La disponibilità di energia per le generazioni future e la prevenzione della minaccia del cambiamento del clima impongono un graduale ma significativo contenimento delle fonti fossili.
L’obiettivo indicato non può essere ottenuto se non attraverso una concertazione a livello mondiale, affermazione che non deve essere letta come un alibi per il singolo paese di rimanere passivamente in attesa di decisioni a livello sovraordinato.
Al contrario ognuno deve fare quanto è possibile; e tra le cose certamente da fare è essenziale favorire la penetrazione, a livello dell’opinione pubblica mondiale, del convincimento che nella condizione attuale l’intero pianeta deve essere gestito in modo assai più coordinato e unitario di quanto oggi avvenga.
In aperto contrasto con questo traguardo si pone il fatto che la posizione dei Governi dei vari paesi, circa l’urgenza delle due minacce incombenti su ogni paese (la difficoltà di approvvigionamento energetico e il cambiamento del clima del pianeta), è non solo molto diversa, ma anche molto distante.
Tutti i Governi considerano come obiettivo prioritario la crescita dello sviluppo economico dei rispettivi paesi.
Con maggiore ragione quelli dei paesi in via di sviluppo, che tendono a garantire il necessario miglioramento delle attuali precarie condizioni di vita della popolazione.
Con minore ma comunque giustificata ragione, quelli dei paesi sviluppati, che considerano la riduzione dei consumi come l’inevitabile premessa di una recessione economica con conseguenze di instabilità politica e di tensioni sociali.
In altri termini assicurare ai cittadini la disponibilità di risorse energetiche a prezzi contenuti per garantire la crescita del prodotto interno è considerato di gran lunga più importante, che non evitare condizioni che possano generare gravi problemi a loro volta condizionanti lo sviluppo.
Questa drammatica sottovalutazione è stata emblematicamente rappresentata dall’atteggiamento degli USA che, in aperto contrasto con l’Europa, hanno negli anni scorsi minimizzato il pericolo dell’EFFETTO SERRA e solo recentemente, soprattutto per merito di Al Gore, sembrano avviati verso l’accettazione dell’esistenza del problema e la conseguente necessità delle relative politiche non solo a livello nazionale.
L’elezione del democratico Barack Obama e le sue affermazioni nel corso della campagna elettorale confermano questa impostazione e prefigurano un radicale cambiamento di politica energetica degli USA in merito alla minaccia di cambiamento del clima e alla necessità di contenere i consumi di combustibili fossili.
E’ doveroso al riguardo ricordare che già nel 1990 la Commissione Europea, nel semestre di Presidenza italiana e per iniziativa dei Ministri dell’Industria e dell’Ambiente (Battaglia e Ruffolo), prese la storica decisione di promuovere un grande progetto mondiale di stabilizzazione delle emissioni di CO2 nell’atmosfera al livello di quell’anno.
Ne scaturì il PROTOCOLLO DI KYOTO, ma le emissioni di CO2 nell’atmosfera non solo non si sono stabilizzate ai livelli del 1990, ma hanno continuato inesorabilmente a crescere, nella stessa Europa, con una tendenza che sembra confermarsi anche per gli anni futuri.
E’ dunque l’atteggiamento di sostanziale passività, finora mantenuto dai governi sul problema energia, che induce scetticismo sulle possibili soluzioni di cui si è fatto cenno.
Nonostante le oggettive difficoltà segnalate e il pessimismo che ne può derivare, è certo però che non si può continuare il "business as usual" e che è necessario partire anzi già da oggi per raggiungere risultati utili (per altri 10 anni si ritiene che esista un margine per agire per contenere i danni del cambiamento del clima), tenendo anche presente, come ha notato Angela Merkel, che fare l’indispensabile oggi costa meno del fare l’inevitabile domani.
A livello internazionale è ancora l’Unione Europea che ha assunto la posizione più avanzata con il suo progetto 20;20;20 e cioè ottenere nel 2020, rispetto ai livelli del 2005: il 20% di riduzione delle emissioni di GAS SERRA; la riduzione del 20% dell’intensità energetica del PIL; l’aumento del 20% della quota di fonti RINNOVABILI rispetto al totale delle fonti primarie utilizzate.
Molte sono tuttavia le voci critiche nei confronti di questo impegno anche da parte di autorevoli esperti del nostro paese.
Se, essi sostengono, si penalizzano le nostre imprese obbligate ad utilizzare tecnologie più costose per mettere sul mercato prodotti a più basso contenuto di energia, di fatto si privilegiano beni prodotti in altri paesi che non rispettano le stesse regole. Si produce quindi altrove la CO2 che sarebbe risparmiata in Italia.
Anche lo stanziamento delle ingenti risorse pubbliche destinate, negli Stati dell’Unione Europea, alla ricerca di una minore intensità energetica del PIL e allo sviluppo di nuove e più avanzate forme di sfruttamento delle energie RINNOVABILI, sarebbe vanificato se nelle altre parti del mondo si procedesse con consumi di energia crescenti e con il ricorso alle fonti e alle tecnologie più facili e meno costose.
Questa critica contiene elementi di verità, ma rischia di bloccare tutta la politica climatica dell’UE, mettendo in soffitta il traino che essa può rappresentare ed ha anzi attualmente rappresentato.
Su un fronte opposto alcuni economisti, forse con una dose eccessiva di ottimismo, vedono la lotta ai cambiamenti climatici in termini positivi anche dal punto di vista economico e considerano il passaggio al nuovo sistema post petrolifero come l’inizio della "terza rivoluzione industriale"
La necessità di un approccio globale alla ricerca di una soluzione efficace che non ha bisogno comunque di essere dimostrata, implica anzitutto un'analisi fredda della situazione e degli effettivi interessi dei popoli; e richiederebbe un disegno illuminato e coraggioso perseguito da una leadership altrettanto coraggiosa e illuminata in grado di indicare una strada alternativa a quella che finora è stata principalmente seguita (che è stata poi la difesa, anche con il ricorso alla violenza, degli interessi costituiti).
Su questa difficile strada il primo passo che politicamente sembrerebbe necessario compiere, e senza il quale l'intero disegno diventerebbe utopico, appare quello di una stretta intesa tra Europa e USA, massimi consumatori mondiali di energia, accomunati da standard di vita simili e da valori condivisi.
L'idea che l'Europa, da sola, possa realizzare una politica internazionale efficace in campo energetico, più che essersi già dimostrata irrealizzabile, sembra oggi inconsistente.
E, d'altra parte, l'idea che gli Stati Uniti abbiano così pochi problemi da poterla condurre nel modo migliore prescindendo dal potere soft e dall'economia dell'Europa appare egualmente irrilevante.
Servirebbe dunque un'intesa.
Non soltanto ai fini di politiche "difensive", comunque utili a controbilanciare il peso politico ed economico delle grandi realtà nazionali in possesso di fonti fossili, cioè i paesi mediorientali e la Russia, ma soprattutto in vista di una strategia comune nella ricerca scientifica, nel risparmio, nell'uso delle tecnologie migliori nel coordinamento di politiche di sviluppo coinvolgenti le realtà povere del mondo, particolarmente bisognose di energia.
Punto qualificante di un nuovo impegno euro-americano dovrebbe essere l'accordo - soprattutto con Asia e Africa - per una programmazione della DISTRIBUZIONE equilibrata dei consumi energetici e della diffusione delle migliori tecnologie disponibili.
Certo il quadro di generale difficoltà economica e finanziaria in cui il mondo si trova anche dopo l'elezione del nuovo Presidente americano, pone problemi aggiuntivi gravi rispetto al passato.
Ma forse, a guardar bene, quel quadro può anche finire col non ostacolare, ma col favorire uno specifico e concreto impegno - su un terreno particolarmente cruciale - da parte dei due maggiori soggetti della vita internazionale.
E' un nuovo approccio, certo non facile da realizzare, come non è stato facile in passato.
Ma esso sembra costituire ormai una necessità imposta dalle cose; e rappresenterebbe un contributo alla stabilizzazione internazionale da cui tutti i paesi, in ogni continente, trarrebbero giovamento.