Energia e sviluppo: concetti indissolubilmente legati, anche se la cultura tecnologica popolare è scarsa, e le relazioni che legano i due temi sono spesso comprese poco e male.
Fin dall’inizio della storia dell’umanità, lo sviluppo è stato legato alla disponibilità di energia: non è un caso che la scoperta del fuoco e l’invenzione della macchina a vapore abbiano dato luogo a fasi di sviluppo velocissimo della civiltà umana, perché hanno rappresentato due momenti in cui l’aumentata disponibilità di energia ha permesso di ottenere un tenore di vita più elevato a parità di sforzi.
Non è un caso che l’aspettativa di vita –guerre a parte– sia costantemente aumentata fino ad arrivare alla soglia degli ottant’anni nei Paesi industrializzati.
Tuttavia non bisogna mitizzare: la disponibilità di energia è condizione necessaria e non sufficiente per lo sviluppo, come direbbero i logici matematici; in altri termini, senza energia a buon mercato non si può avere sviluppo, ma non è detto che l’abbondanza di energia comporti automaticamente lo sviluppo sociale ed economico, che richiede anche molte altre cose. In questo sgradevole equivoco sono caduti in parecchi, non ultimo Stalin, il quale aveva fatto costruire enormi centrali elettriche lungo i grandi fiumi sovietici, teorizzando che l’energia elettrica avrebbe portato allo sviluppo dell’URSS. Tra guerre, sfaceli dell’economia pianificata e altri imprevisti, poi lo sviluppo previsto non c’è poi stato, ma almeno l’energia abbondante e a buon mercato era disponibile.
Viceversa se l’energia è carente è assolutamente certo che lo sviluppo economico viene fortemente ridotto, se non annullato: la carenza fa aumentare i prezzi, pesa di più sul costo finale dei prodotti, quando non metta certe produzioni, fortemente energivore, del tutto fuori mercato.
Ad esempio certi settori della siderurgia e della chimica, che producono beni di valore aggiunto relativamente basso ma abbisognano di enormi quantitativi di energia, già oggi sono del tutto fuori mercato per produzioni basate nei Paesi industrializzati ed hanno senso soltanto in Paesi in via di sviluppo.
A questo punto cosa può succedere?
I fenomeni “spontanei” dicono che le produzioni energivore, inquinanti, e a scarso valore aggiunto tendono ad essere delocalizzate verso India, Cina, estremo oriente, etc. Nei Paesi G8, ormai sulla strada della postindustrializzazione, rimangono le attività più terziarizzate (progettazione, controllo, consulenza, ricerca), che portano ad una certa stabilizzazione dei consumi energetici (nel senso che i consumi industriali non crescono più rapidamente come prima, ma la loro riduzione di crescita è compensata dall’incremento dei consumi civili e terziari).
Superfluo dire che la cosa piace molto a certi ambientalisti, perché in questo modo spariscono le fabbriche “brutte e cattive”.
Un economista direbbe che va tutto bene: produzioni non più remunerative si spostano in Paesi nei quali lo sono ancora, e attività “più avanzate” sono –o dovrebbero essere– portate avanti con maggiore profitto nei Paesi più sviluppati (anche se da un punto di vista strategico la cosa fa venire i brividi).
Dal punto di vista energetico, invece, le cose non sono così lineari: in primo luogo, se si postula che l’EFFETTO SERRA sia legato alle emissioni di CO2, l’effetto di una tonnellata emessa in USA dovrebbe equivalere all’effetto di una tonnellata emessa in India; ma i Paesi in via di sviluppo sono esclusi dalle restrizioni legate al PROTOCOLLO DI KYOTO, quindi le loro emissioni “non contano”. Inoltre, siccome gli impianti sono generalmente meno avanzati, è facile che le loro emissioni siano assai maggiori a parità di prodotto di quanto sono lo sarebbero in un Paese “G8”.
Lo sviluppo in Oriente porta anche a incrementi spaventosi di emissioni e INQUINAMENTO legato a usi difficilmente comprimibili, come il riscaldamento domestico, e comporta tensioni enormi sui mercati internazionali dei combustibili.
Non basta: purtroppo la disponibilità di energia è sempre stata associata a guerre (citiamo soltanto quelle per il controllo dei bacini carboniferi tedeschi e poi quelle per il petrolio, che oltre al Medio Oriente oggi affliggono anche buona parte dell’Africa centrale).
Soluzioni?
Soltanto una: mettere a disposizione dell’umanità una fonte energetica così abbondante ed economica da rendere irrilevanti tutti i problemi descritti prima: l’energia nucleare, attualmente da fissione, ed in prospettiva da fusione.
Per quanto riguarda le fantomatiche “energie pulite” sarebbe bello se fossero economicamente sensate, ma, come tutti i miracoli, sono solo un’illusione per chi non vuole risolvere il problema.