soprattutto in fase operativa
può infatti compromettere definitivamente la fattibilità dell’investimento.
Per ultimo vi è da spiegare la rilevanza dell’indotto generato dalle attività minerarie poiché rappresenta una grande opportunità per le comunità locali, molto di più del valore di una royalty o di uno speciale contributo.

Conclusioni

Il caso della industria mineraria è esemplare dell’importanza delle buone regole per lo sviluppo economico.
Caduti gli Dei del liberalismo puro e del materialismo marxista a spiegare lo sviluppo economico di un Paese valgono molto di più il livello dell’educazione, e in questo campo la nostra industria è un’eccellenza mondiale, e soprattutto la certezza e la efficacia delle regole e la qualità delle istituzioni che le governano.
In questo contesto sarebbe colpevole frenare un’attività che secondo Assomineraria può ancora contare su ingenti RISERVE potenziali residue in aggiunta alle RISERVE già accertate nella misura del 25% di gas e del 55% di petrolio; la loro valorizzazione consentirebbe nei prossimi 25 anni un risparmio di 100miliardi di euro sulla BOLLETTA ENERGETICA.
Sarebbe logico perciò che l’obiettivo di aumentare RISERVE e produzione di idrocarburi nazionali diventasse un obiettivo centrale del piano energetico per la rilevanza che ha nel breve termine rispetto ad altri obiettivi proiettati nel lontano orizzonte del 2030.
Il federalismo alle porte potrebbe utilmente applicarsi a districare i nodi delle competenze tra Stato centrale e Regioni separando nettamente le responsabilità: al primo le questioni dell’upstream dove le iniziative sono rilevanti per la sicurezza energetica e nelle relazioni con gli stati produttori; alle seconde le questioni del DOWNSTREAM dove sono rilevanti le questioni logistiche che incidono sulla gestione dell’ambiente e la cura del RISPARMIO ENERGETICO per incentivare l’efficienza e l’impiego di FONTI ALTERNATIVE, come previsto dalle vecchie leggi 9 e 10 del 1991 finora disattese.
Ma sapranno Governo e Regioni raccogliere il “grido di dolore” che traspare dalle misurate parole e dai dati di Assomineraria?
Prima di tutto a difesa dell’interesse nazionale.

Tratto da: STAFFETTA QUOTIDIANA – 3 APRILE 2010 – N. 65