Sulla Terra siamo 7 miliardi e mezzo, per il momento. Noi che possiamo accendere la luce quando ci serve siamo 5 miliardi: degli altri, un miliardo e mezzo ha un servizio elettrico saltuario e inaffidabile, e l’ultimo miliardo non ha proprio la corrente. Diciamo che non hanno accesso all’elettricità. Tutti possiamo accendere un fuoco. Ma due miliardi e mezzo non hanno altro che un focolare nell’abitazione (casa o baracca o capanna) per cucinare e scaldarsi. Un braciere aperto o una stufa mediocre. Respirano fumo da quando nascono a quando muoiono, e anche per questo motivo muoiono prima del tempo in percentuale molto più alta di noi (l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che ci sono circa tre milioni di morti premature ogni anno nel mondo per questo motivo). Non solo, ma in molte zone per procurarsi la legna camminano ore e portano pesi. Chi? Le donne e le bambine. Diciamo che non hanno accesso alla “cucina pulita” (“clean cooking” nel linguaggio di coloro che nel mondo si occupano del problema). Questo è un aspetto della povertà estrema. Non è un aspetto isolato, è legato agli altri aspetti. Senza elettricità l’assistenza sanitaria è difficile o impossibile. Nelle scuole senza illuminazione si studia male e i migliori insegnanti, se possono scegliere, evitano di andarci. Nei villaggi e nei quartieri senza illuminazione quando fa sera non si esce di casa; è pericoloso soprattutto per le donne. Nelle officine senza elettricità si fa poco lavoro, nessuna attività produttiva moderna è possibile: senza elettricità non c’è sviluppo economico. Si invecchia in miseria o si tenta di emigrare, spesso con tragiche conseguenze.
Procurarsi l’elettricità non è difficile per un’organizzazione. L’elettricità c’è in tutte le città del mondo, ma spesso non c’è nelle immense baraccopoli in periferia dove vivono milioni di persone. Gli elettrodotti corrono per migliaia di chilometri, dalle grandi centrali elettriche alle città, arrivano fin dove c’è sufficiente potere d’acquisto per pagare il servizio, passando sopra i villaggi senza servirli. Una fabbrica, un ospedale, un villaggio turistico isolati si dotano di un generatore di corrente. Talvolta allacciano le misere abitazioni circostanti, ma non sempre. Non c’è elettricità per grandi estensioni, dove la popolazione è dispersa e povera. Oggi si aprono possibilità insperate, con le nuove tecnologie. L’elettricità da fonte solare sta diventando meno costosa ogni anno che passa e già oggi nel mondo milioni di piccoli sistemi fotovoltaici (un pannello sul tetto e un accumulatore) forniscono il minimo necessario di elettricità a milioni di abitazioni isolate. Si costruiscono piccole reti di villaggio. Queste soluzioni costano poco: spesso la spesa mensile che una famiglia dovrebbe sostenere è inferiore a quello che spende oggi per una lampada a cherosene, debole e inquinante. In molti casi mancano i soldi per l’investimento iniziale. Imprese locali stanno sorgendo qua e là. C’è motivo per sperare, ma gli sviluppi che servono sono ancora limitati mentre per far fronte alle necessità c’è poco tempo.
“Energia per tutti” è un obiettivo di civiltà, accolto nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite come Obiettivo di sviluppo sostenibile numero 7 (l’Agenda ha 17 obiettivi). L’indicazione dell’obiettivo è sempre accompagnata dall’aggettivo “sostenibile” perché non si può risolvere un problema creandone un altro, quindi deve trattarsi di un’energia pulita e che non distrugga l’ambiente. Deve anche essere economicamente accessibile anche a chi ha poco reddito e deve avere le caratteristiche che la rendono utilizzabile, quindi non una fonte qualsiasi di energia, ma elettricità e quello che serve per cuocere il cibo. Bisogna fornire elettricità a oltre un miliardo di persone entro il 2030. Si stanno facendo rapidi progressi e si prevede di arrivare molto vicini alla meta in tutto il mondo esclusa l’Africa a sud del Sahara, dove si prevede che nel 2030 ci saranno ancora 600 milioni senza elettricità. Bisogna diffondere un sistema pulito di far cucina a due miliardi e mezzo di persone. Anche qui i progressi ci sono ma più lenti perché si tratta di modificare tradizioni radicate e spesso introdurre qualcosa che costa in luogo della legna che non costa niente. I progressi che si prevedono di qui al 2030 serviranno solo a compensare l’aumento della popolazione, e a ridurre di molto poco il numero delle persone che si affidano ai sistemi tradizionali. Fare previsioni significa tener conto di innovazioni che ci saranno e che non conosciamo ancora. Per questo c’è che dice che andrà meglio di qual che oggi si prevede. D’altra parte nelle previsioni già si cerca di tener conto delle innovazioni e soprattutto il problema non è superabile con la sola tecnologia perché un conto è il prodotto industriale disponibile in un paese ricco, altro conto à la sua diffusione e accessibilità economica nei vastissimi territori ove vivono i poveri del mondo.
Dove c’è uno stato forte e dotato di risorse l’elettrificazione si realizza e arriva quasi dappertutto. Così è stato in Cina. Così si sta facendo in India, dove si cerca di combinare l’estensione delle reti elettriche nelle aree dove c’è abbastanza popolazione e la diffusione di piccole reti indipendenti nelle località isolate. Per il resto dell’Asia e per l’Africa sub-sahariana le reti dovrebbero risolvere metà del problema e le soluzioni decentrate l’altra metà. Dove lo stato è debole o senza risorse soccorrono programmi d’aiuto e cooperazione internazionale. I grandi programmi pubblici sono più adatti all’opera tradizionale di costruire dighe, centrali, reti elettriche, mentre per i sistemi elettrici decentrati e soprattutto per il problema della cucina pulita servono soluzioni locali gestite il più possibile da gente locale, che conosce le tradizioni, le disponibilità, le possibilità di fare da sé. Servono piccole imprese e mercati locali in cui si faccia commercio di prodotti importati ma anche installazione e manutenzione, e poi possibilmente fabbricazione, iniziando delle parti più semplici come le stufette. La cooperazione internazionale del settore privato e terzo settore è particolarmente adatta allo sviluppo delle iniziative locali. Ma per ottenere effetti significativi occorre estendere e moltiplicare queste iniziative. Una via è l’alleanza tra il grande e il piccolo: impulsi e finanziamenti dall’alto per attivare energie dal basso. in particolare possono fare molto, e già qualcosa stanno facendo, le grandi imprese che operano nei paesi ove l’esigenza è pressante, e possono combinare la responsabilità sociale con un interesse a consolidare la loro presenza, sviluppare relazioni utili, costruire consenso sia in loco sia nei paesi d’origine ove la sensibilità ai temi umanitari è diffusa.
Il libro "Poveri d'energia può essere scaricato da:
Pippo Ranci, professore fuori ruolo di Politica economica nell'Università Cattolica di Milano, insegna Economia dell'energia. E' stato Presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas dal 1996 al 2003. Ha diretto la Florence School of Regulation presso l'Istituto Universitario Europeo di Firenze dal 2004 al 2008.