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La necessità di investimento - Agi Energia -

Il problema di soddisfare la fame di energia si presenta dunque in modo diverso a livello mondiale. Tutti i paesi sono interessati a che le compagnie private piuttosto che quelle di stato facciano investimenti nella scoperta e nella produzione di combustibili fossili perché in questo caso siamo di fronte a un unico mercato mondiale.

Ciò vale in particolar modo per il petrolio, un po' meno per il gas e ancor meno per il carbone. Poiché in molti casi le fonti primarie sono sostituibili, lo sviluppo di una qualsiasi fonte contribuisce ad alleviare la pressione della domanda rivolta alle altre fonti.

Invece il problema degli investimenti riguardanti la generazione elettrica e le infrastrutture di rete (in particolare di elettricità e di gas) sono eminentemente dei problemi locali: ogni paese deve provvedere a che vi siano sufficienti capitali investiti in questo campo.

E, come si è visto, la situazione si presenta in termini ben diversi per quei paesi che hanno già realizzato le proprie infrastrutture e quelli che devono in larga parte ancora realizzarle.

I primi devono semplicemente sostituire gli impianti e le reti che diventano obsoleti e assecondare il modesto tasso di crescita previsto. I secondi devono tener dietro al tasso di crescita della domanda realizzando sia le infrastrutture di rete che gli impianti di trasformazione (soprattutto quelli elettrici).

Gli investimenti nel settore degli idrocarburi
Più del 60% dei consumi energetici mondiali sono oggi soddisfatti dal petrolio e dal gas METANO. È anzitutto dalla capacità di tener dietro all’incremento della domanda di idrocarburi e di sostituire la produzione dei pozzi in via di esaurimento che si misura la capacità mondiale di soddisfare la fame di energia.

Giustamente ci ricorda Clô: “Se il mercato dell’energia fosse perfettamente concorrenziale, non alterato da elevati gradi di monopolio e/o da fattori politici, le scelte di investimento tenderebbero a orientarsi verso le fonti a minor costo, le aree più ricche di risorse, con minori rischi minerari, a maggior produttività”. È proprio questo uno dei nodi cruciali.

Gli investimenti non si indirizzano nelle aree e verso le fonti più convenienti. L’OPEC, e in particolare i Paesi del Golfo, sono destinatari di una quota di investimenti molto inferiore a quella che competerebbe loro se si ragionasse in termini di EFFICIENZA in un mercato concorrenziale.

Di chi la colpa di questa situazione che da un lato comprime il livello di investimenti e dall’altro ne distorce la destinazione abbassando la loro produttività? Le interpretazioni divergono.

Da un lato i governi dei paesi occidentali e le compagnie petrolifere private hanno buon gioco a sottolineare la mancanza di libertà di investimenti non solo nei paesi arabi, ma anche in Russia e in altri paesi.

Dall’altro, però, i paesi OPEC hanno sempre sottolineato la mancanza di volontà dei produttori non OPEC a concertare una ripartizione delle quote di produzione tenendo conto di costi di produzione e delle RISERVE.

La volontà politica dei paesi occidentali di non dipendere troppo dall’OPEC e l’interesse delle compagnie petrolifere per la più facile appropriazione delle rendite nelle aree extra-OPEC ha fatto sì che da ormai 35 anni gli sforzi di investimento siano diretti a difendere o a incrementare le quote di produzione nelle aree extra-OPEC (vedi figura).

Tutti sanno che prima o poi questa situazione dovrà finire e l’OPEC tornerà a guadagnare quote di mercato in modo significativo. Ma intanto si cerca di rinviare il più possibile questo momento.

Per dare un’idea fisica del fenomeno basti pensare che alla fine del 2006 il 55% degli impianti di perforazione mondiali lavorava negli Stati Uniti, che sono l’area mondiale di gran lunga più esplorata, e solo l’11% nei paesi OPEC. Ma ciò che è ancora più sorprendente è che tra il 2002 e il 2006, in un periodo di forte aumento dei prezzi del petrolio, il numero di impianti di perforazione attivi è aumentato negli Usa del 96% contro un aumento a livello mondiale del 65%.

In altri termini, gli investimenti esplorativi sono certamente aumentati rispondendo, come ci si attende, al segnale di prezzo del petrolio, ma la loro destinazione è diventata ancora più distorta. Siamo dunque in presenza di un duplice e contemporaneo fallimento del mercato e della politica. Stando così le cose, diventa difficile se sia meglio affidarsi al mercato o alla politica.

Figura seguente: Produzione mondiale di greggio (Mb/d)

Gli investimenti nel settore elettrico
Mentre gli investimenti per rendere disponibili le fonti primarie possono e devono essere fatti nei paesi dove queste si trovano, gli investimenti per la generazione di elettricità e per le reti di TRASMISSIONE e DISTRIBUZIONE sono legati ai territori dove avviene il consumo.

Inoltre, come s’è visto, la domanda nei paesi industrializzati cresce in misura contenuta e i territori sono ormai quasi ovunque ben infrastrutturali, mentre l’opposto è ancora vero in molti paesi in via di sviluppo.

Come lo stesso World Energy Outlook del 2002 segnalava, più di un quarto della popolazione mondiale non aveva accesso all’elettricità, percentuale che nell’Africa sub-sahariana raggiungeva il 75%.

Il problema degli investimenti si presenta quindi in modo ben diverso: nella sola Cina si realizzano più di 50.000 MW di impianti elettrici all’anno, in Europa 10-15.000 pur avendo una capacità produttiva installata che, nel 2005, era superiore dell’80% a quella cinese.

Se ci limitiamo a considerare i paesi industrializzati, è vero, come sostiene ancora Clô, che “il flusso di investimenti si va dimostrando molto inferiore alla bisogna” fino al punto da fargli attribuire, a mo’ di esempio emblematico, come una –e anzi “più importante ragione”- del black-out italiano del 2003 “il degrado fisico dei sistemi di sicurezza, delle linee di TRASMISSIONE, delle infrastrutture imputabile al crollo degli investimenti di Enel”? E tutto ciò è dovuto alla liberalizzazione dei mercati e alla separazione societaria tra le diverse fasi della filiera elettrica? Su questo punto mi sento di condividere solo in parte la tesi di Clô.

Mercati maggiormente integrati facilitano gli scambi e quindi tendono a prosciugare l’eccesso di capacità produttiva esistente in una certa area prima che si investa in quelle deficitarie.

Inoltre, in un mercato liberalizzato le imprese vedono con molta preoccupazione l’eccesso di capacità produttiva che significa maggiore concorrenza, assottigliamento dei margini con il rischio di non recuperare i costi affondati.

Al contrario, in un mercato monopolistico, le imprese tendono a sovrainvestire per non essere accusate di far mancare le forniture e per una certa tendenza ingegneristica al “gold-plating” ovvero all’efficienza tecnica.

Per questo, quando si passa da un sistema con monopolisti nazionali, come c’era in Europa prima del ’98-99, a un sistema liberalizzato e di libero accesso alle reti è quasi inevitabile un rallentamento degli investimenti. Ma non bisogna prendere questo fatto come un segno certo di deficit di investimenti.

Il fatto che la Francia in certi momenti, quando fa molto caldo o molto freddo, possa diventare importatrice di energia non significa di per sé che non si sono fatti gli investimenti necessari.

È solo più conveniente importare energia elettrica in poche ore dell’anno (pagandola molto) che non realizzare impianti come quelli nucleari (con elevati costi fissi) per farli funzionare poche ore all’anno. Così come è molto più conveniente prolungare la vita degli impianti nucleari vecchi (come si fa ovunque, a partire dagli USA) che costruirne dei nuovi.

È difficile quindi dire a priori se il vecchio modello della programmazione realizzata attraverso grandi imprese nazionali sia da preferirsi al nuovo basato sul confronto competitivo e su una maggiore attenzione al risultato economico.

L'arbitro da cui può dipendere l’esito di questa insolita partita è il regolatore e solo nel lungo termine sarà possibile ottenere una risposta più fondata, risposta che potrà anche differire da paese a paese, da situazione a situazione.

Tratto da Agi Energia